“Si fa poesia non pensandoci, perché occorre farla. La poesia non è poesia, se non porta in sé un segreto. La parola è impotente, la parola non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi. Ma lo avvicina”.
Questa è la definizione della parola secondo Giuseppe Ungaretti, precursore dell’ermetismo, tra le voci più struggenti della poesia di guerra di tutti i tempi, riconosciuto come uno dei massimi poeti del Novecento italiano.
Se la poesia è immediatamente decifrabile e non contiene in sé un segreto, alcun significato profondo, la poesia non c’è. Anche la poesia apparentemente semplice deve contenere in sé un segreto, un profondo significato non immediatamente decifrabile.
La poesia si avvale di frequente della memoria, o di ciò che ne resta, rielaborata dalla nostra sensibilità e dall’inconscio, nei luoghi come nei desideri e conduce ad un segreto disvelato e alla continua riflessione sul nostro divenire.
La poesia è anche un incontro che ci permette di ristabilire, con il nostro vivere e con quella parte che è la consuetudine dell’esistenza, il mosaico che è composto dai tasselli di tutto ciò che siamo. Esistere nel tempo di questo mosaico significa ristabilire quelle eredità che sono eredità in cui il senso del trasporto esistenziale diventa trasmissione di tradizioni. Si vive, in fondo, di tradizioni e la poesia raccoglie questo essere e questo “restare dentro la parola”.
Giuseppe Ungaretti inizia a formulare la propria concezione poetica in un periodo complicato per l’umanità, ovvero quello della prima guerra mondiale.
Il poeta concepisce la poesia come un’indagine conoscitiva dell’uomo, come uno strumento di conforto e sollievo contro gli orrori della guerra. Ungaretti vuole, dunque, ripartire proponendo una poesia che si distacchi dai tempi della storia: introduce grandi novità formali, come l’assenza di punteggiatura, la brevità dei versi e delle strofe, destinate ad avere vasta eco nelle generazioni dei poeti successivi.
Affida al lettore il compito di intuire i rapporti segreti fra le cose attraverso l’uso dell’analogia con un linguaggio fortemente evocativo: il poeta riduce il verso frantumando la misura metrica e utilizza un lessico semplice per mettere a contatto l’uomo con la realtà nascosta del tempo.
Il 1° giugno del 1970 a Milano, all’età di 82 anni, si spegneva, a causa di una broncopolmonite. Per onorare il grande poeta nella ricorrenza dei 50 anni dalla morte, proponiamo alcune tra le sue liriche più conosciute e toccanti.
Fratelli
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
Mattina
M’illumino
d’immenso.
(Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917)
San Martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E’ il mio cuore
il paese più straziato
(Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916)
Soldati
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
(Bosco di Courton luglio 1918).
Si laurea in Scienze della Comunicazione con indirizzo impresa e marketing nel novembre del 1998 presso l'Università La Sapienza di Roma; matura circa dodici anni di esperienza presso agenzie internazionali di advertising del Gruppo WPP - Young&Rubicam, Bates Italia, J.Walter Thompson - nel ruolo di Account dove gestisce campagne pubblicitarie per conto di clienti tra cui Pfizer, Johnson&Johnson, Europcar, Alitalia, Rai, Amnesty International e Ail. Dal 2010 è dipendente di Roma Capitale e attualmente presta servizio presso l'Ufficio di di Presidenza del Municipio Roma XIV dove si occupa di comunicazione istituzionale, attività redazionale sui canali social del Municipio e piani di comunicazione. Ama viaggiare e leggere.
- Paola Bellusciohttps://www.artapartofculture.net/author/paola_belluscio/
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