Lo “Smarrimento” di Lucia Mascino al Teatro India

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L’unica gioia al mondo è cominciare. Cesare Pavese

Scritto e diretto da una delle più importanti drammaturghe italiane contemporanee, Lucia Calamaro, vincitrice di tre premi UBU e del premio Hystrio nel 2019, Smarrimento è proprio “un dichiarato elogio degli inizi e del cominciare” e racconta di una scrittrice, interpretata da una graffiante Lucia Mascino, alle prese con il suo nuovo romanzo a cui non riesce a dare un incipit, offrendo uno sguardo sulla condizione che spesso vive proprio chi le crea quelle parole. D’altro canto l’evento – come lo chiamerebbe Alain Badiou, evocato dalla stessa Lucia/scrittrice – drammaturgico dei lavori della Calamaro risiede nella parola stessa che attraversa la figura in scena diventando voce e azione.

Una girandola esistenziale tragicomica in cui la scrittrice si muove, in un continuo alternarsi di pensieri e voci interiori, tra i soggetti dei suoi potenziali romanzi che rivendicano il proprio diritto di esistere, anche se solo “iniziati”, risvegliando sospesi professionali e personali.

Dall’ordine geometrico dell’inizio si giunge alla distruzione di ogni ordine costituito, nel quale, alla fine, resta solo la necessità del dolore e la consapevolezza del ricordo. Il simbolico abbattimento della sua libreria, metafora dell’assenza della spinta creativa e quel finale in bilico sulle due parole “ma perché”, ben rappresentano quel disagio contemporaneo di cui la Mascino, attenta anche alle piccole sfumature, ci fa partecipi con un’intrigante presenza scenica e una recitazione rotta e intima, espressione di una drammaturgia penetrante.

L’allestimento, presentato da Marche Teatro, si avvale della scena e luci di Lucio Diana e dei costumi di Stefania Cempini. La scenografia è essenziale: un salotto di casa illuminato da una luce che riverbera dei colori pastello di cui si tinge il fondale, dominata dal bianco come il completo indossato dalla protagonista.

Al termine dello spettacolo, abbiamo incontrato Lucia Mascino, poliedrica attrice che spazia con talento e sensibilità tra teatro, cinema e televisione, per approfondire alcuni temi di questo progetto.

La sinergia teatrale tra voi due Lucie – Calamaro e Mascino – ha generato Smarrimento: perché questo titolo?

Con Lucia Calamaro ci siamo conosciute cinque anni fa e abbiamo sentito immediatamente il desiderio di lavorare insieme per via di alcune dinamiche interiori che si sono stabilite tra noi. Ci siamo interrotte ma è rimasto questo slancio di fare uno spettacolo insieme; abbiamo iniziato su un testo suo ed è uscita fuori questa parola, smarrimento, che è una sensazione che ci abita e che ci accomuna: il non trovarsi e il domandarsi perché si accetta di portare avanti determinate esperienze. Ma non è un sentimento negativo, semmai è il dubitare, quindi il porsi delle domande.

Una parola che contiene tante sensazioni: l’immagine un po’ infantile, fiabesca di un’Alice che perde la strada ma allo stesso tempo una condizione esistenziale di ricerca che identifica una figura che ha perso ma che non piange e che cerca di individuare una via d’uscita per poi ritrovarsi più forte e sicura.

Questo progetto, scritto espressamente per te, sembra costruito su una perfetta triangolazione tra regia, drammaturgia e interpretazione: qual è stato il percorso creativo che ha dato vita a Smarrimento?

Il processo creativo seguito da Lucia è stato piuttosto inedito per me: abbiamo iniziato provando in casa, in una dimensione di intimità, presente anche nello spettacolo come sensazione. Il testo è stato cucito su di me con dei pezzi che appartenevano a dei suoi testi scritti in precedenza, poi modificati, e altri ancora scritti ex novo. Sullo spettacolo c’è una parte che era già sedimentata per lei che appartiene molto alla sua biografia e una parte che è nata su di me.

Io in realtà interpreto lei, sono il suo alter ego, perciò ho abitato i testi, facendoli un pò miei anche perché, pur non cambiando le parole, ad un certo punto è stata lei a spingermi a viaggiarci dentro con i miei modi di essere, i miei cambi umorali, a volte molto leggeri, comici a volte angosciati, interpretando personaggi sempre sospesi fra la drammatica leggerezza e la leggera drammaticità.

La vicinanza alle parole scritte da Lucia Calamaro mi ha fatto sentire in armonia con me stessa, permettendomi di sviluppare maggiormente la mia sensibilità e di imparare a parlare con me stessa ad voce alta.

L’abbattimento della quarta parete e l’affabulazione attoriale che ti è propria quando interroghi a volte retoricamente il pubblico, quale significato assumono?

La vicenda inizia con un pretesto narrativo. La scrittrice è invitata dal suo editore a tenere una sorta di conferenza, un reading. E, infatti, il mio approccio col pubblico è diretto alla platea, mi rivolgo agli spettatori in sala, immaginando che abbiano letto i miei romanzi.

Tutto è centrato sul fatto che io faccio credere al pubblico che sono loro a determinare le situazioni mentre in realtà sono io muoverli.

Quando io sono solida interiormente, ovvero quando c’è una forza vigorosa di partenza, in quel soffiato, in quel sottrarmi, io conduco il pubblico.

 Hai portato in scena il tuo primo monologo teatrale offrendo uno spaccato umano di grande intensità: quali emozioni hai vissuto e come il tema della fragilità trattato qui, e caro ai testi della Calamaro, ti coinvolge come attrice?

Questo monologo è come un salto mortale, un’esperienza immersiva e molto rara. Non ho alcun appoggio, cambi luce, musiche: ci sono solo io che viaggio nelle sensazioni; provo un senso di grande libertà, ma pure di paura perché ci si sente più nudi.

E’ interessante perché caratterialmente tendo un po’ a nascondermi, pur facendo l’attrice, e questo monologo mi costringe a non farlo e i personaggi che interpreto hanno pensieri e pongono domande che appartengono a tutti noi: riflettono le stesse incertezze, gli stessi contrasti mentali.

Confesso che anche nella vita privata mi sono sentita spesso smarrita e fragile, persa negli eventi belli che la vita ti regala e quelli brutti che ti impone, con cui ti mette alla prova.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

A fine marzo sono allo Stabile di Torino, nel nuovo spettacolo che Filippo Dini ha tratto da Ghiaccio (Frozen) della drammaturga britannica Bryony Lavery, e sto terminando le riprese della fiction Rai in 6 puntate, Vivere non è un gioco da ragazzi, con Claudio Bisio, Stefano Fresi e Nicole Grimaudo, per la regia di Rolando Ravello.

Grazie Lucia e in bocca lupo!

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Si laurea in Scienze della Comunicazione con indirizzo impresa e marketing nel novembre del 1998 presso l'Università La Sapienza di Roma; matura circa dodici anni di esperienza presso agenzie internazionali di advertising del Gruppo WPP - Young&Rubicam, Bates Italia, J.Walter Thompson - nel ruolo di Account dove gestisce campagne pubblicitarie per conto di clienti tra cui Pfizer, Johnson&Johnson, Europcar, Alitalia, Rai, Amnesty International e Ail. Dal 2010 è dipendente di Roma Capitale e attualmente presta servizio presso l'Ufficio di di Presidenza del Municipio Roma XIV dove si occupa di comunicazione istituzionale, attività redazionale sui canali social del Municipio e piani di comunicazione. Ama viaggiare e leggere.

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