Musei Vaticani – All’alba di Raffaello. La pala dei decemviri di Perugino

Pochi giorni fa un museo statale italiano, la Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, ha deciso un generoso (e ragionato) prestito a lungo termine ad un  Museo straniero, anche se non troppo distante geograficamente,  giacché si tratta dei Musei Vaticani, allo scopo di ricostituire per intero l’unità di una Pala del Rinascimento con la sua cimasa -il terminale superiore formato da una tavola dipinta più piccola- ivi compresa la bellissima cornice originale completa.

Il caso non è frequente, denota un’elevata volontà di collaborazione operativa e scientifica, un superiore senso di responsabilità delle parti, anche e soprattutto verso il pubblico.

La Pala è opera del maestro di Raffaello, Pietro Vannucci detto il Perugino (1446-1523), massima gloria dell’arte italiana oltre che della nativa Umbria, commissionato per il Palazzo dei Priori di Perugia nel lontano 1495-6. E’ firmata e menzionata fin dal Vasari (1568) per la sua bellezza.

Nel 1797 le truppe napoleoniche andavano razziando opere d’arte in tutta la penisola, dichiarando l’intento, in nome del Direttorio repubblicano,  di destinarle al grandioso Musée Central des Arts, poi Musée Napoléon, evoluzione post-illuminista del Louvre già ibridamente musealizzato dall’epoca di Luigi XIV. Nel capoluogo umbro  presero la grande tavola con la Vergine in trono tra i Santi (Lorenzo, Ludovico di Tolosa, Ercolano e Costanzo) lasciando sul posto sia la cornice che il Cristo in pietà. Quest’ultimo, a differenza della solare ed armonica Sacra Conversazione, esemplare di un “solenne classicismo” che incorpora la lezione di Piero della Francesca (come sintetizzato dalla Direttrice dei Musei Vaticani,  Barbara Jatta)  mostra, nella sofferente e realistica anatomia, evidenti influssi nordici (fiamminghi e tedeschi).

Dai carri del vincitore (imbarcata per Livorno-Marsiglia) la tavola era però destinata a “ridiscendere” 20 anni dopo, nel 1816, quando Antonio Canova, scultore dei papi ma anche dell’imperatore definitivamente deposto dopo Waterloo, andò da ambasciatore a Parigi per recuperare tutto il possibile per l’illuminato ed ex-deportato Pio VII Chiaramonti. Tornò dunque questo Perugino –insieme a 248 dei 506 dipinti catalogati dal Canova, tra cui Raffaello, Caravaggio, Domenichino e molti capolavori e/o statue identitarie dell’antichità classica e di Roma stessa,  senza menzionare qui  tutte le altre città predate, nei molti piccoli regni italiani. La pala avrebbe finito poi per restare definitivamente a Roma, nel Museo dei Papi, ammodernato già nei decenni precedenti il Sacco francese ( tra 1771 e 1778) con il Museo Pio-Clementino ( che prende il nome da Clemente XIV e da Pio VI Braschi, imprigionato e morto in Francia) e col celebre Cortile Ottagono (M. Simonetti, 1772), elegante ripensamento neoclassico del cinquecentesco Cortile delle Statue.

La natura militare delle requisizioni e delle confische della “campagna d’Italia”, legalizzate da successivi trattati, aveva ostacolato pesantemente  il rientro delle opere, ma la violenza dello sradicamento dai territori italiani e da Roma, 20 anni prima, era ben viva anche tra i francesi (Quatrèmere de Quincy) e i britannici (tra cui Giorgio IV d’Inghilterra).  Fin dai tempi della tragica (per l’Italia) carovana di quel bottino di guerra, Quatrèmere aveva dichiarato che meglio sarebbe stato per le radici francesi prendersi cura delle grandi rovine romane di Arles, Orange e Nimes. Fu decisiva la scelta di destinare le opere alla “pubblica e generale utilità” e “nella Capitale…a istruzione dell’ estera gioventù studiosa” (cit. da G.Cornini, Responsabile Dipartimento Arti dei secoli XV-XVI dei Musei Vaticani), ovvero in musei adeguati alle condivise visioni post-illuministiche.

Al ritorno in patria di un certo numero di opere seguì la creazione del Braccio Nuovo di Raffaele Stern (1822), il primo delle Gallerie ottocentesche (Gregoriano Etrusco, Gregoriano Profano) cui seguirono quelle novecentesche, a partire dalla Pinacoteca (1932, Luca Beltrami). Di fatto, le spoliazioni napoleoniche hanno rappresentato un trasferimento colossale di opere d’arte, paragonabile o superiore a quello degli eserciti romani in Grecia.

E’ proprio in ragione di tutti gli echi storici detti che questo apparentemente piccolo evento di collaborazione tra Istituzioni museali, dai  costi contenuti, ma che ha visto molto impegno da parte delle rispettive compagini scientifiche, tecniche e amministrative, è diventato più grande del previsto.

Concretizzandosi in un prestito a lungo termine della cornice e della cimasa da parte della Galleria Nazionale dell’Umbria (Direttore Marco Pierini) ai Musei Vaticani, autorizzato ed annunciato solo il giorno dell’inaugurazione della mostra nella Pinacoteca Vaticana.

L’opera, che nella sua interezza era già stata mostrata a Perugia nel periodo precedente, è ora ricomposta in tutte le sue parti e visibile, tra gli apparati descrittivi sui due dipinti e la loro cornice, fino al 30 aprile 2020, in una sala temporanea espressamente dedicata (Museums at Work).  Dopo sarà studiato un riallestimento della Sala VII della Pinacoteca, quella che precede Raffaello, per accoglierla nella riacquisita autentica condizione. In questo caso i dati di contesto (il Palazzo dei Priori di Perugia prima, i Musei Vaticani dopo) sono integralmente noti e superati per gli specialisti dalla storicizzata e filologica  visibilità raggiunta dalla Pala attraverso questo rinnovato accordo.

La Pala rimase solo fino al 1553  nella Cappella dei Priori, perché abolita la carica priorale fu trasferita al primo piano, da dove la parte principale  fu rimossa, separandola dal resto, nel 1797. Da allora “la cornice giaceva inutilizzata in deposito”  ha raccontato  Pierini, orgoglioso del compimento di un atto filologico coerente cogli obiettivi scientifici  più adeguati alla valorizzazione culturale dell’opera.

Merita menzionare il fatto che una cornice molto  vicina a questa -per tecnica di intaglio, stile e datazione- è stata oggetto di un differente caso, a Londra, presso la National Gallery.

Si tratta di quella in cui è stata collocata la Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci. In quel caso, nel desiderio di dare al celebre capolavoro una cornice più adatta di quella esistente, i servizi del Museo  hanno acquisito la cornice sul mercato adattandola poi, attraverso i Laboratori di restauro, con un paziente lavoro di ricucitura ed integrazione delle parti mancanti. Questo tipo di scrupolosa attenzione genera significative ricadute professionali e culturali nel mondo dei mestieri tradizionali e nella trasmissione delle competenze artigianali connesse, a Londra come a Firenze, Roma o Milano, rendendo le città europee luoghi di esperienze  irripetibili, non replicabili altrove.

 

 

  • All’alba di Raffaello. La pala dei decemviri di Perugino
  • Evento di apertura delle Celebrazioni Raffaellesche ai Musei Vaticani (7.2.2020- 30.4.2020)
  • Orario di visita: dal lunedì al sabato, ore 9-18 (ultimo accesso ore 16)
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Laureata e specializzata in storia dell’arte all’Università “La Sapienza” di Roma, ha svolto, tra 1989 e 2010, attività di studio, ricerca e didattica universitaria, come borsista, ricercatore e docente con il sostegno o presso i seguenti istituti, enti di ricerca e università: Accademia di San Luca, Comunità Francese del Belgio, CNR, ENEA, MIUR-Ministero della Ricerca, E.U-Unione Europea, Università Libera di Bruxelles, Università di Napoli-S.O Benincasa, Università degli Studi di Chieti-Università Telematica Leonardo da Vinci. Dal 2010 è CTU-Consulente Tecnico ed Esperto del Tribunale Civile e Penale di Roma. È autrice di articoli divulgativi e/o di approfondimento per vari giornali/ rubriche di settore e docente della 24Ore Business School.

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