Genesi – Pentateuco 1. Dare un nome alle cose è farle esistere.

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Dare il nome alle cose è farle esistere. È dar loro una Genesi.

È il compito che si assume la Confraternita del Chianti nel primo capitolo di un progetto che, prendendo ispirazione dai cinque libri del Pentateuco, racconta –in un percorso pluriennale– le migrazioni. “Do nome a cose sconosciute“: si presenta così, la donna che chiamano La Nova. Viene da oltre il mare, e giunge nella Città Senza Odore perchè è lui a chiederlo: l’Uovo che porta dentro di sè.
Per lui sceglie quella terra, per costruire ciò che sarà. E per lui affronta, sola, un mondo che la guarda con sospetto e la allontana, perchè lei non sa capire: i suoi nomi per le cose qui sono sbagliati, come sono suoni inarticolati quelli che giungono al suo orecchio, davanti ai quali lei può solo sorridere, e sforzarsi come può di scalfire quel muro un mattone alla volta, un colpo alla volta, una parola alla volta, scrivendo e imparando parole che però si dissolvono come la polvere del gesso che gratta frenetico sui muri, l’unico arredo che basta a limitare una scena cui non serve altro.

Scelta efficace e molto interessante del regista Marco Di Stefano: dare un corpo alle parole, le stesse delle voci che si affastellano intorno alla nuova venuta. Per far sentire fisicamente il pubblico dentro la pelle della Nova, dividendo con lei il disagio del non potersi dire, anche nelle necessità più essenziali -e quindi concretamente non poter essere– la compagnia sceglie il paradosso di una lingua nata perchè tutti potessero comprenderla, l’esperanto, che qui si fa per lunghi tratti ostacolo invalicabile: LaNova sa cosa vuole, sa cosa vive. Ma non ci sono nel suo vocabolario parole giuste per dire ciò che ha intorno. Non per la fame, il bisogno, il lavoro. Ma neanche per il saluto, l’incontro e lo scambio. Così per tutti  eccetto, forse,  il ragazzo della panchina.
Il volto della Nova è quello di una Valeria Sara Costantin perfettamente padrona dei propri strumenti scenici -dal corpo, al volto, alla voce- il cui talento tiene il palco in modo ineccepibile e potentemente espressivo. Ma è un volto che riesce a diventare quello di tutti, che si spoglia di tempo, spazio e definizione per farsi universale, per affrontare un tema profondo nel modo più nudo e più vero, allontanandolo da ogni possibile retorica o sovrastruttura e portandolo a diventare semplicemente e totalmente  corporeo. La Nova è, prima di tutto e soprattutto, una donna. E una madre. E come tale a sua volta ha il compito di operare una seconda Genesi, –Mamma è solo un nome, ma è il primo nome per tutti– che  infatti è la ragione per cui agisce. E soffrendo genera, e nello sforzo dell’acquisizione della lingua crea.

Genesi di Parola –che è fiato e scrittura– e Carne. E il titolo e il rifacimento biblico, nel senso, di nuovo, più concreto e umano possibile, si mostrano quantomai calzanti. E da qui la fatica della Nova e il suo cammino possono progredire, così come per chi è generato anche per lei, che può iniziare a far crollare il muro, finalmente, e parlare a quell’unica persona che si è impegnata a sua volta a bandire la diffidenza. E avere finalmente una comunicazione condivisa.

Questo testo –firmato dalla fine penna della drammaturga Chiara Boscaro– raccoglie in sé molte facce: è un racconto elegante e vivido, è un mezzo di riflessione su un tema mai attuale come oggi con un taglio penetrante e acuto, ed è un indubbio atto d’amore alla parola, testualmente raffinato ma coeso, e alla potenza del linguaggio, in ogni suo aspetto, positivo o negativo che sia. Ne viene una pièce affascinante, in un’atmosfera che nella sua concretezza mantiene un carattere sospeso acuito dalle musiche di Lorenzo Brufatto.
Un progetto già internazionale –o per meglio dire, a propria volta migrante- visto che si avvale della coproduzione di Dot Spot Media Production da Bucarest. Perchè se è vero che all’inizio c’è sempre il buio, e che quello nella Babele del mondo è un viaggio necessario, la sintesi la contiene la Genesi: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola;
questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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