Art Basel 2023. Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare. Forse.

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Debutto fiammante e chiusura tranquilla
Si è aperta all’insegna di una vivace partecipazione da ogni latitudine del globo Art Basel 2023 (82.000 visitatori, erano 93.000 nel 2019), la perla delle fiere di Modern and Contemporary Art, accompagnata da un’articolata proposta di mostre ed eventi istituzionali e commerciali.

Dalla Corea al Medio Oriente, dalla diaspora africana e dalla UE provengono collezionisti, visitatori, gallerie ed  artisti (questi fino a 4000).

Giornate di preview pienissime e ottimo avvio anche coll’apertura al pubblico generale, acquisti nei primi tre giorni non solo da Gagosian, ma anche dagli italiani Alfonso Artiaco, Galleria Continua, Massimo De Carlo, Galleria dello Scudo, Massimo Minini, Tucci Russo. Futurismo solo pochissino (es. Balla  da Lo Scudo), sfondano Pistoletto (con un grande Gabbia da Christian Stein),  l’Arte Povera di Penone, Jannis Kounellis ( Alfonso Artiaco, Cardi, Karsten Greve, Marian Goodman, Christian Stein, Sprovieri) e Giovanni Anselmo (Lia Rumma). Eccezionale l’opera di Penone Spine d’acacia (2006)  portata ad Unlimited da Gagosian.

Per molti dealers, anche  italiani, la fiera si è chiusa con soddisfazione, ma non sono mancate delusioni in un fine settimana stranamente tranquillo. Visti radi e  misteriosi russofoni ed ucraini in libera uscita o fuga dalla cappa bellica.

Mostre istituzionali, dall’Ucraina in guerra  all’ Art  Contemporary System.

Le cui comuni diramazioni e radici culturali sono ben espresse in una delle mostre del Kunstmuseum dedicata ai tanti nati ucraini secondo i confini attuali, ma formati e assimilati, anche nei manuali di mezzo mondo, come “russi”: da Ilya Repin ad  Iwan Aiwasowsky, da Petro Kontschalowski  a Davyd Burliuk, l’importanza della loro produzione non è mai sfuggita al pubblico internazionale.

Belle, anche se forse meno performanti del solito, le due monografiche dedicate all’americana Shirley Jaffe e alla neo-plastica Charmion von Wiegand. Tra l’altro, presenti sia al Kunstmuseum che in Fiera: Doris Salcedo da White Cube, Shirley Jaffeda da Nathalie Obadia, Andrea Buttner da Hollybush Gardens.

A Basel la guerra alle frontiere EU sembra sfumare sullo sfondo, sebbene ad essa sia forse relazionabile l’assenza dei visitatori americani, insieme  al peso globale dell’inflazione.

Inoltre, il grave fallimento di Credit Suisse, in corso di assorbimento da parte dell’eterna rivale UBS, sponsor sia di Art Basel che del noto Art Market Report, non sfugge ai più avvertiti.

Nessuno lo ammette (show must go on) ma è difficile non leggere il riorientamento dato alla fiera dai suoi vertici come una risposta mirata ai  riflessi delle incertezze finanziarie sugli acquisti. Nel paese che, da ben prima del Nazismo, gestisce patrimoni consolidati e dovrebbe sapere ben difenderli.

Prima, durante e dopo le guerre, arte e gioielli si rendono utili, quando il denaro rivela i suoi limiti, e i beni durevoli possono restare ragionevolmente solidi.

Per alcuni è il momento di investire, trasformare il denaro in qualcos’altro. In questo senso è interpretabile quello che ci ha detto Vincenzo de Bellis, global director della piattaforma delle 4 sedi:

“(…) il mercato non è incerto (…). Artbasel punta anche sul cambiamento e dà spazio a gallerie meno muscolose… di nuova generazione… Sarà il futuro di questa fiera”.

Operativo sul campo da un anno, orchestrerà  i 4 direttori di area, tra Miami, Hong Kong, Parigi e Basilea, sufficientemente differenziate tra loro, in una struttura che vuole interpretare le diverse audiences venutesi a creare negli ultimi anni.

Già al Walkers Art Center di Minneapolis e al MIART, last but not least, è  un altro italiano, dopo il curatore di Unlimited, Giovanni Carmine, in ruoli chiave dell’art market globale. Come il motto inglese:“Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare?

L’offerta delle Gallerie tra storicizzato e  previsioni sul futuro

Al TEFAF, dopo il Covid, sovrapposto ad un certo ricambio generazionale, si era accentuato il turnover tra le gallerie, e non sorprende che a New York, sia le aste che Frieze abbiano visto un raffreddamento sui valori superiori al milione di dollari (v. “Financial Times”, Collecting 10/11.6.2023 sulla sottile correzione dei prezzi tra  novembre 2022 e maggio 2023).

Per le 284 gallerie di Art Basel (da 36 paesi) la scommessa come potrebbe essere  vinta? Dentro Unlimited, la sezione fuori-scala, e non solo, gli artisti e le gallerie italiane sono arrivati  in vetta, ad esempio coll’Arte Povera (es. Gagosian, Galleria Continua).  

Negli ambiziosi padiglioni di Messe Platz  (Herzog & De Meuron, 2013)  il Ground Floor ha visto convergere migliaia di opere davvero importanti.

Dai pionieri dei Movimenti del XX secolo, a partire da Cubismo ed Espressionismo (da Acquavella, Ben Brown e Landau) fino al dopoguerra europeo e americano e ai recordman della Pop Art e del Graffitismo storico, la cui stella-martire Jean-Michel Basquiat campeggia in vari stand (Acquavella, Van de Weghe) ed anche alla Fondazione Beyeler, che ha riunito le otto grandi tele realizzate in 7 giorni nel 1982 (considerato il suo periodo migliore)  col sostegno del modenese Mazzoli, in disputa con Annina Nosei, gallerista newyorkese che pretendeva sue fees, poi cedute a Bruno Bischofberger (4) e ad altri anonimi collezionisti privati.

Le gallerie di dimensione globale contribuiscono, sole o associate, con mega-opere alla Beyeler (es. Barbara Nahmad), o nella immancabile  sezione Unlimited (quest’anno 76 opere, in pratica  la metà del 2022) e nei Parcours cittadini, con 21 installazioni site-specific.

A Design Miami, seppur molto ristretta, non mancano sorprese come pezzi storici giapponesi di George Nakashima da Van Hoek e un delizioso SideTable  (€68.500).

Ma l’abilità, tra gli  stands, sarebbe cercare opere finissime tra i numerosi pesi-welther, anche nell’ investimento. Sarà davvero questo l’asso nella manica futuro giocato da Basel?

Oltre che nell’area dello storicizzato è soprattutto nel Contemporary che alle mega-gallerie come Acquavella, Almine Rech, Gagosian,  Kordansky (es. Jonas Wood venduto a 2.5M), David Zwirner, Hauser & Wirth, Kamel Mennour (che ha fatto 40 vendite, tra Musei e collezionisti, già all’apertura) si sono aggiunti nel First Level (Pad. 2.1) molte  gallerie più piccole o esordienti e soprattutto tanti artisti ignoti a molti art-addicts: quindi con opportunità di scelta e prezzi ampi e diversificati, aperti ad investimenti cauti e moderati, al bisogno (con cifre a partire da tre zeri, es. Galleria Zero di Milano).

Ma Art Basel  resta una fiera di pesi massimi più che di gallerie di ricerca. Forzatamente  limitata la selezione degli artisti citabili qui.

Per le sezioni Feature e Statements notate le antologie su Maria Lai (da M77) e Sonia Delaunay da Zlotowsky (molte vendite nei primi due giorni). Tra altri big italiani dominanti: Carla Accardi (anche in non poche gallerie estere), Lucio Fontana, sia con ceramiche che tele (Galleria dello Scudo e Tornabuoni), EmilioVedova, Afro, Alighiero Boetti.

Speciale selezione nello stand di Massimo Minini, dai pezzi recenti di Anish Kapoor  (range €460-630.000) a Daniel Buren  agli arredi di Formafantasma per l’archivio del raffinato gallerista-alchimista della parola, che continua a seminare preziosi pizzini storico-artistici col garbo di un filosofo.

Paradossale dirlo, ma opere meno ripetitive del solito per Andy Warhol (da Di Donna, Gagosian, Edward Tyler Nahmen, Sheenan), Keith Haring (Di Donna, Gladstone, Skarstedt), Yayoi Kusama (Zwirner), Mark Bradford (Hauser & Wirth, White Cube); meno routinaria anche la produzione recente di porcellane di Jeff Koons (Pace).

Incredibile scelta di Mark Tobey da Carzaniga. Forti gli stand di Massimo De Carlo con Spencer Louis, di Rudiger Schottle con Thu Van Tran, di Almine Rech con Larry Poons. Da Lia Rumma anche un’opera non effimera di Gian Maria Tosatti.

Sono volati dollaroni per Gerhard Richter, tra cui venduto a 2.5M lo Strip Tower di Unlimited (David Zwirner); mistero sul lunghissimo 24 tagli rosso di Lucio Fontana (da Tornabuoni, a circa 20 milioni), e sui giganteschi Georg Baselitz (Thaddaeus Ropac; più piccoli da White Cube e Blau) e Günther Förg (Bärbel Grässlin e Hauser &Wirth). Anche  Ship of Fools della mid-career Yu Hong (Lisson) risulta venduta.

Piuttosto presente Louise Bourgeois che, dopo il sovrumano Spider (7m) della scorsa edizione a oltre 50 milioni di euro, ha generato con un altro aracnide, molto più piccolo, un’altra vendita a 22 milioni di dollari (sempre da Hauser & Wirth).

Di lei anche disegni e una bellissima fotografia (venduta da Karsten-Greve). Invece Simone Leigh, incoronata alla Biennale di Venezia del 2022 c’è, da Matthew Marks. Passato di mano uno storico Joan Mitchell (da Pace) a 14 milioni.

Resta dunque ragionevolmente forte la domanda d’arte, malgrado o forse a causa dell’ inflazione. Con un  buon rapporto qualità/prezzo  per chi può, sarebbe il caso di investire, ma l’ irrazionale  è per sua natura una delle componenti meno controllabili del mercato…

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Laureata e specializzata in storia dell’arte all’Università “La Sapienza” di Roma, ha svolto, tra 1989 e 2010, attività di studio, ricerca e didattica universitaria, come borsista, ricercatore e docente con il sostegno o presso i seguenti istituti, enti di ricerca e università: Accademia di San Luca, Comunità Francese del Belgio, CNR, ENEA, MIUR-Ministero della Ricerca, E.U-Unione Europea, Università Libera di Bruxelles, Università di Napoli-S.O Benincasa, Università degli Studi di Chieti-Università Telematica Leonardo da Vinci. Dal 2010 è CTU-Consulente Tecnico ed Esperto del Tribunale Civile e Penale di Roma. È autrice di articoli divulgativi e/o di approfondimento per vari giornali/ rubriche di settore e docente della 24Ore Business School.

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