Il Cile in Italia. Intervista all’Addetto Culturale Antonio Arévalo

Il Cile in Italia. Intervista all'Addetto Culturale Antonio Arévalo

Da oltre un anno Antonio Arévalo, su diretta nomina della presidente Michelle Bachelet, è il nuovo Addetto Culturale del Cile in Italia. Un incarico che giunge dopo svariate stagioni nelle quali il critico e curatore d’arte contemporanea ha alternato l’interesse per i fenomeni creativi europei all’attenzione, mai interrotta, per ciò che si muoveva nel mondo dell’arte latinoamericana.

Quando scelse l’Italia il giovane appassionato d’arte Antonio Arévalo cosa trovò? Era vivace o stagnante il clima intellettuale in quegli anni? Trovasti profonde differenze con l’ambiente creativo cileno?

“Ero molto giovane per cui i primi anni li ho vissuti intorno alla comunità dell’esilio cileno che era arrivata a Roma, provenivo da un vero shock, da un clima di persecuzione, di tortura e di morte, pensando sempre che le cose sarebbero cambiate, che il dittatore sarebbe stato abbattuto, se ne sarebbe andato di lì a poco, ma non fu così.
Andavamo in ogni luogo che ci accoglieva per denunciare il clima di terrore che si viveva in Cile: festival, manifestazioni, incontri, conferenze, sono cresciuto in quell’ambiente, più che altro quell’ambiente mi fece da madre e da padre.
Mi colpì moltissimo l’attentato a Bernardo Leighton, dirigente democristiano cileno, cui spararono nei pressi del Residence Aurelia a Roma, l’esilio voleva dire anche questo: c’erano attentati contro di noi a Washington, a Mendoza e ora i tentacoli di Pinochet arrivavano anche qua.
Mi toccò vivere la tragicità della morte di Pasolini, ce lo annunciò Rafael Alberti; io avevo appena cominciato a leggere Ragazzi di vita, ricordo ancora le parole di Alberto Moravia al suo funerale, una grande rabbia di poesia.
Poi le BR e il sequestro Moro.
Ma arrivò la fine degli anni settanta, il clima italiano era vivacissimo, il popolo partecipativo, la gioventù era attivista. Roma era meta dei grandi intellettuali e poeti, si frequentavano le cantine teatrali sperimentali. Nasceva la nuova spettacolarità. Io sono figlio di tutto questo. Tutto questo fa parte della mia seconda vita.”

Il panorama italiano, di cui sei profondo conoscitore, ha ancora spunti innovativi sul piano creativo? L’Italia risente in qualche misura di essere un paese nel quale le iniziative culturali faticano ad affermarsi e a ottenere supporto da parte delle istituzioni?

“Il panorama mi sembra stagnante, ci sono germi di resistenza, questo lo vedo soprattutto nella performance: i performer sono solidali fra loro, al contrario, negli altri settori, viene prima la strategia, un sistema logoro.”

Anche il mondo del teatro e quello della poesia hanno uno spazio importante nel tuo percorso, non solo di ricerca, ma anche di pratica, essendo tu stesso un poeta; quali esperienze ti sono rimaste più nel cuore in questo particolare ambito espressivo e quali consideri ancora attualissime?

“Sicuramente all’inizio fu la poesia visiva che camminava a pari passo col Gruppo 63: gli Emilio Villa, gli Edoardo Sanguineti, i Plinio de Martiis, i Fabio Sargentini. Poi, però fui attratto selvaggiamente dall’immagine teatrale/visiva, dall’antropologia teatrale degli Eugenio Barba, dal Living Theatre e da Grotowski.

Sono cresciuto culturalmente vedendo la Socìetas Raffaello Sanzio, i Magazzini Criminali, il Falso Movimento, la Gaia Scienza. Ho avuto un grande maestro, Mario Ricci, padre del cosiddetto Teatro Immagine. Ma la mia seconda vita comincia dalle mie letture di Georges Bataille e il mio incontro teatrale con Caterina Merlino al Teatro dell’Aleph di Roma. Nel piano visivo, sono rimasto e rimango ancora, molto attirato dalle proposte di Stefania Miscetti, che è stata la prima a proporre a Roma, in Italia, William Kentridge, Nancy Spero, Yoko Ono e Alfredo Jaar, fra gli altri.”

Dopo aver dato vita al Padiglione del Cile alla Biennale di Venezia nel 2001, ne sei tornato curatore nel 2005, con protagonista Ivàn Navarro, nel corso degli anni ci sono state numerose collaborazioni con l’Istituto Italo-Latinoamericano di Roma; il legame con la tua terra è profondo e viscerale: osservando a distanza i fenomeni culturali di luoghi ben conosciuti, ma lontani, spesso si ha maggiore lucidità e serenità d’analisi, è così anche per te?

“Latinoamerica rappresenta un continente che raccoglie in se un mondo, mi affascinano le sfaccettature. Da una parte i poeti, dall’altra i romanzieri, le architetture, la natura intatta e selvaggia; da una parte le metropoli e dall’altra i deserti sconfinati, le cordigliere, gli oceani.
Vivere a Roma ha significato per me la possibilità di guardare da lontano delle realtà, che spesso sono le più interessanti a livello culturale, lo è il Centro America, l’America più a Sud, sono luoghi dove il conflitto e la solidarietà sono una costante. L’ho visto a San Salvador, in Guatemala, in Cile, soprattutto durante la dittatura.”

In occasione di un incontro al MAXXI hai avuto modo di dichiararti fortunato perché lavori per un paese non depresso; in effetti, hai già presentato diverse iniziative culturali in poco più di un anno, alcune delle quali nei prestigiosi locali dell’ambasciata: una delle ultime, in ordine di tempo, un omaggio a Sebastián Matta. Racconteresti ai lettori di Art a Part of Cult(ure) le esperienze recenti più significative e i prossimi progetti e appuntamenti?

“Il Cile sta producendo moltissime proposte interessanti, ma stiamo parlando di un paese anomalo, è il paese di Gabriela Mistral (Nobel 1946), Neruda (Nobel 1972), Sebastián Matta, Alejandro Jodorowsky, Ignacio Matte Blanco e altri personaggi più contemporanei, come Isabel Allende, Luis Sepúlveda, e altri ancora, già conosciuti da voi, come Marcela Serrana o Antonio Skármeta. Aggiungici quelli di cui si parla oggi e ora, come lo scrittore Roberto Bolaño, Alejandro Aravena (neo Direttore della prossima Biennale di Architettura di Venezia) o Pablo Larrain (candidato agli Oscar con il suo ultimo film El Club).
Essere Addetto Culturale del Cile in Italia è rappresentare questo al meglio, capire quali sono i migliori interlocutori, internazionalizzare tutto ciò: questi sono i tuoi compiti.
Tra le cose più importanti, oltre ad aver aperto la sede con i giovedì di cinema in Ambasciata, al Leone d’Argento alla Biennale d’Architettura di Venezia, alle mostre di argenteria autoctona, (prima al Museo Pigorini di Roma e poi a quello della Montagna di Torino) c’è stato l’omaggio a Sebastián Matta, al quale è stata intitolata una sala della sede diplomatica; ma anche il bombardamento poetico del collettivo Casagrande a Piazza del Duomo a Milano, la costante collaborazione con l’EXPO di Milano, con il MAXXI, con la Festa del Cinema e l’omaggio al cinema di Pablo Larraín e, infine, le recenti celebrazioni per Gabriela Mistral a Roma e Napoli, settant’anni dopo il Nobel.
Nel futuro vedo stretta collaborazione con la Sicilia, dove uno tra i più rinomati cileni, Raul Ruiz, fece grandi cose.”

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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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