Il Premio Pulitzer Jhumpa Lahiri si racconta. Storia di una scrittrice multi-culturale innamorata dell’italiano.

È stato subito amore, un colpo di fulmine quello della scrittrice Jhumpa Lahiri per l’italiano, durante un viaggio a Firenze più di vent’anni fa. E da allora non ha mai smesso di studiarlo e di leggere romanzi e poesie in italiano. Jhumpa Lahiri, classe ’67 nata a Londra da genitori bengalesi, cresciuta negli Stati Uniti, attualmente vive e insegna scrittura creativa a Princeton, dopo aver trascorso lunghi periodi a Roma.

immagine per Jhumpa Lahiri
Jhumpa Lahiri

Ospite dell’Amministrazione comunale di San Giovanni a Piro, caratteristico borgo del Cilento, immerso tra il verde degli alberi e l’azzurro del mare, Jhumpa Lahiri ha ricevuto il Premio letterario “Giampaolo Rugarli” per il 2019, dedicato al grande scrittore scomparso.

A margine di questo evento, la  grande interprete della narrativa mondiale ha accettato di farsi intervistare da noi. L’abbiamo incontrata nei giardini del Cenobio basiliano fondato dai monaci bizantini nel 990 d.c., oggi museo multimediale, angolo di arte e archeologia medievale, in un’atmosfera intrisa di misticismo e spiritualità.

La tua partecipazione di oggi testimonia ancora una volta il tuo amore per il Belpaese. Le tue ultime tre opere sono in italiano: mi parli di questo tuo innamoramento linguistico?

È una condizione che fa parte del mio percorso professionale e creativo. C’è stato un cambiamento, un punto di svolta sia professionale che personale e mi sento rinata. Abbracciare una nuova lingua, una nuova cultura, somiglia alla scoperta di un nuovo mondo e di una nuova identità.

È uno spazio privato in cui mi sento più alleggerita. La scrittura per me è una ricerca e questo nuovo tracciato mi dà una libertà totale perché questa fame per una lingua perfetta mi spinge a migliorare e a puntare verso un traguardo che non riesco mai raggiungere.

Ho adottato infatti un nuovo approccio filosofico-esistenziale poiché vivo con l’incertezza che nasce dalla mancanza di una vera padronanza della lingua. Botero, il grande pittore, affermava che “l’artista dovrebbe lavorare con un’angoscia permanente” ed io con l’italiano sperimento una dimensione “angoscia” formale e linguistica che però mi apre una nuova strada, mi dà energia e nuove prospettive.

Nella tua ultima opera, Racconti italiani edito da Guanda, un’antologia rara e affascinante di racconti di quaranta autori del Novecento italiano, abbiamo notato che, accanto ai “grandi”, hai dato spazio a scrittori poco noti persino a noi italiani, con un’attenzione particolare rivolta alle voci femminili. Quali criteri ti hanno guidata in queste scelte?

Questa raccolta è il risultato di un’immersione nella letteratura contemporanea italiana con al centro il racconto perché io credo che la letteratura serva ad accogliere chiunque abbia la curiosità e la voglia di affrontarla. Ho voluto creare una miscela di temi e stili e accostare a nomi indiscutibili e tuttora presenti nel panorama letterario contemporaneo, da Elio

Vittorini a Corrado Alvaro, altri che non fossero necessariamente celebri.
Volevo mettere insieme un gruppo insolito che riflettesse, ovviamente, il mio gusto: autori sperimentali, poco convenzionali che hanno interpretato con virtuosismo la forma breve, coinvolgendo soprattutto le voci femminili.

A tale proposito posso dire che nell’affermazione di scrittrice donna non ho incontrato particolari difficoltà negli Stati Uniti mentre qui in Italia devo rilevare che la questione femminile resta ancora aperta.

Quando mi confronto con altre scrittrici sento parlare di un atteggiamento ancora un po’ prevenuto, maschilista, nonostante il 900 italiano sia ben rappresentato dalle donne, a cominciare da Grazia Deledda per proseguire con le figure attuali che operano non solo nel campo della scrittura ma nelle arti in genere.

Torniamo alla letteratura, un genere che occupa uno spazio molto rilevante nella tua vita di scrittrice. La letteratura per te è solo intrattenimento ed evasione o deve poter essere sostanziata, più laicamente, da un compito?

Non credo debba avere un obiettivo del genere in quanto la letteratura è un’espressione, un’arte, una forma estetica; puntiamo sulla bellezza e utilizziamo la lingua o anche più lingue perché diversamente la letteratura sarebbe un prodotto troppo attuale ed estemporaneo come può essere un quotidiano.

Ancora oggi leggiamo Omero per la bellezza: non c’è un messaggio in Omero ma c’è la poesia. Ne ricaviamo certamente verità, lezioni importanti e strumenti per comprendere ed affrontare la vita, tuttavia si tratta di un racconto da condividere che esprime un’esperienza; così come un ritratto, una composizione, un gesto personale, un brano musicale.

In realtà non credo ci sia nulla di nuovo da raccontare per noi artisti ma c’è l’interpretazione, c’è la prospettiva che rende unico il racconto. Nel mio Racconti italiani, ad esempio, ogni composizione ha un tema: la perdita, la gioia di vivere oppure la tristezza. C’è sempre un artista che produce una nuova poesia o nuovo libro perché rispecchia la propria esigenza di meditare sulla vita e ciò rappresenta per noi un grande privilegio perché la scrittura, tutta la creatività in genere, è un pensiero che va in profondità e arriva all’essenza.

Puoi darmi una tua definizione di scrittura?

È un dialogo con altri scrittori e con altri testi. Non con il pubblico. Scrivere è per me una condizione, un’abitudine, un atteggiamento, è un viaggio che compio prima di tutto per me stessa, una sorta di isola deserta dove non c’è nessuno se non io, un luogo necessario per pensare, vedere e quindi scrivere della vita in totale tranquillità. Tutto accade lì, in quella zona.

Quando scrivo, cerco sempre di replicare ciò che vedo, la condizione della solitudine assoluta. Scrivo per soddisfare una mia esigenza strana e intensa, solo così potrò soddisfare anche chi mi legge.

Sono trascorsi 19 anni da quando hai vinto il premio Pulitzer per L’interprete dei malanni, come sei cambiata come donna e come scrittrice?

Ho avuto un cambiamento radicale ma allo stesso tempo i temi a cui sono rimasta legata sono rimasti gli stessi: la partenza, lo straniamento, gli spostamenti, come superare un confine linguistico, geografico o culturale. La mia identità è un insieme di cose ed è sempre in mutazione. Un’identità multipla che è una sorta di dolore tra il doversi uniformare e il rompere l’uniforme che sta stretta.

Nel romanzo scritto in italiano Dove mi trovo emerge una donna che non sa creare legami durevoli con nessuno, se non con i luoghi che abita ogni giorno. C’è forse un riferimento alla tua storia familiare vissuta da giovane in un Paese diverso da quello dei tuoi genitori molto legati alle loro tradizioni?

Certamente nel libro c’è il tema dello spaesamento, quell’urto tra due mondi che ha coinvolto molto la mia famiglia; in verità in questo, come in tutti i miei romanzi, non ci sono riferimenti autobiografici, tuttavia le storie narrate vengono dalla mia realtà e nascono per comprendere meglio i miei genitori, per restituire loro un mondo perso e lenire tutta quella sofferenza che era dietro quella scelta di vivere negli Stati Uniti.

La scelta di scrivere in italiano in questo mi ha sostenuta: è una lingua che mi fa sentire bambina, ma anche adulta, perché adesso scrivo per me e non sento più quel peso che avevo prima.

Barack Obama ti ha insignito della Medaglia nazionale dell’arte per il tuo romanzo La moglie. Quali emozioni hai provato allora e come vedi l’America di oggi con Trump?

Quel momento di 3 anni fa, nel 2015, mi ha fatto vivere una fortissima emozione di cui ho un vivido ricordo. Con Obama Presidente anche io mi sono sentita per la prima volta veramente americana, parte integrante di una comunità ma a distanza di quattro anni la situazione è completamente cambiata.

Il Paese ha fatto una marcia indietro incredibile, come tutto il resto del mondo, purtroppo. Nella mia mente continuo a pensare che sia ancora Obama il nostro Presidente perché proprio non riesco ad accettare la deriva populista di Trump. Mi sono chiusa. Seguo poco la politica perché è troppo sconvolgente.

Come sogna Jhumpa Lahiri?

Tendo a sognare in silenzio ma ho iniziato a farlo anche in italiano, pur vivendo in America, forse per il desiderio recondito di creare un legame indissolubile con la vostra lingua.

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Si laurea in Scienze della Comunicazione con indirizzo impresa e marketing nel novembre del 1998 presso l'Università La Sapienza di Roma; matura circa dodici anni di esperienza presso agenzie internazionali di advertising del Gruppo WPP - Young&Rubicam, Bates Italia, J.Walter Thompson - nel ruolo di Account dove gestisce campagne pubblicitarie per conto di clienti tra cui Pfizer, Johnson&Johnson, Europcar, Alitalia, Rai, Amnesty International e Ail. Dal 2010 è dipendente di Roma Capitale e attualmente presta servizio presso l'Ufficio di di Presidenza del Municipio Roma XIV dove si occupa di comunicazione istituzionale, attività redazionale sui canali social del Municipio e piani di comunicazione. Ama viaggiare e leggere.

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