Carla Accardi, la grande retrospettiva e l’Archivio. Con Intervista a Francesco Impellizzeri

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A dieci anni dalla scomparsa, e in occasione del centenario della nascita di Carla Accardi, non mancate di visitare la grande retrospettiva a lei dedicata al Palazzo delle Esposizioni di Roma in corso fino al 9 giugno 2024.

A cura di Daniela Lancioni e di Paola Bonani, la mostra è promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e dall’Azienda Speciale Palaexpo (che l’ha anche ideata e prodotta), con la fondamentale collaborazione dell’Archivio Accardi Sanfilippo e con il sostegno della Fondazione Silvano Toti.

Notevole anche il bel catalogo pubblicato da Quodlibet, che, oltre a documentare in maniera approfondita la mostra, costituirà d’ora in avanti un validissimo e aggiornato strumento di ricerca su Carla Accardi.

Trapanese, ma naturalizzata romana, dobbiamo in buona parte la sua scelta dell’arte come ragione di vita all’acuta osservazione di suo padre Antonio che, nel 1942, vedendo un suo autoritratto a carboncino e matita su carta -che l’artista aveva realizzato guardandosi allo specchio- le chiese se fosse stata davvero lei a disegnarlo, la esortò quindi a seguire quella strada e nel 1943 Carla si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Palermo.

Lì conobbe Antonio Sanfilippo, che era di Partanna e quando nel 1946 si trasferì all’accademia di Firenze, lo seguì, ma poi si resero conto entrambi che anche lì gli insegnanti erano un po’ retrogradi e si sposteranno a Roma, dove troveranno artisti giovani come Pietro Consagra (di Mazara) che aveva studiato a Palermo con Sanfilippo e che a Roma era ospite nello studio di Renato Guttuso (mentre nello studio di fronte, sempre a via Margutta, c’era Giulio Turcato). Si incontreranno di seguito con Piero Dorazio e Achille Perilli e insieme daranno vita a un primo gruppo che chiamarono Forma.

Carla Accardi aveva sempre disegnato, era in grado di padroneggiare la figura: in mostra, nella parete che illustra la sua biografia, c’è una natura morta del 1946 dove opera delle scomposizioni, realizzando delle campiture dai colori contrastanti, segno di una sua precoce tendenza al superamento della figurazione.

L’anno successivo a Roma, con la nascita del gruppo Forma, esce il primo numero della rivista ad esso collegata, nella quale i giovani artisti si proclamano formalisti e marxisti, dichiarano di voler abbandonare il realismo, considerandolo spento e conformista e assunsero una posizione rivoluzionaria e avanguardista.

Paradossalmente fu proprio Renato Guttuso a non comprendere la portata del messaggio di quei giovani artisti che frequentavano il suo studio: di ritorno da Parigi dove aveva incontrato Picasso, li apostrofò con sarcasmo, definendo le loro opere “scarabocchi”, decretando così una rottura.

La presa di posizione di Guttuso trascinò con se anche la nomenclatura del Partito Comunista Italiano: sulle pagine di “Rinascita”, con lo pseudonimo di Roderigo di Castiglia, lo stesso Palmiro Togliatti intervenne con una feroce stroncatura; i dirigenti comunisti non compresero l’enorme portata rivoluzionaria dell’astrattismo, lo rifiutarono in blocco in quanto incomprensibile alla classe operaia, non vollero nemmeno tentare di cogliere la sfida di poter fornire strumenti di mediazione e conoscenza di un nuovo linguaggio.

Oltre i confini nazionali queste novità erano invece già al centro della discussione tra critici e artisti internazionali. Nel 1955 Michel Tapié rimase colpito dalla forte energia creativa di Carla Accardi e fu proprio lui a farla esporre a Osaka e a Parigi.

Seguiranno poi nella vita dell’artista molti altri progetti espositivi, tra i quali spiccano una mostra nel 1961 alla Parma Gallery di New York, con testo di Lionello Venturi e gli inviti, a partire da quello del 1964, alla Biennale di Venezia.

Tornando alle circa cento opere presenti al Palazzo delle Esposizioni, si potrà notare una distribuzione insolita di alcune di esse sulle pareti: si tratta di una scelta filologicamente ineccepibile da parte delle due curatrici che hanno voluto riproporre la posizione originale voluta dall’artista nelle sue prime mostre, un omaggio alla libertà di Carla Accardi che, così come aveva rifiutato a partire dal 1953-54 il cavalletto, iniziando a dipingere per terra, scelse anche di andare oltre il rapporto canonico con lo spazio espositivo in fase di allestimento.

Nella mostra si segnala in particolare una parete, con i dati biografici che si intrecciano a foto e piccole opere originali, una parete fitta di informazioni che presenta al pubblico la ricca biografia e il lungo percorso dell’artista. In evidenza, la magia di certi incontri, come quelli con Luciano Pistoi e gli esponenti dell’Arte Povera, o con Carla Lonzi, assieme alla quale diede vita a un’intensa fase di militanza femminista.

La convivialità e la raccolta di opere che prendevano vita nella sua casa-studio, costituiscono un preziosissimo lascito per Francesco Impellizzeri, il giovane artista che incontrò Carla nel 1983, condivise con lei il rigore della ricerca e fu provvidenzialmente l’artefice di un meticoloso riordino del materiale del suo già allora immenso archivio. Un sodalizio tra pari, e non tra allievo e docente, che la scomparsa di Carla Accardi ha bruscamente interrotto.

Proprio a Impellizzeri abbiamo rivolto qualche domanda.

Francesco, come e quando hai conosciuto Carla?

L’ho conosciuta nel 1983 in occasione di una sua mostra personale ad Erice (TO) alla Salerniana (N.d.R.: spazio espositivo di grande prestigio). Me la presentò un giornalista, quando lei seppe che avevo appena terminato a Roma l’Accademia di Belle Arti e non ero mai andato a trovarla, mi propose di chiamarla appena tornato dalle vacanze “Sono sull’elenco telefonico”, disse.

La chiamai a settembre e, dico sempre, la prima volta che feci quei quattro piani di scale non pensavo che sarebbe stata poi una consuetudine fino al 2014. Dopo quattro anni che ci frequentavamo, e andavamo a vedere le mostre insieme, le mie, le sue, venne a cena e quando vide il mio studio (N.d.R.: Francesco Impellizzeri è un artista estremamente ordinato!) mi chiese di darle una mano a sistemare l’archivio dei suoi cataloghi; e io andai. Siamo nell’autunno del 1987.

Un giorno mi chiese un parere su un dittico al quale stava lavorando, un’opera che poi fu esposta alla Biennale di Venezia; in effetti notai un punto nel quale mi sembrava mancasse qualcosa e glielo dissi, Carla mi confermò di aver avuto la stessa impressione, così intervenne e modificò il suo lavoro.

Da quel momento in poi cominciai ad andare tutti i giorni al suo studio e mi misi a sistemare le sue opere e il suo archivio, quello delle opere, quello fotografico e anche quello delle sue foto e documenti personali. Seguivo le sue mostre, collaboravo alla scelta delle opere e si è venuto a creare un bel rapporto, un vero dialogo tra due artisti che erano nati nello stesso luogo, con il passare del tempo per alcune cose le parole potevano anche essere superflue: ci intendevamo solo con lo sguardo.

Mi chiedeva un suggerimento, ma la mia risposta si basava sull’osservazione dei suoi lavori precedenti, io non avrei mai espresso un parere legato a me, qualcosa che non fosse obiettivo, perché non sarebbe stato accettato. Lei era anche meticolosa nel disegnare e realizzare bozzetti, disegni o dipinti piccoli su carta che poi elaborava successivamente, nulla era casuale.

Hai mai avuto delle difficoltà nel lavorare a questo importante incarico che ti aveva assegnato?

In realtà era molto piacevole, si discuteva in modo molto leggero, anche se, essendo entrambi rigorosi ed esigenti, il lavoro in se impegnava molte energie e man mano che il mio lavoro d’artista si intensificò, dal 1990 in poi, cominciai a rallentare la mia presenza quotidiana allo studio, ma il dialogo, anche solo telefonico, non si interruppe mai.

C’è stato bisogno di aiuto, ma io restavo comunque a supervisionare che tutto fosse archiviato correttamente con le indicazioni che Carla stessa mi diede all’inizio, nel 1987, con le opere per la Biennale dell’anno successivo praticamente quasi pronte: era molto attenta a programmare e ad anticipare i tempi di realizzazione.

Dopo il grande successo della Biennale il lavoro si intensificò perché ebbe molte richieste e molti inviti a nuove mostre.

Sul piano personale, ci sono stati dei momenti nei quali si è lasciata andare a qualche confidenza, si è mai sfogata con te, esprimeva il suo disappunto o il suo stato d’animo per qualcosa che la contrariava o che la vedeva fragile?

Carla non parlava molto dei suoi problemi, era molto discreta, l’unica cosa che ricordo bene riguardava la maternità: temeva di non riuscire a recuperare il tempo che non aveva trascorso con la figlia per essersi dedicata interamente all’arte.

Va detto che caratterialmente era fatta proprio così: quando iniziai ad occuparmi anche del suo archivio privato ebbi modo di leggere la sua corrispondenza ed emerge una riflessione su se stessa quando scrive che la Carla-ragazza non c’è più (e lo scrive nel 1945!), che i discorsi vani, leggeri delle sue amiche non le appartenevano più, capiva di non poter condividere più nulla con queste persone e aveva la necessità di nutrirsi d’altro.

Persino le lettere a Sanfilippo sono resoconti di acquisti di tele e colori, di opere appena realizzate, insomma l’arte fu subito al centro dei suoi pensieri e della sua vita.

Poi, certo, era molto legata al padre che fu fondamentale nell’incoraggiarla, era appassionato d’arte, le acquistò dei libricini su Mondrian, su Kandinskij, etc., per farle conoscere le novità dell’arte dei primi decenni del Novecento, nonostante lei all’epoca si muovesse ancora nel figurativo.

Aveva piena padronanza tecnica nel disegno e nella figura, come si può vedere nelle opere in mostra, ma posso testimoniare che realizzò ritratti bellissimi anche negli anni ’70. Per tornare sul suo carattere, Carla non cambiò mai, conservò fino all’ultimo questo suo piglio di donna dalle idee ben chiare.

Percorrendo le sale, si vede chiara la scoperta del colore assieme all’utilizzo di nuovi materiali, come il sicofoil (pellicola polimerica composta di acetato di cellulosa ndr) …

Sì, il materiale plastico le piacque molto, chiese addirittura alla fabbrica che ne aveva lanciato la produzione quale tipo di colori sarebbe stato più opportuno usare… Le risposero che non potevano suggerirle nulla, perché l’artista era lei e non potevano permettersi di dare una risposta; così provò mescolando tempera alla colla oppure usando le vernici, ma furono quest’ultime a resistere di più sulla superficie lucida, le altre opere hanno subito qualche distacco.

Alcuni fogli rimasero arrotolati, altri sono stati montati su telai, ma subito ha voluto realizzare questa prima tenda (1965-66), disse di essersi ispirata al Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, per riprodurre l’idea di uno spazio invaso dal colore. Io penso sia anche presente Piero della Francesca con l’affresco di Arezzo del Sogno di Costantino.

Ha usato molto i colori complementari, vero?

Sì! La vibrazione del colore per dare un effetto luminoso, per la luce. E si muoveva con grande nonchalance nel creare segni esatti sulla superficie. Sempre dopo aver eseguito un bozzetto.

So che l’allestimento di questo progetto espositivo, seppure eccellentemente pensato e strutturato dalle due curatrici, ti ha molto impegnato…

Sì per due settimane consecutive non mi sono praticamente mosso da qui, mi ero reso subito disponibile. Daniela e Paola hanno chiesto il mio parere sull’allestimento, non mi sono risparmiato nel dare i suggerimenti che Carla avrebbe dato, e adesso sto condividendo con loro gli apprezzamenti per la mostra, anche gli applausi d’entusiasmo che non ci aspettavamo.

Parliamo dell’opera Origine, della sua particolarità e diversità rispetto all’intera produzione artistica di Carla Accardi, ci racconteresti come e perché decise di realizzarla?

È un’opera importante, un’opera spartiacque. Fu quando, dopo la chiusura del lungo rapporto che la legò a Carla Lonzi e al gruppo Rivolta Femminile, fondò con altre artiste la Cooperativa Beato Angelico; era il 1976 e pensò di realizzare un lavoro nuovo che segnò un cambiamento radicale: non aveva mai usato la fotografia nelle sue opere precedenti.

Si trattava di creare un corridoio, un “ambiente”, qualcosa di molto coerente con il suo percorso; il materiale era il sicofoil e il punto di partenza era l’immagine di una sua antenata molto anticonformista e fuori dalle regole alla quale, dicevano in famiglia, assomigliava molto.

Carla lo considerò un complimento, le piacque al punto che divenne quasi una bandiera quell’idea di sentirsi molto diversa dalle altre. Nell’opera sono presenti le foto di sua madre che fu mandata da ragazza a studiare a Roma, dove tornò successivamente in viaggio di nozze dopo aver sposato a Trapani il padre di Carla. Era importante raccontare quanto Roma fosse presente nella storia della sua famiglia.

L’allestimento di Origine nel 1976 era limitato alle fotografie che ritraevano la madre, ma nel 2007 si aggiunsero le foto di Carla ed è questa la versione che vediamo in mostra: nella primavera di quell’anno fu invitata al Centro Luigi di Sarro per una mostra con Jannis Kounellis e Alighiero Boetti dal titolo Cose (quasi) mai viste e mi chiese di darle concretamente una mano ad assemblare l’opera tagliando delle strisce di acetato, soprattutto recuperando in parte le foto di sua madre che io avevo già visto nel suo archivio personale alle quali volle aggiungere le sue.

In sostanza si trattò di una narrazione che per alcuni aspetti potremmo collegare alle registrazioni delle sedute di autocoscienza, c’è nell’opera stessa un legame con quella pratica femminista. L’opera è importante perché segna un momento di passaggio, un distacco dalla Lonzi, che fu doloroso, ma per lei necessario.

Carla Accardi ha saputo dare il meglio di sé anche agli artisti che hanno avuto il privilegio di frequentarla, interessante a tal proposito, lo scambio con il poeta Valentino Zeichen. In mostra sono inoltre presenti alcune opere di altri artisti: erano quelle che Accardi custodiva nella sua casa-studio, ce n’è anche una tua, un dettaglio significativo del forte legame che c’era tra voi. C’è qualcosa di particolarmente prezioso che ti ha lasciato?

La nostra fu una grande intesa, il rigore, la precisione facevano già parte di me, per questo mi scelse come collaboratore. Il mio non fu mai un ruolo di assistente, tenevamo separate le nostre modalità creative, sento di averle tuttavia dato molto, ho scelto di sacrificare buona parte del mio tempo, ma io avevo davanti un monumento!

Una delle cose più importanti che mi disse una volta, e di cui faccio ancora tesoro, fu che lavorò molto e volentieri con i galleristi con i quali andava d’accordo. Se veniva a crearsi un rapporto d’intesa e di amicizia andava avanti, viceversa l’esperienza finiva lì.

Questa è stata una lezione importante che spiega in parte la nostra amicizia, il grande affetto che c’era tra noi e che, lo posso dire, si è esteso nel tempo alla sua famiglia; c’era una grande complicità anche perché entrambi eravamo nati a Trapani, ecco, questo ci univa molto.

Provavo soddisfazione quando accoglieva i miei suggerimenti che derivavano però sempre dalla profonda conoscenza del suo lavoro che avevo acquisito nel corso degli anni.

Fu così fino alla fine con Carla, ricordo persino l’elaborazione di bozzetti per le sue ultime mostre, un lavoro fianco a fianco, con molto amore per la sua pittura, sentivo l’importanza e la responsabilità di contribuire a tirare fuori tutta la sua energia d’artista.

Info mostra Carla Accardi

  • fino al 9 giugno 2024
  • A cura di Daniela Lancioni e Paola Bonani
  • Promossa da Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo
  • Ideata, prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo con la collaborazione di Archivio Accardi Sanfilippo
  • con il sostegno di Fondazione Silvano Toti
  • Palazzo Esposizioni Roma, Roma, via Nazionale, 194
  • orari dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 20.00, lunedì chiuso. L’ingresso è consentito fino a un’ora prima della chiusura – Tiket >> qui
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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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