Letteratura inaspettata #29. Le cose che bruciano di Michele Serra. La libertà del passato che diventa cenere.

immagine per Michele Serra
immagine per Michele Serra Le cose che bruciano
Le cose che bruciano, cover

Ultima fatica letteraria dell’eclettico scrittore Michele Serra, Le cose che bruciano edito da Feltrinelli, è un romanzo che parla di solitudine, di passati ingombranti e di rapporti umani; un’opera brillante, lucida, essenziale, piena di atmosfera, ironica e mai superficiale.

Il protagonista è Attilio Campi che, dopo aver fatto per anni politica attiva in un partito progressista, abbandona tutto a seguito del fallimento di una sua proposta di legge e decide di ritirarsi in solitudine in un paesino ligure di montagna.

Tra boschi e trattori cerca di recuperare la quotidianità e apprezzare l’umiltà della vita arrivando a mettere letteralmente le mani nella terra: lui che aveva sempre lavorato astrattamente con le parole, scopre tutta l’armonia e la gratificazione del lavoro materiale. Riscopre “l’acqua come principio” e non come banale “conseguenza del rubinetto aperto o anonima bolletta condominiale”.

Refrattario a tutto quello che gira nel mondo di oggi, internet e social su tutti, Attilio vorrebbe cadere nell’oblio ed essere dimenticato come lui sta cercando di fare con la sua vita passata.

Scomparendo agli altri mi sono reincarnato in me stesso, e a più di un anno di distanza la mia vita nuova ancora mi dà ebbrezza. La tipica ebbrezza dello scampato pericolo, quando ti volti indietro e pensi: ho rischiato grosso. Mi è andata proprio bene. Per molti rappresentavo, nella mia vita precedente, un nemico da odiare oppure un modello da imitare. Ora rappresento molto di più: uno sconosciuto.

Anche nella casa a Roccapane, luogo immaginario ma molto realistico, è però ossessivamente legato – vittima e schiavo – del peso dei ricordi passati, che lo inseguono anche a distanza, ma di cui farebbe volentieri a meno: dal “ciarpame eterogeno di zia Vanda alle sedie chiavarine sfondate” e ancora “dalle tovaglie ormai irrimediabilmente macchiate dal vino e dall’unto e soprattutto agli album di fotografie sbiadite e senza luce…”.

La tentazione di Attilio allora è una sola: dare fuoco a tutti quegli oggetti fantasticando su come costruire la pira perfetta e liberarsi del peso della memoria per raggiungere la libertà. Rendersi liberi di se stessi e del proprio passato, provare ad essere una persona migliore, a dispetto della sua indole litigiosa e arrogante, sono gli obiettivi che Attilio intuisce di dover raggiungere attraverso il rogo degli oggetti materiali.

Voglio bruciare tutto. Sì, brucerò tutto, e nel fumo che sale al cielo vedrò danzare – finalmente – la mia libertà. Un trionfo, un azzeramento che trasforma cataste malferme in puro suolo. Metri cubi di ingombro ridotti a pochi centimetri di cenere. Tonnellate di peso in pochi grammi, così pochi che per disperderli non c’è nemmeno bisogno del vento.

La redenzione del personaggio attaccabrighe che si spoglia di ciò che reputa superfluo per raggiungere una sorta di pace e di liberazione è il tema centrale del romanzo: Attilio evoca spesso la minaccia di una guerra annunciata, una “Terza guerra mondiale” che dovrà arrivare per sollevare gli uomini dalla propria angoscia, una guerra intesa quasi come cambiamento. Il suo.

 

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Si laurea in Scienze della Comunicazione con indirizzo impresa e marketing nel novembre del 1998 presso l'Università La Sapienza di Roma; matura circa dodici anni di esperienza presso agenzie internazionali di advertising del Gruppo WPP - Young&Rubicam, Bates Italia, J.Walter Thompson - nel ruolo di Account dove gestisce campagne pubblicitarie per conto di clienti tra cui Pfizer, Johnson&Johnson, Europcar, Alitalia, Rai, Amnesty International e Ail. Dal 2010 è dipendente di Roma Capitale e attualmente presta servizio presso l'Ufficio di di Presidenza del Municipio Roma XIV dove si occupa di comunicazione istituzionale, attività redazionale sui canali social del Municipio e piani di comunicazione. Ama viaggiare e leggere.

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