La poesia che resiste #2. Invictus. La forza di resistere alle inumane leggi della natura.

Invictus, “invitto”, “mai sconfitto”. Un vero e proprio inno alla fede, alla libertà e alla resistenza dell’uomo di fronte ai momenti più cupi della propria esistenza. Questa lirica è stata la compagna di Nelson Mandela durante la prigionia e ha saputo infondergli coraggio.

È stata scritta da William Ernest Henley, poeta inglese della seconda metà dell’Ottocento. L’autore era affetto da una tubercolosi che aveva provato e deformato il suo fisico tanto che all’età di venticinque anni i medici avevano dovuto amputargli una gamba.

La poesia è stata, quindi, scritta da un uomo che avrebbe avuto titolo per rientrare tra i vinti della vita, ma che invece dichiara di essere invinto, avendo opposto alle avversità la propria invincibile forza d’animo e la libertà di autodeterminare il proprio io.

La prima strofa è una preghiera pronunciata nella notte, metafora dell’abbandono e del senso di smarrimento del poeta. Ed è proprio nel silenzio e nella solitudine, quando tutto sembra perduto, che l’uomo riscopre il fondamento ultimo della sua esistenza: la sua libertà.

immagine per Invictus

Henley riconosce l’esistenza di un’anima, di una soggettività morale diversa dal proprio corpo abbruttito dalla malattia; un’anima che non può essere domata dalle sofferenze fisiche che la sorte gli ha riservato. Di questo dono straordinario ringrazia Dio, riconoscendone così anche l’esistenza, sul presupposto che l’esistenza di un’anima indomabile è legata all’esistenza di una divinità che dona all’uomo l’anima ed insieme ad essa la libertà, concedendogli così la straordinaria forza di resistere alle inumane leggi della natura.

Dal profondo della notte che mi avvolge
buia come la fossa dell’Inferno
rendo grazie a qualunque Dio ci sia
per la mia anima invincibile.

La seconda e la terza strofa narrano della lotta del poeta contro le avversità della natura e della malattia. Una lotta impari che segna il corpo del poeta, ma non ha la meglio sull’anima che si fa e si farà trovare sempre pronta a rispondere colpo su colpo. I versi evocano una battaglia aspra – capo sanguinante, colpi d’ascia, collera, lacrime- che verrà combattuta con dignità e coraggio, nonostante l’esito sia scontato.

Nella feroce stretta delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.
Oltre questo luogo d’ira e di lacrime
si profila il solo Orrore delle ombre,
e ancora la minaccia degli anni
mi trova e mi troverà senza paura.

L’ultima strofa è un inno al libero arbitrio ed alla autodeterminazione dell’uomo. Il poeta non sa quante altre sofferenze gli opporrà la vita: tutto questo è oscuro. Ciò che conta tuttavia è che egli è di se stesso e libero di scegliere di non arrendersi e non piegarsi, essendo il solo condottiero della sua anima.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.

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Si laurea in Scienze della Comunicazione con indirizzo impresa e marketing nel novembre del 1998 presso l'Università La Sapienza di Roma; matura circa dodici anni di esperienza presso agenzie internazionali di advertising del Gruppo WPP - Young&Rubicam, Bates Italia, J.Walter Thompson - nel ruolo di Account dove gestisce campagne pubblicitarie per conto di clienti tra cui Pfizer, Johnson&Johnson, Europcar, Alitalia, Rai, Amnesty International e Ail. Dal 2010 è dipendente di Roma Capitale e attualmente presta servizio presso l'Ufficio di di Presidenza del Municipio Roma XIV dove si occupa di comunicazione istituzionale, attività redazionale sui canali social del Municipio e piani di comunicazione. Ama viaggiare e leggere.

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