Esodo – Pentateuco #2 Diego Runko racconta l’Istria

Esodo - Ph. Mariangela Berardi

«Adesso sai perchè non sono mai partito da Pola, mulo» E’ il 25 giugno 1991, Il giorno in cui la Croazia dichiara la propria indipendenza dallla Jugoslavia. Il vecchio Rudi racconta a un ragazzino di dieci anni, nipote del suo migliore amico Gildo. Rudi non è mai emigrato, ma tanti ne ha visti partire. In questo senso è un protagonista atipico del secondo monologo del progetto Pentateuco, che la Confraternita del Chianti dedica alle migrazioni, in scena al Teatro Verdi di Milano e coprodotto col Dramma Italiano di Fiume
Il secondo libro del Pentateuco è l’Esodo. Ed esodo è chiamato quello degli italiani d’Istria, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Anche questo titolo però è atipico, e riduttivo.

Quello che Rudi racconta non è l’Esodo. È la sua storia, cioè molto di più. Sogna l’America, Rudi, ma suo padre gli ingiunge di partire «da uomo»

E uomo diventerà. Non subito però, non quella notte degli anni Trenta tra le braccia di una donna con un dente d’oro, preparato allo scherno Gildo e Franco, amici o piuttosto fratelli, e alla benevola comprensione di don Zeljko, che per l’anagrafe fascista si chiama Desiderio. Il viaggio, il sogno della sua vita, dovrà essere rimandato. E saranno i rinvii, a renderlo uomo: gli insegneranno il dolore, la perdita, la solitudine, la fatica, il tradimento, e l’amore. Perchè mentre Rudi sogna, intorno gli accade la Storia, quella con la maiuscola, quella che cambia con la forza le storie degli uomini.

Si susseguono appartenenze, comandanti, divieti che mutano, i nomi della terra che rimane la sua, la stessa.

I fascisti partono e arrivano gli Alleati, poi i titini, e il mondo di Rudi ragazzo cambia, crolla un pezzo alla volta per ogni nuovo arrivo. I genitori, gli amici, i maestri vengono meno, «La misericordia è una bella favola, l’intelligenza un ricordo». Rudi lotta per sopravvivere dignitosamente, lavorando come può, protetto da quei pochi generosi insospettabili che riescono a non perdere la propria umanità, come la Madama che lo aveva reso uomo, e ora sfrutta il proprio ruolo per permettergli di dare a sua madre onorevole sepoltura.

Mentre la vita di Rudi procede, attraverso aneddoti rocamboleschi in cui trovano spazio Tito e Alida Valli, ma anche Sergio Endrigo, il racconto del tempo della storia scorre all’indietro attraverso altri volti, colti nella loro lingua: l’inglese del soldato tifoso del Liverpool, Il croato del giornalista locale, lo sloveno di Don Zeljico; tutti si stanno avvicinando senza saperlo, destinati a incontrarsi nella lingua paradossalmente condivisa, il dialetto polesano di Gildo, che sta pescando con le bombe in un giorno di zanzare quando poco oltre esplode la spiaggia. È il 18 agosto del 1946: La strage di Vergarolla, l’inizio dell’Esodo.
Ci sono molti modi di affrontare un tema delicato come quello della questione istriana. La Confraternita del Chianti sceglie la pregnanza della storia delle persone, con la cura di chi ne è toccato. A dare corpo, uno dopo l’altro, a tutte queste voci è Diego, che di cognome fa Runko ed è il mulo che le storie di Rudi le ascoltava quando aveva dieci anni, e adesso le scrive – sostenuto dalla penna di Chiara Boscaro e dalla regia di Marco di Stefano – e le porta in scena, con una impeccabile prova d’attore, in cui anche i dettagli sono preziosi.
La compagnia sceglie la grazia di un testo che non sfugge, non nasconde, non cerca comodi cerchiobottismi ma non indugia nel sensazionalimo delle prese di posizione troppo nette. Non manca nulla della Storia dei popoli, nella storia degli uomini, eppure tutto è raccontato con una lievità misurata ma efficace. Una cosa si, manca: la pretesa di attribuire la verità, una coloritura di parte – qualsiasi essa sia. Un tema troppo spesso ritenuto politico nel senso partigiano del termine, evitando questo pericolo lo diventa nel suo senso più pieno: la storia di una collettività di persone, e si, anche di una città, Pola, o Pula, in croato.
E il buio, come sulla scena, è rischiarato da colonne di luce singole: Le singole persone, ciascuna con le proprie motivazioni che lo spingono ad agire, e le singole ragioni. Inutile sforzarsi di cercarne una sola, e forse persino disonesto, perchè bisognerebbe immaginarla, « E adesso potete smettere di immaginare, perchè la realtà, a volte, supera la vostra immaginazione»

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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