La parola al Teatro #43. Al Teatro basilica in scena Ion. Dino Lopardo racconta la diversità che spaventa

immagine per ION spettacolo di Dino Lopardo

Il ricordo ti ricorda chi sei e da dove vieni. Il ricordo rievoca in te momenti che credevi di aver dimenticato ma che son fin nel profondo parte della tuo modo di essere. Il ricordo sei tu.

Spettacolo vincitore del Festival In Divenire 2019, scritto e diretto da Dino Lopardo, da un’idea di Andrea Tosi, con Alfredo Tortorelli, Andrea Tosi e Iole Franco, ION affronta il difficile tema dell’emarginazione delle persone ritenute diverse, e dell’omosessualità intesa troppo spesso come infermità mentale e rappresenta uno dei migliori esempi della capacità del teatro di veicolare messaggi civili e sociali importanti e profondi.

Al centro della drammaturgia i temi della diversità e del pregiudizio sociale. La vita di due fratelli, Giovanni e Paolo, segnata da un passato che li ha condizionati profondamente.

Il loro quotidiano tra litigi e sorrisi richiama spesso i malinconici trascorsi dell’infanzia alla presenza soffocante di un padre e alla colpa grave di uno dei due.

Abbiamo incontrato il drammaturgo Dino Lopardo per approfondire alcuni temi del suo progetto.

Dino, per prima cosa partiamo dal titolo del tuo spettacolo: a che cosa si riferisce ION?

ION e la parte terminale di una parola dialettale che connota tutto il substrato di cattiveria e arretratezza in cui versa la famiglia dei due fratelli, Giovanni e Paolo, ma è stato bello ascoltare le diverse restituzioni del pubblico nelle quali ognuno ha dato la propria personale interpretazione al titolo: ad esempio la parola NOI alla rovescia oppure un’etimologia greca che indica il fiore viola.

Pregiudizio e stereotipi sul tema della diversità sono sempre attuali: come si contrastano?

In realtà non si contrastano affatto. Sono una parte molto determinante di come la diversità viene avvertita come un problema, un pericolo, qualcosa che ci costringe a mettere in discussione la nostra presunta “normalità”. E si perde invece quello che di bello la diversità può portare in termini di arricchimento, di vedere le cose da punti di vista differenti.

Quale percorso hai seguito nel traslare un fatto di cronaca in drammaturgia?

Il termine che mi viene in mente è abbandono, nella sua accezione più positiva. Ho voluto si attingere da un fatto di cronaca realmente accaduto proposto da Andrea Tosi – che interpreta Giovanni nello spettacolo – per poi allontanarmene completamente, abbandonarmi appunto ad altre suggestioni. A quelle che gli attori, generosi, mi hanno dato durante il lungo e faticoso lavoro di improvvisazioni che ci hanno portato a scrivere in scena e con la scena.

Un materiale vivo che in seguito ho elaborato per costruire da una singola storia mille storie confrontandomi addirittura con la “gente”: ho voluto sin da subito aprire le porte al futuro pubblico per mostrare le varie fasi del percorso creativo. È stato un vero e proprio scambio totalizzante che ci ha, tra le altre cose, permesso di mostrare tutto quello che c’è prima di una messa in scena. Se vogliamo, oserei dire, un processo sociologico prima che artistico.

I tuoi protagonisti Giovanni e Paolo evocano spesso ricordi della loro infanzia sbiadita: quanto è importante per te riflettere sul passato e immaginare il futuro?

I ricordi sono la base dalla quale partiamo per costruire le nostre relazioni. Possono determinare in maniera indelebile ed irreversibile quello che saremo in un futuro, nel bene e nel male. Una condanna o un’ancora di salvezza.

Le tue radici lucane, prima con il successo di Trapanaterra, finalista In-Box ’20, ora con Ion sono il filo rosso della tua drammaturgia: quale messaggio vuoi trasmettere alla tua terra?

Non ci sono messaggi in particolare. Certo fa specie che dal nostro sud bisogna sempre allontanarsi per migliorarsi ma l’ho messo in conto e probabilmente lo avrei fatto comunque pur di proseguire nel mio percorso di crescita.

L’amarezza sta nel ritorno e scoprire che, mentre dentro di me si sono smosse tante cose in un certo qual modo arricchenti, nella mia amata/odiata terra tutto è paurosamente e pericolosamente fermo. Tutto questo lo trovo inaccettabile.

Prima di lasciarci, ritorniamo al presente: stai lavorando su un progetto nuovo?

Le idee in cantiere sono tante. Ho terminato di girare un corto completamente autoprodotto l’estate scorsa dal titolo Partecipare con il supporto e l’aiuto prezioso dei ragazzi del collettivo ITACA (Andrea Tosi, Alfredo Tortorelli e Jole Franco); Giuseppe Salviulo e Salvo Iaia ed ora sto terminando un altro corto che verrà proposto al Festival del Cinema di Venezia dal titolo Vecchio con Leo Gullotta prodotto dalla Patroclo Film e l’Avvelenata.

Per quanto riguarda il teatro invece, sto ultimando la ricerca per un monologo iniziata durante la prima fase della pandemia dove tra le altre cose ho realizzato un breve video dal titolo NessunoEscluso promosso da Amnesty.

immagine per ION spettacolo di Dino Lopardo

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Si laurea in Scienze della Comunicazione con indirizzo impresa e marketing nel novembre del 1998 presso l'Università La Sapienza di Roma; matura circa dodici anni di esperienza presso agenzie internazionali di advertising del Gruppo WPP - Young&Rubicam, Bates Italia, J.Walter Thompson - nel ruolo di Account dove gestisce campagne pubblicitarie per conto di clienti tra cui Pfizer, Johnson&Johnson, Europcar, Alitalia, Rai, Amnesty International e Ail. Dal 2010 è dipendente di Roma Capitale e attualmente presta servizio presso l'Ufficio di di Presidenza del Municipio Roma XIV dove si occupa di comunicazione istituzionale, attività redazionale sui canali social del Municipio e piani di comunicazione. Ama viaggiare e leggere.

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