PordenoneLegge #5. Vandana Shiva la democrazia della vita e il premio Dolomiti UNESCO

Vandana Shiva
Vandana Shiva

Vandana Shiva ormai è più che un nome. É un simbolo. Delle lotte per la salvaguardia della biodiversità, dell’ecologia, della cura della terra. Lo è diventata perchè ha saputo «cambiare le pratiche e i paradigmi del rapporto tra uomo e natura». Le sue parole hanno scosso, provocato, informato, sospinto. E anche per questo a Pordenonelegge le viene consegnato il premio Dolomiti UNESCO.

La conservazione ha senso soltanto in funzione della consapevolezza. Altrimenti resterebbe, spiega l’ente, nient’altro che lettera morta.
Ma per generare consapevolezza bisogna fornire conoscenza, e l’intervento di Vandana Shiva è un’appassionata requisitoria che tocca tutti i temi che l’hanno resa una delle voci più ascoltate e scomode degli ultimi decenni.

Prima di tutto la globalizzazione: nient’altro, dice la scienziata, che una «nuova forma di colonialismo diventata progetto completo di furto delle terre» i cui contadini però continuavano a pagare le tasse e a subire gli attacchi dei militari che proteggevano i colonizzatori, come nell’India degli anni Quaranta. Uno sfruttamento che nel tempo ha acquisito forme più subdole, come quello del brevetto posto sui semi i cui coltivatori ne diventavano ladri finchè non li acquistavano, accumulando crediti pagati spesso con la vita.

Quello che Vandana Shiva auspica è invece una scelta condivisa di «cittadinanza planetaria». La coscienza cioè di essere parte tutti di uno stesso sistema, di uno stesso pianeta, che ci chiama a dei doveri, eppure uniti da una umanità comune. La globalizzazione, invece, è un processo non sociale, bensì economico, derivato da quella che la scienziata chiama «finanzializzazione» del mondo: la ricchezza in mano a un numero di fondi di investimento privato che si contano sulle dita di due mani e che intendono arrogare a sé ogni risorsa, ogni elemento naturale, così che sia monetizzabile. Come arrivare a questo? Come, spiega, è stato fatto in India. Imponendo una monocultura, sia essa di fagioli o di un solo tipo di olio, sul quale le grandi corporazioni detengono un brevetto.

Questo stato di cose non è tuttavia incontrastabile. Ad aver fornito una lezione su come farlo è proprio il padre della nazione indiana, Ghandi. Nel corso della sua disobbedienza civile auspicava, ad esempio, che ciascuno potesse costruire, con poco legno e pochi mezzi, così da provvedere a sé stesso. Se tutti fossero arrivati a un grado anche mimino di autosufficienza, il sistema avrebbe potuto incepparsi e crollare. Per questo i colonizzatori, racconta Vandana Shiva, tagliavano i pollici alle donne indiane: affinchè fossero costrette a dipendere. Così come a trovare sostituti del riso, prodotto in enormi quantità in India e poi esportato, portando alla morte 47 milioni di indiani per una carestia di fatto indotta.

La strada che Vandana ha scelto, è per alcuni versi vicina a quella del Mahatma. Accanto alle innumerevoli cause, anche ultra decennali, spinge a continuare a produrre ciò che è vietato, spingendo le persone a fare ciascuno la propria parte.
Non si deve però pensare che sia un’autarchia fine a se stessa, simile a quella che sembra propagandare Trump. Lui infatti, accusa Vandana Shiva «finge di interessarsi al tema», non occupandosi di altro che dell’aspetto finanziario.
Bisogna invece, secondo la scienziata, giungere ad un’autentica «democrazia della terra», che passa attraverso l’applicare tutti uno stile di vita ecologico e nel prediligere le colture locali. Una «democrazia della vita» dove a tutti è permesso di godere dei frutti della terra che qualcuno vuole possedere, di quei semi che in indiano si chiamano bigia: «vita che si perpetua da sola per sempre» come è possibile un marchio di proprietà su un sistema, come la terra, strutturato per autorigenerarsi, per essere vivo e vitale. Bisogna piuttosto imparare a sfruttare, questa vitalità, ad esempio scegliendo di utilizzare il carbonio vivente in luogo di quello fossile. Chimere? Progetti lontanti? Molto meno di quanto appaiano, sostiene la fisica indiana. Eppure necessari a «garantire prosperità alle prossime sette generazioni»

+ ARTICOLI

Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.