Davide D’Elia, la pittura antivegetativa e Fresco

immagine per Davide D'Elia

La mutazione dei parametri dell’arte (spazi, opere, pubblico) coincide con uno spostamento che investe anche le norme sulla produzione poste a fondamento del lavoro dell’artista. La smisurata interazione di linguaggi, tecniche, modelli, genera un’estensione dei confini nel territorio consolidato della cultura a favore di una dimensione sovranazionale dei valori ad questa sottesi.

L’artista, pertanto, accede a forme nuove ed eccede da quelle conosciute, tanto da dover ristabilire un’origine, riconsiderando l’idea di tempo, di memoria, di estetica, di identità culturale.

Davide D’Elia (1973), uno dei più affermati tra gli artisti italiani della sua generazione, è presente con la personale Fresco (fino al 20 gennaio 2019) alla galleria Bibo’s Place nella sede di Todi che è sita al piano terra di Palazzo Pensi, nella centrale Piazza Garibaldi, edificato da Viviano degli Atti nel 1552. La mostra, oltre ad esporre alcune opere nei consueti spazi della galleria, sconfina al primo piano del palazzo in cui, in un grande salone con arredi originali, D’Elia ha disposto dei pannelli in plexiglass su cui è intervenuto con della vernice antivegetativa, sovrapponendoli ai due grandi affreschi della sala.

Il lavoro di Davide D’Elia affronta l’idea di tempo mediante l’utilizzo dell’antivegetativa (solitamente propria della conservazione degli scafi in ambito navale) apposta su degli objet trouvé recuperati in mercatini antiquari, spesso dipinti di paesaggi o ritratti, la cui superficie viene in alcune parti o per metà coperta dalla speciale tintura. Il risultato è la determinazione di un confine, una linea di trincea tra due schieramenti: l’uno, la tela originaria del dipinto, la riva sicura (caldo), l’altro l’avanzare cinico della sua cancellazione (freddo).

Così gli opposti ottenuti giocano su una serie infinita di letture allo stesso modo dello yin-yang taoista, una di queste è appunto quella del contrasto delle temperature, anche emotive,espresse dalle due sezioni dell’opera. D’Elia era arrivato anche a dividere a metà un’intera galleria (Antivegetativa, Ex Elettrofonica, Roma, 2013), imponendo una linea di orizzonte al chiuso.

Sopra i due grandi affreschi del salone di Palazzo Pensi, entrambi a tema paesaggistico e architettonico, l’artista ha sovrapposto i plexiglass dipinti in antivegetativa che inesorabilmente cancellano il paesaggio in delle sue parti, ottenendo come un negativo dei cartelami in uso nel periodo barocco o neoclassico. Ecco che lo spazio di Bibo’s dentro Palazzo Pensi si tramuta in un prisma che accoglie il paesaggio visibile dalla finestra della galleria e lo elabora, trasformato e non più accettato quale canone immutabile, nel lavoro di D’Elia.

È comune ad alcuni artisti contemporanei utilizzare come base delle forme pregresse, intese come simulacro della tradizione: dipinti, figure, oggetti dell’antichità (es. per Francesco Vezzoli il Mito rivisitato attraverso i marmi classici, per il danese-vietnamita Danh Vo l’accostamento della statuaria lignea medievale ad oggetti comuni dal significato personale). Questi sono assunti come parametro o come criterio di connessione con un ordinamento estraneo che non risponde più alla centralità culturale assodata. La superficie sulla quale Davide D’Elia interviene è il suo legame con una qualche origine e il suo gesto di coprire il passato esprime, tra le altre cose,anche il pericolo della sparizione di un patrimonio e l’accettazione dell’ignoto.

Questa personale sembra essere la naturale evoluzione di una mostra che Bibo’s ha presentato nel 2014 e in cui affiancava dei lavori di Alberto Burri agli specchi con muffe di D’Elia (Alberto Burri/Davide D’Elia-Cretti Fuochi Muffe). In quell’occasione lo stesso artista dichiarava: “Mi sono distaccato dall’azione della natura, ho fatto in modo che la natura mi sorprendesse. Invece Burri la veicolava nelle forme che lui voleva. Io accompagno la natura, Burri la plasmava”.

In questa ultima esposizione D’Elia, forte di una solida conoscenza dei linguaggi della progettazione visiva (acquisita dalla lunga esperienza nel campo della grafica), si misura anche involontariamente con un’autorità. Quella di un luogo, l’Umbria, che raccorda la prima forma unitaria della lingua (il Cantico delle creature di San Francesco di Assisi) con la rappresentazione giottesca, l’iconografia ufficiale della prima pittura italiana nazionale. Un sostrato perennemente minacciato proprio dalla natura di una cancellazione appunto, con gli eventi sismici degli ultimi vent’anni.

Il lavoro di Davide D’Elia negli spazi preziosi di Bibo’s Place a Todi incarna una tensione silenziosa, che trova voce e frastuono nelle società umane impegnate adesso in uno scontro, un mutamento di assetti in atto sia nei rapporti tra l’individuo e le sue espressioni (il lavoro, la famiglia, le regole sociali) sia in quelli che si svolgono sui piani internazionali. In tutto questo sembra però che molta dell’arte italiana rimanga autentica, opposta alla nuova cultura ibrida che vorrebbe essere di tutti, con la pretesa di imporre una facilità di svolgimento che si esaurisce nei voli transoceanici dei mercati, nelle nuove forme di potere, negli artisti da copertina.

Info mostra

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Donato Di Pelino (Roma, 1987) è avvocato specializzato nel Diritto d’autore e proprietà intellettuale. Scrive di arte contemporanea e si occupa di poesia e musica. È tra i fondatori dell’associazione Mossa, residenza per la promozione dell’arte contemporanea a Genova. Le sue poesie sono state pubblicate in: antologia Premio Mario Luzi (2012), quaderni del Laboratorio Contumaciale di Tomaso Binga (2012), I poeti incontrano la Costituzione (Futura Editrice, 2017). Collabora con i suoi testi nell’organizzazione di eventi con vari artist run space.

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