Nanda Pivano, la Signora America arriva in teatro. Intervista con Francesca Palumbo

immagine per Intervista con Francesca Palumbo su Fernanda Pivano

La voce della Beat Generation, l’alfiera della letteratura americana in Italia. Fernanda Pivano è diventata un simbolo. Per generazioni è stata la voce degli autori più amati, che da oltre oceano raccontavano un altro mondo possibile. Hemingway soprattutto, e poi Masters, Kerouac e Ginsberg, fino a Bret Easton Ellis.

Ma a farla amare, soprattutto, è la passione e la fiducia nei ragazzi, da parte di una donna che anche a novant’anni amava ammonire – scherzando, ma solo fino a un certo punto – di non fidarsi di chi ne avesse più di trenta. Fernanda Pivano, la Nanda per i suoi molti amici, da Lawrence Ferlinghetti a Vasco Rossi, e poi per tutti, faceva qualcosa di più intelligente, empatico e necessario della mera critica o della traduzione. Forse perché sapeva cosa vuol dire essere ragazzi, tra i sogni e la paura.

Alla distanza, proprio tra loro regge la sua statura di icona, nonostante, sempre più spesso, se ne discutano le scelte, i metodi, non di rado la biografia. Proprio da questa, è partita Francesca Palumbo per raccontarla in teatro, al Piccolo Teatro di Bari, in Effe Pi, il 19 aprile al Teatro Bravò.

Per provare a sintetizzare una teoria irripetibile d’incontri per una ragazza nata a Genova da figlia dell’alta borghesia di ascendenza scozzese, allieva e poi amata da Pavese (che le chiese due volte di sposarlo) e poi moglie (devotissima e molto umiliata) di Ettore Sottsass, prima di ogni cosa instancabile scopritrice di talenti, che senza di lei l’Italia non conoscerebbe.

Abbiamo parlato con Francesca Palumbo, scrittrice, per riflettere sul senso di raccontarla sulla scena.

“Sono stata sempre abituata ai Tascabili, quelli che i ragazzi si potevano infilare nel cappotto e uscire dalla libreria senza pagarli. Coi classici non possono farlo. Adesso sono un classico!” All’uscita dei suoi Diari, Nanda Pivano risposte con questa battuta. Tu perché hai scelto di raccontare Nanda Pivano?

Proprio a partire dalla lettura dei Diari, dettagliatissimi e pieni di spunti, nomi, storie. È stata proprio la poliedricità della sua persona ad attrarmi: Fernanda era una donna tanto intellettualmente vivace quanto complessa.

Che cosa racconta Fernanda alle ragazze di oggi?

Il coraggio e la libertà, anche se lei lo faceva con un certo rimpianto di non essere stata libera abbastanza, condizionata com’era dalla rigida educazione ‘vittoriana’  respirata in famiglia e da un certo modello maschile che, visto con gli occhi di oggi, l’ha molto condizionata.

Perché, delle tante forme per raccontarla, il teatro?

Ho scelto di raccontarla attraverso un reading, una performance teatrale, in primo luogo per una sfida con me stessa, che ho sempre scritto narrativa. Volevo sfidarmi con una scrittura diversa, che va per sottrazione. Per fare questo ho scelto di farmi affiancare da un regista e attore, un esperto di teatro, che apprezzo molto come Maurizio De Vivo. È stato difficile riuscire a far rientrare nello spazio di poco più di un’ora il racconto di una vita estremamente ricca.

Una vita ricca, ricchissima di presenze. Impossibile farle vivere tutte in scena. Quali e come hai scelto?

Da un vissuto così ricco di dettagli e incontri, esperienze e situazioni, mi è sembrata un’operazione titanica quella di selezionare sempre più solo quelle informazioni che potessero risultare le più simboliche e significative della sua esistenza. Per certi versi mi è risultato anche doloroso dover omettere tanti episodi interessanti della sua vita, ma allo stesso tempo  ho trovato forza nell’idea di disciplina e coerenza che proprio lei mi ha sempre rimandato attraverso il suo lavoro: la cura e la scelta precisa delle parole.

Enrico Rotelli, l’ultimo assistente, dice una cosa bellissima: “Nanda dava valore alle mie ambiguità e incertezze”. Tu hai scelto di raccontare non solo i lati da ammirare, ma anche le fragilità e le contraddizioni poco raccontate: ad esempio, il suo rapporto con le donne. Michela Murgia una volta mi disse che a fare di lei una Morgana, mancava il coraggio di vivere quello che aveva portato a noi. Nel tuo testo, su questo, la fai rispondere.

Ho voluto raccontare i suoi talenti e la sua curiosità intellettuale, ma anche le sue fragilità e le sue contraddizioni. Non è questo essere umani? Trovo sia importante mostrare l’unicità e allo stesso tempo la stratificazione di pensiero che grandi personaggi come lei hanno abitato.

Questa operazione può aiutarci a sentirci, come esseri umani, più sostenuti e compresi, anziché sempre allineati e performanti. Come dicevo prima, comprendo bene la scelta di non ‘riconoscerla’ tra le Morgane, considerata la dipendenza affettiva dall’uomo di cui era innamorata e di cui ha subito le scelte e i tradimenti.

Fernanda Pivano e il femminismo. Lei si dichiarava fieramente antifemminista, perché ricordava di innumerevoli riunioni separatiste in cui lei arrivava da sola e le altre col fidanzato fuori. Io mi sono fatta l’idea che fosse, senza saperlo, una femminista intersezionale. Tu, studiandola, che idea ti sei fatta?

Non so dire se lei sia stata o meno una  ‘femminista intersezionale’; la definirei piuttosto una che non amava essere ingabbiata in etichette; trovo che sia un ossimoro voler definire Pivano inserendola necessariamente in una categoria. Lei era sicuramente una donna estremamente empatica e di intelligenza trasversale, se pensiamo a quanti ambienti diversi (intellettuali e alternativi, meditativi e creativi) ha frequentato.

“Vorrei aver scritto tre righe che la gente si ricordi”, diceva alla fine della sua vita, non senza dolore. Secondo te, quali sono?

Le prendo dal suo romanzo Cos’è più la virtù di cui adoro l’explicit: ‘Finché un giorno accadde qualcosa. Un giorno in un bagliore di fiamme gialle e una puzza di zolfo qualcosa mi bruciò nel cuore. Fu un gelido fuoco sinistro. Dissi: “Che strano.” Pensai: “È l’Araba Fenice?”

In quel testo Pivano si chiede se la vera trasgressione non sia in fondo una fedeltà non richiesta: non è così semplice trovare, nella narrativa italiana, scrittrici che propongano una lettura talmente ironica e umoristica della realtà, facendosi domande sul senso della virtù; Trovo che Pivano qui ci sia uno degli apici del suo controcorrente, e questo paradossalmente la renda più rivoluzionaria che mai.

Tutto lo spettacolo è un dialogo con Nanda. Chi l’ha conosciuta dice: “Lei credeva davvero che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo”. Tu cosa avresti voluto poterle dire?

Non sarei consolante: dovrei dirle che tutti i meravigliosi messaggi di pace e bellezza che ci ha lasciato restano ancora chimere, per come stanno andando le cose. Ma leggere e rileggere ciò che lei ha tradotto resta per noi una grande eredità, consolatoria, in tempi bui come quelli che stiamo vivendo.

La musica uno dei grandi amori di Nanda. Come ci avete lavorato?

Lo confesso, la selezione degli autori e autrici che ho incluso nello spettacolo ha seguito per lo più i miei personalissimi gusti. Avrei potuto pescare in una lista, anche in questo caso, sterminata, tra i suoi amici musicisti. Dovendo restringere, ho scelto tre capisaldi: De Andrè, Patti Smith e Bob Dylan.

F. P. Le tue iniziali sono le stesse di Nanda. Cos’altro avete in comune, o cosa avresti voluto poterle “rubare”?

Con il titolo ho voluto suggerire una sorta di immaginifica sovrapposizione tra noi, visto che parlo in prima persona, per aiutare l’immedesimazione. Con questa donna meravigliosa ho in comune la passione per la letteratura americana, l’amore per la parola, peri testi in lingua originale e le loro traduzioni, il grande viaggiare, la inesauribile curiosità intellettuale e la ricerca continua di esperienze appaganti e nuove. Avrei voluto poterle ‘rubare’ la grande capacità di ‘fiutare’ il futuro e di entrare in contatto, così facilmente ed empaticamente, con tutte le menti geniali che ha incontrato.

«sii un po’ felice, meglio se molto».

 
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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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