“Siamo domande che camminano”. Ho incontrato Elena Ferrante e ho visto che è bellissima

Festival delle Letterature

È una sera di giugno come tante qui a Roma, una di quelle calde in cui il giorno indugia finché può prima di cedere alla notte. La piazza del Campidoglio per la prima volta ospita il Festival Internazionale delle Letterature e questa è una sera speciale. Un pianoforte a coda solitario attende le dita abili di Gaia Possenti: con un proscenio simile la colonna sonora deve essere adeguata.

Lo confesso, sono qui per Elena Ferrante. Scruto tra il pubblico, osservo le signore un po’ avanti con gli anni, avanti con l’esperienza, con la saggezza. Magari è tra queste donne sedute dietro di me, che commentano come l’amministrazione comunale abbia trovato finalmente un modo giusto per utilizzare questo spazio. Non ci sono presentatori, non serve quando a parlare è la letteratura, quella vera.

Mi emoziona ascoltare Eric-Emmanuel Schmitt mentre legge il suo racconto inedito, scritto per l’occasione. Lo fa in un francese avvolgente, gentile, mentre le parole in italiano scorrono sullo schermo. Ma si capisce anche senza leggere. “La letteratura non racconta la storia ma una storia. Un testo senza referente che ha. in sé, la ragione di esistere”. Lui ci spiega perché dovremmo leggere narrativa, e lo racconta con tale trasporto e passione che vorrei dirgli che lo so, è così, ma molti sembrano averlo dimenticato. “La letteratura non è condivisione di sapere ma condivisione di ignoranza. Siamo domande che camminano.”

La mia prima domanda, quella che forse non avrà risposta ma che stimolerà altre domande,  è su Elena Ferrante. Come può una scrittrice straordinaria, che ha regalato e regala al mondo storie come L’amore molesto, I giorni dell’abbandono, la trilogia de L’amica geniale, decidere di NON apparire, di NON essere presente mai, in nessuna circostanza, tanto che non sappiamo neppure quale sia il suo vero nome? Nell’era della comunicazione digitale, veloce, invasiva, di lei non abbiamo neppure un’immagine, non sappiamo chi sia. Eppure… eppure la conosciamo bene, intimamente, perché abbiamo le sue storie. Nelle sue parole lei diventa trasparente, si svela più di quanto sarebbe possibile con la presenza fisica. E abbiamo il tempo, leggendola, di scoprirla nel profondo della sua anima. Che anima bella!

Nella magia di una sera di giugno Roma è stata cullata dalla lettura leggera di alcuni suoi testi. Anna Bonaiuto e Michela Cescon ci hanno recitato un pezzo del mondo di Elena Ferrante, e ci hanno trasportati lì, in quei luoghi di Napoli dove la vita è un “gomitolo che si dipana” e la scrittrice ha in mano il bandolo per poterlo fare.

Devo ringraziare Jhumpa Lahiri, la scrittrice bengalese, pluripremiata, osannata in tutto il mondo, che si è posta al servizio della letteratura mettendo sé stessa in secondo piano. Non si è parlato dei suoi libri. Lei ci ha letto due lettere scritte alla Ferrante, proprio in preparazione di questo Festival. E lì c’erano tutte le domande: la mia prima e quelle che sono venute dopo. Scegliere di non apparire nell’epoca dell’apparenza selvaggia è un atto coraggioso. Ma Elena lo ha detto: i miei libri devono parlare per me, se hanno un qualche valore. Lo scrisse nel ’91 alla sua editrice Sandra Ozzola Ferri (E/O edizioni), in occasione dell’uscita di L’amore molesto: “Non ho affatto bisogno di pubblicare questo libro”. Che coraggio! Oggi non oseremmo neppure pensarlo. Ma ha ragione lei, le nostre parole devono parlare per noi, lo scrittore deve scomparire se la sua storia ha la dignità e il valore per poter emergere.

Lo scrittore scrive i suoi libri per creare un contatto con il lettore e, allo stesso tempo, per mantenere una certa distanza. Ha bisogno del contatto ma, allo stesso tempo, lo teme. I libri sono il tramite, il filtro. Lo ha detto Jhumpa Lahiri e mi piacerebbe tanto sentirlo dire da altri autori. Manchiamo di onestà intellettuale, questa è la realtà, e siamo in troppi a sentirci scrittori. Annaspiamo per essere visibili, per conquistarci una fetta di pubblico annoiato e stanco, siamo in perenne presenza quando dovremmo coltivare la nostra assenza. Dovremmo coltivare rapporti intimi con le parole che vogliamo scrivere e chiederci ogni giorno perché riteniamo giusto farle leggere ad altri. Elena ha avuto la fortuna di incontrare i lettori quando ancora non c’era la dittatura del web, e questo l’ha salvata. Ma noi non possiamo salvarci dalla cattiva scrittura. Lei ha scommesso, ma non aveva nulla da perdere perché scrive cose straordinarie.

Ascoltando i racconti di Schmitt e della Ferrante io mi sono sentita piccola, inadeguata, ma felice. La letteratura non è morta se ancora è possibile emozionarsi alla lettura di racconti, sapendo che chi li ha scritti è lì, vivo, reale. Anche Elena, sì. Magari seduta accanto a me.

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Cetta De Luca, scrittrice, editor e blogger vive a Roma. Ha al suo attivo sei pubblicazioni tra romanzi e raccolte poetiche. Lavora nel campo dell'editing come free lance per la narrativa e collabora alla revisione di pubblicazioni di didattica nell'ambito letterario. Cura un blog personale http://www.cettadeluca.wordpress.com e spesso è ospite dei blog Inoltre e Svolgimento.
Nel poco tempo libero che le rimane tra lavoro e figli si impegna nell'organizzazione di eventi per il mondo letterario e, nello specifico, per gli scrittori.

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