Mercato dell’arte nel 2019. Da ArteFiera l’identità italiana alla ricerca di nuovi stimoli

immagine per ArteFiera 2019
ARTEFIERA 2019 Piero Dorazio 1978-79 (part.) da Tornabuoni (phTraversi)

E’ arrivato il principale evento fieristico della stagione nazionale, Arte Fiera di Bologna (1-4 febbraio 2019,  http://www.artefiera.it/arte-fiera/arte-fiera-2019/8028.html), mentre  sono in fase di elaborazione, tra Hong Kong, Londra, New York e altre sedi, i consuntivi relativi al mercato mondiale nel 2018.

L’osservatore italiano dispone intanto di numerosi spunti di riflessione, [1] soprattutto da questa Bologna, ancora detentrice di una progenitura (dal 1974) insidiata solo a tratti dalle ambizioni di Milano e Torino che -con Artissima e Miart- le contendono il palcoscenico del contemporaneo, senza però averle potuto ancora sottrarle lo scettro del moderno storicizzato e post-war italiano (e non solo). Sappiamo che se un “limite” le viene rimproverato è quello della “progressiva” deriva di allontanamento degli stranieri, sia gallerie che artisti.

Quest’anno  il neo-direttore Simone Menegoi, investito da pochi mesi di un impegno triennale, ha invitato 150 gallerie chiedendo loro di aderire ad una linea “curatoriale” concentrata su 3-6 artisti per stand (fino a 6 per le gallerie più grandi). Con effetti molto interessanti e stimolanti per l’addetto ai lavori e gli appassionati. Ci saranno molte assenze, ma si ha il piacere di degustare e comparare  opere omogenee o interconnesse senza schemi eccessivamente accademici, secondo tracciati competenti ma anche frutto del destino “di mercato”.

Le opere sono qui, per cura del gallerista che è riuscito a raccoglierle hic et nunc. Tra le presenze di maggiore spicco, in una veloce (e ingrata) carrellata, risaltano: per la scultura Mirko Basaldella (Copetti), Vettor Pisani (Cardelli e Fontana), Annalu (Forni), Antonello Ghezzi (Spazio Testoni),  Paolo Ventura (Marco Rossi).

Per la pittura Afro, Giacomo Balla e Giorgio De Chirico (da Russo, Tornabuoni), Giuseppe Capogrossi e Piero Dorazio (Mazzoleni e Tornabuoni), Massimo Giannoni (da Rubin), Julio Larraz (Contini), Hans Hartung (Dellupi),  Massimo Kauffmann (Cavaciuti) anche a Palazzo d’Accursio (http://agenda.comune.bologna.it/cultura/massimo-kaufmann-mille-fiate), Enrico Tealdi (Antonini), Donald Martiny (Artea Gallery), Giovanni Ozzola (Galleria Continua), Jan Kalàb (Magma Gallery) e, last but not least, Ana Kapor (Forni).

Per l’arazzo e il ricamo magnifici Victor Vasarely, Bertozzi e Casoni e  David Tremlett (Verolino), e (il solito) Alighiero Boetti (Tornabuoni). Per una volta, finalmente, ci sono degli Schifano e dei Bonalumi che meritano particolare attenzione (Campaiola, Mazzoleni) insieme ad alcuni Gino Severini e Filippo De Pisis (Farsetti). Una rara concentrazione di Osvaldo Licini e Fausto Melotti  (da Repetto).

E poi varie opere selezionate e ben (ri)trovate da Davide Ferri e il suo team per la mostra intramoenia  Solo Figura e sfondo da collezioni pubbliche e private emiliane come la Fondazione Cirulli  (Marcello Jori), la Collezione Verzocchi (Afro), la Collezione Zauli (Carlo Zauli), e il Mambo (Virgilio Guidi) in cui si è appena aperta Mika Rottemberg, a cura di Lorenzo Balbi ( www.mambo.org, fino al 18 maggio). Intra moenia ad Artefiera anche l’ imponente installazione ambientale  di Flavio Favelli Hic et Nunc, già soprannominata No Vip Lounge.

Tra coloro che incuriosiscono ma non affascinano altri  De Chirico, Lucio Fontana, Michelangelo Pistoletto (magari interessanti ma ripetitivi).

Per la fotografia artistica convince particolarmente l’evoluzione di Beatrice Pediconi (Z20 Sara Zanin)

Nella sezione Fotografia e immagini in movimento  (a c. del collettivo  Fantom) sono presenti  18 gallerie, 5 delle quali espongono anche nella Main Section) sia con pezzi unici che serie numerate.

Ricordiamo, per limiti di spazio:  Nino Migliori e Gioberto Noro (da Peola). E poi Thomas Struth, sia in fiera che al magnifico MAST (www.mast.org) con la mostra  Nature and Politics, sempre a cura di Urs Stahel (fino al 22 aprile). Quest’anno a Palazzo Fava c’è anche il fumetto, con Sturmtruppen (https://genusbononiae.it/mostre/sturmtruppen-50-anni/, fino al 7 aprile).

Proviamo allora a tracciare in sintesi quale appaia  lo stato generale del mercato artistico, visto da un’angolazione “italiana” attenta al vasto panorama circostante. L’anno appena trascorso ha visto una sostanziale conferma di volumi e fatturato per il mercato italiano, attestato intorno a 500 milioni di Euro (circa  1% del mercato mondiale), un valore in marginale incremento rispetto ai 460 milioni del 2017, che ad una attenta lettura offre interessanti spunti di riflessione.

In primo luogo, come ben evidenziato dalle nostre fonti dati, che cogliamo l’occasione per ringraziare ( Arts Economics e la sua fondatrice Dr.Clare McAndrews, con il suo rapporto The Art Market 2018, nonché i rapporti mensili ed annuale pubblicati da ArtPrice nel corso del 2018), il mercato italiano è caratterizzato da un sensibile sbilanciamento a favore delle aste rispetto agli altri canali di vendita, in disallineamento con tutti i principali mercati, eccetto quelli cinese ed austriaco. Dall’analisi dei dati relativi al 2017 (per l’Italia citiamo i dati 2018) emerge la seguente ripartizione percentuale delle vendite nei principali mercati internazionali (tra parentesi riportiamo anche volumi di fatturato e percentuali del mercato globale):

GALLERIE E
ANTIQUARI
CASE D’ASTA FATTURATO
miliardi €
Perc. MERCATO
USA 63% 37% (23,1) (42%)
CINA 30% 70% (11,5) (21%)
REGNO UNITO 64% 36% (11,2) (20%)
FRANCIA 52% 48% (3,6) ( 7%)
GERMANIA 75% 25% (1,1) ( 2%)
SVIZZERA 75% 25% (1,1) ( 2%)
ITALIA 37% 63% (0,5) ( 1%)
AUSTRIA 30% 70% (0,5) ( 1%)

Il mercato dell’arte, presso i vicini d’oltralpe, già ai tempi della monarchia asburgica è nato e si è sviluppato intorno al ruolo determinante della casa d’aste Dorotheum, che ancora oggi rappresenta il punto di riferimento per l’Austria con le sue quasi  600 aste annuali nelle 11 sedi del paese.

In Cina, il boom del collezionismo è fenomeno recente, iniziato alla fine del XX secolo  e cresciuto impetuoso insieme alle principali case d’asta locali, tutte di nazionalità cinese fino all’apertura della sede operativa di Christie’s, a Shanghai, nel 2013.

L’assenza di un’adeguata ed affidabile rete di operatori del settore, tipica dei mercati più sviluppati e maturi, ha spinto molti giovani artisti a cercare il contatto diretto con le case d’asta (il contemporaneo è fortissimo in Cina, con un giro di affari che ha toccato 850 milioni di Euro nel 2017 negli incanti locali, il 37% delle vendite di artisti viventi nelle aste mondiali!). Queste ultime, attualmente, stanno potenziando le piattaforme per la vendita online, strumento operativo molto importante fra i collezionisti della terra del Dragone.

In Italia invece, diversamente dagli evoluti mercati europei e del Nord America, lo sbilanciamento delle vendite a favore delle aste è una spia del profondo cambiamento, operativo e di gradimento, che attraversa il collezionismo d’arte nel nostro paese dall’inizio del secolo attuale.

Il focus della clientela italiana si è progressivamente spostato dal rapporto diretto con galleristi ed antiquari (che sussiste intatto negli altri paesi occidentali) alla preferenza per i canali di acquisto rappresentati dagli incanti e dai grandi eventi fieristici, questi ultimi vere kermesses e luoghi di divertissement, strumenti quasi ludici ed occasioni di incontro per i collezionisti di quell’arte del design e dell’ultimo Novecento che hanno saldamente conquistato il posto d’onore per fatturato di settore (circa 100 milioni di Euro nel 2018, il 20% del mercato italiano).

Non può certo sorprendere, perciò, la diaspora di tanti eccellenti galleristi ed antiquari del nostro paese che hanno trasferito altrove le loro sedi operative; basti citare un solo dato per comprenderne le ragioni: il fatturato 2017 di galleristi ed antiquari nel Regno Unito ha superato 7 miliardi di Euro, il 64% del commercio d’arte in quel paese (malgrado le grandi aste londinesi di Christie’s, Sotheby’s, Phillips e Bonhams…).

Ma in area anglosassone, soprattutto negli USA, i mercanti d’arte e i galleristi trovano un terreno economico e finanziario decisamente più propizio a incrementare la loro attività e a farli crescere in dimensioni e giro d’affari. Lo conferma anche l’utilità di avvicinare gli investitori e gli strumenti propri del mondo bancario e finanziario ad un mondo di “imprese familiari” come in fondo sono la maggior parte delle gallerie d’arte, operato col rapporto Art Dealer Finance 2018.[2] Cui fa da contraltare la nota “decrescita infelice” di tante gallerie di dimensione media o piccola, all’estero come in Italia.

Per il mercato italiano si deve sottolineare il perdurante e rinnovato interesse di collezionisti e musei internazionali verso un numero ancora un po’ troppo esiguo (ma in crescita) di artisti italiani del secondo Novecento. Fontana, Stingel, Burri, Manzoni, Boetti, Pistoletto, Castellani, Scheggi, Cattelan e Bonalumi, citando solo i primi 10 per fatturato, hanno visto esitare opere nelle aste internazionali del 2017 per un valore complessivo di circa 140 milioni di Euro ( il loro fatturato negli incanti italiani è stato di circa 20 milioni di Euro).

Infine, il 2018 ha visto le case d’asta italiane dedicare crescente interesse a settori del collezionismo in precedenza ai margini della loro attività, quali auto d’epoca, design e manifesti, vintage: si tratta di una strada già percorsa con successo all’estero, che sicuramente conoscerà ulteriori sviluppi nello stivale.

Chiudiamo con una riflessione su Brexit e le ricadute sul mondo dell’arte. L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, in qualsiasi forma essa possa avvenire, priverà l’Unione di oltre il 60% della sua dimensione di mercato, riducendolo ad un mero 13% del mercato globale.

Negli ultimi 10 anni l’Europa continentale è l’unica area del mondo che ha registrato una contrazione di fatturato del mercato dell’arte (quello britannico è cresciuto del 25%). Inoltre, l’interdipendenza tra Europa e Regno Unito in questo settore è molto meno stretta di quanto si potrebbe credere: la quota parte degli scambi fra le due aree è di circa il 20%, e gli europei consegnano alle ricche aste inglesi solo il 25% degli artefatti venduti. In questo campo, il rapporto è molto più stretto fra Regno Unito e Stati Uniti, questi ultimi di gran lunga il primo compratore nelle sale d’asta di Londra!

In due parole: provincia dell’impero non deve significare  periferia. C’è un buon lavoro da fare ad Artefiera, oltre che dentro e fuori dalle altre Fiere italiane per la nostra arte (inter)nazionale  dalla  vitalità in larga parte ancora inespressa.

NOTE

[1]

[2]

  • Art Dealer Finance 2018  a cura di Art Tactic marchiato  TEFAF  (con presentazione a New York,  www.tefaf.com )

 

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Laureata e specializzata in storia dell’arte all’Università “La Sapienza” di Roma, ha svolto, tra 1989 e 2010, attività di studio, ricerca e didattica universitaria, come borsista, ricercatore e docente con il sostegno o presso i seguenti istituti, enti di ricerca e università: Accademia di San Luca, Comunità Francese del Belgio, CNR, ENEA, MIUR-Ministero della Ricerca, E.U-Unione Europea, Università Libera di Bruxelles, Università di Napoli-S.O Benincasa, Università degli Studi di Chieti-Università Telematica Leonardo da Vinci. Dal 2010 è CTU-Consulente Tecnico ed Esperto del Tribunale Civile e Penale di Roma. È autrice di articoli divulgativi e/o di approfondimento per vari giornali/ rubriche di settore e docente della 24Ore Business School.

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