Quando non eravamo uomini. Pietro Fortuna

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Al BPS 22 di Charleroi, al Musée d’art de la Province de Hainau è in corso Au temps où nous n’étions pas des hommes (Quando non eravamo uomini), la mostra di Pietro Fortuna è incardinata nella serie Glory, un ciclo iniziato nel 2010 al Tramway di Glasgow e seguito da altre esposizioni in diverse istituzioni museali.

Il progetto, risultato vincitore dell’edizione 2022 di Italian Council, si avvale della curatela del direttore Pierre-Olivier Rollin, che, nell’ambito della programmazione del museo belga, ha individuato in Pietro Fortuna:

un artista in grado di presentare, oltre ad un’acuta critica del pensiero dominante, l’apertura ad una nuova prospettiva che si affianca alle più recenti tematiche del dibattito filosofico e che merita di oltrepassare i confini del suo Paese”.

Si può dire infatti che Pietro Fortuna si sia ritagliato il ruolo di colui che può rammentarci una particolare condizione dell’essere umano; una condizione che ci appartiene, ma che abbiamo dimenticato.

In un allestimento che si dispone sulla diagonale di un ampio spazio, Fortuna presenta degli oggetti che non raccontano nulla, che non simboleggiano niente, sono scelti in base a un’esperienza che vuol essere priva di qualsivoglia narrazione.

Il discorso – se mai ve ne fosse uno – è un invito a ricondurci a quella condizione nella quale non esistevano immagini definite da un nome. Di conseguenza, si presenta impervia l’impresa di raccontare la mostra e analizzarla senza segnalare la presenza di oggetti dalle potenziali interpretazioni e dai molteplici significati, soprattutto dotati ciascuno di un nome e perfino di svariati sinonimi.

Come non pensare a Lacan davanti a una scatola di sardine? O a Cezanne, per esempio, davanti a delle mele ben allineate? E per chi vive a Roma la scatola di biscotti Gentilini può diventare fortemente evocativa.

Eppure tutti questi oggetti semplicemente sono non c’è in essi alcun finalismo da parte dell’artista, Fortuna agisce lasciando il senso sia all’essenza stessa delle cose che dispone con metodo, che all’interno di questo suo fare.

Quando da una superficie piana ricava dei cilindri non intende insegnarci nulla, non evoca, per esempio, la Torah, né vuole costruire un significato, quell’oggetto mostra una delle tante possibilità che ha di esistere, domani quei cilindri potrebbero farci pensare a qualcos’altro, mentre essi, pur avendo nel lavoro dell’artista un’indubbia centralità, non sono segni emblematici, non insegnano né ‘promettono’ nulla che sia al di fuori del loro essere cose.

Il ciclo Glory rappresenta il punto estremo di questo processo poetico: l’artista non osserva, non è un soggetto per un oggetto; gli oggetti -le cui dimensioni, peraltro, non sono pensate per gli esseri umani- sono pronti all’interpretazione, sembrano sul punto di assurgere a simboli, ma, come sostiene Fortuna, hanno la forza di non esserlo, appartengono a una condizione che precede l’attribuzione di un nome, la creazione di un linguaggio.

Anche il materiale grafico e fotografico che fa da contrappunto sulla parete non sottintende una progettualità, non illustra, non smaschera. Materiali poveri e nello stesso tempo maestosi nella loro gloria, una gloria che è sempre accaduta, sta nella natura, sta nella loro presenza in un momento infinito, senza un inizio né una costruzione logica.

Quando non eravamo uomini si offre al pubblico come­ una ricerca che si sottrae a una produzione artistica in condizione di soddisfare determinate aspettative, ponendo viceversa al centro del suo fare una serie di oggetti che bastano a se stessi, in grado di essere immediatamente pensiero.

Pietro Fortuna rammenta un tempo remoto, ma ancora presente, di memoria condivisa, un tempo nel quale abbiamo abitato prima che la ragione prevalesse sullo spirito e la creazione di determinati valori ci conducesse ad esperienze cieche, prive cioè di uno sguardo verso il concetto di vita, uno sguardo rivolto a noi, perché, ci ricorda l’artista, noi siamo già vita.

Info mostra Pietro Fortuna | Glory VI – Au temps où nous n’étions pas des hommes (Quando non eravamo uomini)

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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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