American Fiction. Film controcorrente denuncia l’ipocrisia del politicamente corretto

immagine per American Fiction. Film controcorrente denuncia l’ipocrisia del politicamente corretto

Il film American Fiction, tratto dal romanzo Erasure (Cancellazione) di Percival Everett, co-sceneggiato con l’autore dal regista Cord Jefferson, è un atto di accusa ad anni ed anni di cultura americana, declinata in tutti i campi (ma soprattutto in editoria e cinema) chiamata “politicamente corretta’, un ormai troppo esibito antirazzismo, copertura di un altro nuovo tipo di razzismo.

Il film infatti condanna tutti i lavori di fantasia, mistificati all’americana, di storie (nere) afroamericane, che avrebbero dovuto servire a dare spazio alla voce libera delle loro menti migliori. Invece i bianchi con in mano ancora l’editoria ed ogni altra produzione culturale e la missione capitalista di fare profitto, hanno continuato a dare etichette e patenti a tutto, riuscendo a mantenere sempre in tutta la produzione culturale nera quell’idea di ‘autenticamente razziale’ contro cui si erano fatte tante battaglie.

Per cui non solo gli autori bianchi illuminati ma soprattutto gli autori neri stessi hanno dovuto usare nelle loro produzioni, per avere successo, quegli stereotipi o luoghi comuni di miseria, degrado e violenza familiare e sociale che i fruitori hanno continuato a volere e premiare con il successo.

Una esemplificazione. È uscito in questi giorni il film musicale Il colore viola, remake del film di grande successo di Steven Spielberg del 1985, tratto dall’omonimo romanzo-saga (Premio Pulitzer) di Alice Walker. Sembrò in quel momento che gli afroamericani potessero parlare liberamente delle loro storie misere e piene di argomenti neri, come le violenze domestiche, gli abusi sessuali, le umiliazioni, le omosessualità e varie forme di razzismo. Una grande conquista!

Ma da allora pare che gli autori successivi (poeti, scrittori, pittori, registi, musicisti ed intellettuali) siano rimasti intrappolati, per piacere sia ai bianchi che ai neri, nelle immagini preconcette e pittoresche, nelle violenze di ogni genere, nelle azioni criminali, dentro comportamenti classificati come stereotipi, che hanno dato vita ad un razzismo diverso, subdolamente accettato da tutti. Per cui la maggior parte di quello che sembra cultura in senso lato non è altro che un ritratto delle persone di colore sulla base di cliché ormai collaudati e ripetuti (gente dei bassifondi).

Per questo il film American Fiction, senza essere cattivo ma con molta ironia, vuole far scoprire le strategie che la cultura dominante (bianca) usa per far descrivere ancora la vita dei neri come senza occupazione, senza istruzione (uso dello slang) e criminale. Tra l’altro un ottimo alibi per essere assolta proprio dal peccato di razzismo.

Il protagonista principale del film è uno scrittore e professore Thelonius Allison detto Monk (Jeffrey Wright) che proprio per un esempio di come il ‘politicamente corretto’ possa essere un boomerang per gli stessi neri viene sospeso dal suo insegnamento.

Vale la pena di raccontare l’increscioso incidente: professore di un corso di storia del Sud, Monk ha scritto alla lavagna il titolo di un libro The artificial nigger, un racconto della cattolica bianca Flannery O’Connor, pubblicato nel 1955 nella raccolta Un brav’uomo è difficile da trovare, dove si parla di quanto siano pericolosi i neri nei loro quartieri in Georgia, ma ha urtato la suscettibilità di una allieva particolarmente corretta che contesta la parola ‘nigger’.

Il professor Thelonius Allison, che viene da una famiglia media afroamericana di Boston (tutti medici in famiglia da generazioni) scrive ma non vende i suoi libri troppo intellettuali (la sua preparazione parte da I persiani di Eschilo, ritenuta la prima opera teatrale) ma frequenta anche le presentazioni dei best-seller attuali. Assiste a quella di una scrittrice nera, molto quotata, Sintara Golden (Issa Rae) che ha scritto “We lives in da ghetto” e realizza che le tematiche del libro, nonché le più lette sono miseria, droga, aborti, e criminalità diffusa nei ghetti neri.

Decide quindi per sfida (uno scherzo) ed in fondo anche per necessità finanziarie della sua famiglia, di scrivere in una notte un libro sui bassifondi neri, che tramite il suo agente, presenta e viene acquistato da una delle migliori case editrici, ed in poco tempo scala le classifiche con il titolo di Fuck (vaffa…), sotto lo pseudonimo di Starr H. Leigh, ex detenuto nero, accusato di assassinio.

Il film American Fiction, pervaso da un leggerissimo velo di satira su verità nascoste di come è manipolata la cultura nera, si rivela sceneggiato con una scrittura straordinaria, merito soprattutto dell’estensore del romanzo Percival Everett. Ma Erasure è del 2001 e questa rivelazione cinematografica è solo del 2023. La domanda allora è questa: che cosa è successo in tutti questi anni in cui si è tanto parlato di politicamente corretto? Forse è stata la più grande mistificazione sul ruolo dei neri nella società e cultura americana?

Esempio lampante di questa situazione è nel film un programma televisivo che presenta Un mese di Storie nere che celebrano la diversità (e allora: l’integrazione?!) dell’esperienza afroamericana con film avvincenti, romantici e criminali. Ciò significa che gli afroamericani non potranno mai essere studiosi a tutto campo nello scrivere le loro storie e l’apartheid non è mai finito. Come la loro affrancazione da uno stato selvaggio!

Altro esempio di quanto possa e voglia dire questo film: iIl professor Monk viene chiamato, per rispettare la parità di razze, ad un premio letterario (Literary Award), e in Giuria gli scrittori bianchi trovano il libro Fuck, portato all’ultimo momento (ha ormai venduto 350 mila copie ed è in ristampa) un vero black-trauma con la sua lingua da bassifondi, gli stereotipi di padri assenti, spari, crack e tanto sangue. Vincerà per la creatività del male.

(SPOILER) – A questo punto si muove anche la Hollywood della Flexploitation (quella che mescola generi come violenza nera e fantasmi in salsa horror) per cui Monk ormai nel meccanismo del trash culturale, scriverà una sceneggiatura su una storia nera con finale di sangue, che il produttore pronostica già lo porterà agli Oscar.

Fortunatamente, in realtà, American Fiction, girato in controtendenza, ha vinto l’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale. Ma l’avrebbe meritato anche per la eccezionale interpretazione dell’interprete Jeffrey Wright. E l’accurata regia di Cord Jefferson, che ha tenuto insieme anche molte altre tematiche familiari e sociali con piglio e leggerezza è stata all’altezza di un film nel suo complesso molto riuscito.

+ ARTICOLI

Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.