Letteratura inaspettata #18. Quella provincia che non finisce mai di sorprenderci

immagine per Il rettore di Poitiers

È l’Italia che non finisce mai di sorprenderci. La provincia. Quella dell’estate paesana con velleità culturali. Dove sulla scena ogni personaggio recita la sua parte  a soggetto. Dove si annidano storie, vezzi, manie, segreti, frustrazioni.  Quell’Italia a cui Francesco Neri si è ispirato per scrivere il suo romanzo, Il rettore di Poitiers (ed. Altre Narrazioni).
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Neri ha scelto l’Appennino tosco-emiliano, in particolare un paese che si chiama Bellavalle, dove in estate conferenzieri da wikipedia, animatori culturali cresciuti a tagliatelle e lambrusco,  si ritrovano a doversi confrontare con un personaggio che, suo malgrado, sconvolge gli equilibri della comunità  di villeggianti.

Viene da lontano. Dalla Francia. Il suo esotismo, anche se italiano fino al midollo, conquista immediatamente gli adepti dei “famosi” giovedì culturali che puntualmente si svolgono nel bar-trattoria del paese. Un appuntamento in cui si esibiscono nel ruolo di relatori commercialisti-cinefili, ginecologi – botanici, gastronomi improvvisati.  Anchise Iorio,  rettore di un’università francese è un esperto di Modigliani, e questo basta per guadagnarsi la stima che si deve a un vero conferenziere.

Anchise è un povero diavolo con le sue paranoie, neanche bello, che attira in pochi istanti l’attenzione femminile. Agli occhi delle bellavallesi è un uomo di grande fascino, raffinato, nonostante l’abbigliamento un po’ sciatto.

In un battibaleno è una strage di cuori. Così da cadere nelle grinfie di Iolanda, l’”esperta” di cucina, dalla mole esagerata, e specializzata nel riciclo di surgelati  a dir poco datati.

Ma il cuore del rettore batte per sua figlia, la giovane Chiara, il che genera una serie di equivoci esilaranti.

Un romanzo ironico, in cui la capacità dell’autore è nel saper stanare particolari che poi sono alla base del racconto. Neri, bolognese, attualmente direttore dell’Istituto di Cultura di Marsiglia, mostra in questo suo esordio una verve narrativa notevole.

Infatti non manca il colpo di scena, con il cadavere di una donna fatta a pezzi ritrovato vicino al laghetto, di cui non si conosce l’identità. Un fatto che l’autore utilizza per lasciare andare a briglia sciolta i protagonisti con i loro pregiudizi, le illazioni, le meschinerie.

Un viaggio nelle vene di un’Italia  che non risparmia  luoghi comuni e piccole leggende da bar servite a puntino come fatti concreti.

Un romanzo che, strappando un sorriso, si apre a riflessioni più profonde. Talvolta amare.

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Stefania Nardini è romana, giornalista e scrittrice, vive tra Marsiglia e l’Umbria. Per i tipi “Pironti” ha pubblicato “Matrioska”, una storia sulla condizione delle donne in Ucraina e “Gli scheletri di via Duomo”, noir ambientato nella Napoli anni ’70. Autrice di “Jean Claude Izzo, storia di un marsigliese” (ed. Perdisa Pop nel 2011 e riproposto da E/O nel 2015), biografia romanzata del grande autore francese, ha continuato a raccontare Marsiglia in “Alcazar. Ultimo spettacolo” noir- storico pubblicato da E/O nella collana Sabot Age.

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