Le pari de Paris. La FIAC e la scommessa dell’arte

Dal suo insediamento, Emmanuel Macron ha iniziato una campagna radicale contro il fumo, protratta attraverso l’inesorabile aumento dei prezzi del tabacco. Infatti, una sensazione di fregatura fa capolino appena una tabaccheria del Marais batte venti euro per due pacchetti di sigarette. “En France c’est comme ça”, la titolare compatisce lo sgomento e lo restituisce a una sera piovosa e autunnale di una città capitale del Nord Europa, pulita ed efficiente ma meno caratterizzata rispetto a una ventina di anni fa. È l’effetto delle “correnti del Golfo” che pare sferzino solo sui paesi freddi, mitigando l’ambiente e omologandolo agli standard con tutti i pro e i
contro del caso.

La 47esima edizione della FIAC è raccolta nel Grand Palais d’Ephemere, di fronte agli Champs de Mars e davanti a una torre che non lascia spazio a dubbi: siamo veramente a Parigi.

La struttura è un grande capannone in sostituzione dell’altro Grand Palais, fratello maggiore venuto su meglio, che aveva ospitato l’Exposition Universelle del 1900, attualmente in restauro per le Olimpiadi del 2024. Una volta dentro, eccoci di nuovo nella dimensione gender-fluid del mercato, con i protagonisti che ormai conosciamo e il pubblico che ci aspettiamo.

L’impressione generale è quella di una ripresa dopo una grande influenza stagionale, un torpore da cui si prova ad uscire sfoderando i colpi migliori e maggiormente possibili nel contingente.

I nomi, tra i tanti: Gagosian, White Cube, Thaddaeus Ropac, Hauser & Wirth, Marian Goodman, David Zwirner. Nutrite le nostre truppe al fronte: Mazzoleni (Torino), Alfonso Artiaco (Napoli), Massimo De Carlo, Martina Simeti, Cardi (Milano), Vistamare (Pescara), Tornabuoni Art (Firenze), Galleria Continua (San Gimignano) e altri.

L’artiglieria pesante consiste in certe munizioni intelligenti come un Achrome di Piero Manzoni, dei lavori Fontana, di Nunzio (l’unico romano di San Lorenzo in fiera), di Pistoletto, Carla Accardi, Luigi Ontani.

Parallelamente alla fiera, FIAC ha organizzato eventi in tutta la città.

Il programma FIAC Hors Les Murs ha esposto 25 opere e installazioni nei Jardin de Tuileries e una mostra di opere del giovane artista francese Jean-Claracq (Galerie Sultana) al Museo Eugène Delacroix. Flying Dragon (1975), opera monumentale di Alexander Calder, è in mostra a Place Vendôme (fino al 2 gennaio 2022), in collaborazione con Gagosian.

Veri gioielli sono dei lavori di Picabia, Man Ray, Magritte, Manet, venduti con risultati eccellenti ma sempre in coda ai 25,4 milioni di dollari battuti alla fiera londinese Frieze per l’opera di Banksy Girl with balloon, quella trifolata da Sotheby’s nel 2018.

Torniamo a Parigi.
Il Passage des Panorama in Rue Vivienne somiglia a quello dove abitava da bambino lo scrittore Céline, rimesso a nuovo, non più offuscato dal gas delle lampade e dal tanfo delle nouille in brodo.

Si ferma a parlare un ragazzo che ha preferito la pioggia parigina a quella milanese a fronte di un lavoro ben pagato in un ristorante. Dice di avere più tempo per sé, che gli stanno bene quarantasette metri quadri condivisi con l’ex fidanzata al XIX° arrondissement, dove una volta è scampato a una rapina da parte di una baby gang (li hanno presi dopo la sua segnalazione).

Gli dico che in fiera Maurizio Cattelan ha riproposto il suo lavoro Smoke: settantacinque piccioni impagliati, in parte appollaiati sulle traversine dello stand di Massimo De Carlo. Il prezzo, cinquecentomila euro. Non è convinto, nemmeno quando provo a spiegargli che il resto dello stormo si trova all’Hangar Bicocca in una mostra in corso a Milano. Ne usciamo applicando la logica di Port Royal e travestendoci da giansenisti: solamente a certi predestinati è concessa la salvezza divina.

C’è qualcosa di familiare allo stand della galleria LambdaLambdaLambda, direttamente da Prishtina, Kosovo. La responsabile conferma che si tratta di un lavoro di Nora Turato (Zagabria, 1991), in vendita per 35.000 Euro. La giovane artista è reduce da una performance a Roma allo spazio Basement in Prati, lo scorso 11 settembre.

L’esibizione, un lungo monologo in inglese, voleva essere un esperimento sul linguaggio e sul sociale, che però si è rivelato subito come idioma del sistema dell’arte che conta, un passepartout per i gran gala privati ed esclusivi. A vederla, la Turato, c’erano praticamente tutti, inconsapevolmente riuniti da flussi misteriosi.

Gli stessi tutti si sono ritrovati intorno ad Anne Imhof, artista tedesca di moda che usa la moda, vincitrice del Leone d’Oro per la migliore partecipazione alla Biennale di Venezia con la performance Faust. La Imhof ha chiuso la sua mostra Natures Mortes al Palais de Tokyo proprio alla FIAC, in una serata in collaborazione con Burberry sotto la direzione creativa di Riccardo Tisci.

Le stime recenti del sito Artsprice vedono un fatturato della pittura cinque volte superiore a quello degli altri media dell’arte (vincente anche sul fenomeno-trend degli NFT del sistema blockchain).

Difatti, le gallerie più giovanili della FIAC insistono con una pittura in voga fatta di colori puri, cheap (come quelli che userebbe Katharina Grosse per capirci), il più possibile sintetici, organizzati in strutture deformate; se ne vedono veramente parecchi.

Sulla questione poetica, sono d’accordo con Veronica Botticelli (artista giovane ma ormai affermata che incontro a Montparnasse dove vive oltre che a Roma, città in cui si è formata da Piero Pizzi Cannella) quando dice che un artista italiano dovrebbe portare avanti un contenuto proprio, senza dover assomigliare a ciò che piace agli americani. Consiglia di vederne un’altra di fiera a Parigi, Asia Now, arrivata alla sua settima edizione, dove si può già puntare a dei nomi interessanti nel panorama creativo del Medio Oriente.

Attraversando il Pont d’Austerlitz, venendo dalla Gare de Lyon, sulla destra campeggia lontano il trono malandato di Notre Dame, assistito da una enorme gru. Ci si lascia alle spalle l’undicesimo e si entra nel quinto, il distretto della Sorbona dove venne a studiare Tommaso D’Aquino da Roccasecca.

Ma soprattutto si viene rapiti dal gioioso marasma del Quartiere Latino, antica residenza degli studenti, epicentro del Maggio ’68, una volta intriso dei fumi dei ristoranti di specialità greche e cipriote dove si cantava lanciando i piatti. Oggi tirato a lustro, con un cielo notturno che esce a segmenti tra le luci accecanti dei bistrot e locali come il Monk, taverna-rifugio del jazz parigino. Qui suona il trio di Angelo Debarre, eccezionale chitarrista di etnia Manouche. Le sue dita infuocano la notte del Boulevard St Germain, continuando l’impresa di Django Reinhardt e il suo quintetto Hot Club de France al tempo di guerra.

L’arte contemporanea ha già vinto la sua scommessa di rilancio, solo che la partita si gioca nella dimensione più intima e locale, lontano dalle dinamiche delle fiere e dai loro territori liquidi.

Il futuro è un mistero, l’unico motivo per andare avanti è impresso dalla fine del XV secolo su uno degli arazzi del Museo medievale di Cluny, sopra una dama con un unicorno: il mio solo desiderio.
Au mon seul desir.

+ ARTICOLI

Donato Di Pelino (Roma, 1987) è avvocato specializzato nel Diritto d’autore e proprietà intellettuale. Scrive di arte contemporanea e si occupa di poesia e musica. È tra i fondatori dell’associazione Mossa, residenza per la promozione dell’arte contemporanea a Genova. Le sue poesie sono state pubblicate in: antologia Premio Mario Luzi (2012), quaderni del Laboratorio Contumaciale di Tomaso Binga (2012), I poeti incontrano la Costituzione (Futura Editrice, 2017). Collabora con i suoi testi nell’organizzazione di eventi con vari artist run space.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.