Festa del Cinema di Roma #3. La diseducazione di Cameron Post. C’era una volta l’orgoglio di essere giovani ed anticonformisti.

The miseducation of Cameron Post è un film targato Usa della regista Desiree Akhavan, di origini iraniane, tratto dal bestseller omonimo di Emily. D. Daunforth e vorrebbe essere un chiaro manifesto sulla omosessualità, attraverso una accurata descrizione dei dettami delle nuove terapie di rieducazione etero: le conversion therapy, inventate in America e poi diffuse in tutto il mondo. Si tratta di sradicare gli impulsi omosessuali dei teenagers (anche adulti), al pari delle terapie per guarire i tossicodipendenti. Una maniera da parte di genitori deboli o troppo conformisti di far uscire i loro confusi figli adolescenti dai loro problemi ormonali, e pertanto più soggetti a questa “terribile malattia” secondo il mai sopito puritanesimo americano.

immagine per The miseducation of Cameron Post

Fortunatamente il campo di riabilitazione, il centro religioso di diseducazione all’omosessualità, God’s Promise, non usa castrazioni chimiche od elettroshock come una volta, ma una dolce miscela di religione e di senso di colpa su ragazzi che vivono nel campo una vita quotidiana convenzionale. Solo che “tutto ciò che è divertente è opera del Maligno” dicono seguendo la Bibbia gli insegnanti del corso (dottori o preti che siano) con il risultato di una grande depressione e tristezza. Occorre, continuano gli insegnanti, soffocare la parte di se che vuol provare il proibito attraverso sensazioni di vergogna e disistima (un po’ lontano dalla filosofia americana del self made man, n.d.r). Il tutto per far ritornare pian piano ad una normalità eterosessuale.

In un luogo, un campo di addestramento nella foresta, come nelle vacanze scout, dove si possono fare lunghe passeggiate o corse nei boschi (magari coltivando piantine di marijuana). Con riunioni assidue di autoanalisi collettive (come gli alcoolisti anonimi) con metodi buonisti che cercano di estirpare il male passato e quello che ne è rimasto dentro, che ritorna infatti in incubi ricorrenti. Non è una atmosfera di punizione e di terrore ma più di comprensione e di aiuto. Lo stesso reverendo Rick (John Gallagher Jr.), consigliere dei giovani è uno che ha usufruito del trattamento.

Ed il film non è un’accusa o una ribellione al sistema. In fondo il sistema ha creato un suo sottosistema che allinea tutto ad altre convenzioni, in cui ogni identità sessuale è una parte essenziale della nostra esistenza e va capita e curata. Solo che la stessa banalizzazione di questo teorema è la banalizzazione di un film che non dice molto, in cui la protagonista di 16 anni (Chloe Grace Moretz) con una recitazione trattenuta, quasi sfuggente in un comportamento riflessivo, con poche espressioni e molti silenzi, non arriva a manifestare i suoi tormenti emozionali né tanto meno la dignità di un’anima offesa.

La sua storia rivive solo attraverso piccolo flashback in cui la delicata relazione con l’amica del cuore Coley (Quin Shepard) viene denunciata da un ragazzo innamorato e risolta da una zia bigotta con la stessa Coley che si chiama fuori (e queste forse sono le note più importanti sull’ipocrisia americana).

Il film nella sua estrema linearità, pronto sempre a semplificare più che a complicare e pervaso di accenni di humor rischia di diventare spesso una insipida sit-com buonista, politicamente corretta. Nemmeno il tentativo di evirazione da parte di un amico del campo, il fragile Mark (Owen Campbell) e la successiva indagine, dove tutte le strategie terapeutiche di God’s Promise, denunciate anche da Cameron, mostrano il loro grado dilettantistico di improvvisazione, riesce a far decollare il racconto.

Solo nella inquadratura finale, in cui Cameron con due amici tenta la fuga su un truck scoperto, sulle loro facce si riesce a leggere un improvviso orgoglio di essere giovani e anche anticonformisti. Come in altri tempi altri giovani, molto più vivaci di questi, facendo di peggio, fronteggiavano con spavalderia la macchina da presa nel film Une Bande a Part (1964) di J.L.Godard.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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