Fondazione Coppola a Vicenza. Intervista all’imprenditore e collezionista Antonio Michele Coppola

immagine per Fondazione Coppola

Una veduta incomparabile sulla città, dal suo punto più alto; e un edificio storico, il Torrione di Porta Castello a Vicenza, che con i suoi 41,60 metri di altezza, rappresenta il monumento-simbolo del paesaggio vicentino. Storia e bellezza negate per secoli, ma che sono finalmente tornate a poter essere condivise dai cittadini da poco più di un anno, da quando nel 2019 il Torrione ha riaperto le porte grazie all’iniziativa dell’imprenditore e collezionista Antonio Michele Coppola.

Fondatore di Biomax Spa, azienda leader nel settore dell’odontoiatria, implantologia e tecnologie biomedicali, Coppola si è laureato in Lettere alla Harvard University, nel 1977 è stato proclamato ambasciatore onorario dello Stato del West Virginia e dal 2013 è membro di Centennial Committee di Armony Show, comitato di una delle principali fiere d’arte di New York che riconosce l’impegno e il sostegno di un gruppo di importanti collezionisti internazionali.

L’interesse per il mondo dell’arte lo ha portato a collezionare opere di artisti noti e meno conosciuti, con particolare attenzione per gli artisti emergenti.

Quando è riuscito ad acquistare il Torrione, che era stato messo all’asta, e a donarlo al Comune di Vicenza in cambio di un usufrutto trentennale, Coppola ha avviato gli interventi di restauro, ad opera dello Studio UP3 Architetti Associati, riuscendo perfettamente a far rispettare la storia e la grandiosità eloquente e instabile dell’edificio.

Un’operazione culturale che ha riconsegnato alla città, e all’Italia, parte del suo patrimonio storico e favorito un respiro internazionale, diventando significativo polo dell’arte contemporanea.

A poco più di anno dall’inaugurazione della Fondazione Coppola, abbiamo parlato con Antonio Michele Coppola.

La BMW Art Guide l’ha inserita tra i primi 250 collezionisti indipendenti mondiali. Le prime opere che ha acquistato sono stati due lavori di Daniel Pitin. Può raccontarmi cosa l’ha avvicinata a questo artista e come è iniziato il suo percorso da collezionista?

“Il mio avvicinamento all’arte avvenne quando mi accorsi che le opere d’arte potevano rivelare indizi sulla nostra natura umana che il linguaggio verbale non era in grado di esprimere.Le prime due opere che comprai furono appunto due piccoli dipinti di Daniel Pitin. Fui colpito dal senso di mistero e dalla molteplicità di interpretazioni che offrivano.Ovviamente, a parte il corto circuito del senso narrativo innescato dalle opere, fui toccato dalla capacità di sintesi, dal senso di ambiguità e dalla competenza tecnica dell’autore.”.

Molti collezionisti evitano di prendersi dei rischi e quindi percorrere nuove strade. Lei sembra andare controcorrente. Come vede il collezionismo oggi? Pensa che sarà difficile modificare certe dinamiche?

Non esiste un unico modo di procedere.Un collezionista deve cercare di essere il più autentico possibile ai suoi valori. C’è chi, come me, si avvicina soprattutto agli artisti emergenti; altri che lo fanno operando scelte ponderate e collezionano artisti consolidati, altri che lo fanno per motivi finanziari.  Non credo sarà possibile in futuro modificarne le dinamiche in maniera sostanziale in quanto ogni modalità rispecchia le tendenze e i gusti del collezionista,e i lavori che colleziona rispondono a esigenze esplicite o latenti. È per questo che ogni collezione tende a definire l’identità del suo proprietario.

Nicola Samorì ha definito il suo pproccio all’arte come “un’attenta lettura asciutta e di stampo filosofico, senza concessioni alle nebulose interpretative del manierismo contemporaneo”. Conferma il fatto che lei segue una strada lontana dai canoni curatoriali? Può spiegarmi meglio questa descrizione?

Più semplicemente detto, guardando in profondità un’opera d’arte si fondono esigenze di stampo esistenziale, si presentano domande irrisolvibili, si affrontano i grandi temi della vita, si sviluppano processi intellettuali, si destano banalmente attitudini di curiosità e meraviglia. Queste sono solo alcune delle emozioni che un osservatore dovrebbe essere capace di cogliere con un minimo di background nel campo dell’arte visiva.

Purtroppo, oggi i curatori e i critici svolgono un ruolo troppo ingombrante e non riescono a facilitare l’avvicinamento all’arte da parte del grosso pubblico. Il curatore tende a essere un protagonista assoluto, che a volte mette in secondo piano la decifrazione concreta delle opere e non riesce a renderle maggiormente usufruibili per l’uomo comune.

La questione non è di poco conto in quanto il successo si misura anche con il numero di visitatori di un museo, una fiera o una mostra in una galleria. Invece assistiamo a una gara intellettuale in cui sembra che debba vincere chi ne sa di più.

Io penso che non bisogna affrontare l’arte solo con il piglio intellettuale. Per questo ci sono strumenti e discipline apposite, che spaziano dalle scienze naturali più teoretiche alla poesia alla religione.

E’ passato quasi un anno dalla mostra La Torre degli artisti Neo Rauch e Rosa Loy, curata da Davide Ferri, che ha inaugurato la Fondazione Antonio Coppola negli spazi del Torrione di Porta Castello di Vicenza. A Ottobre 2019 è iniziato il ciclo di mostre Le nuove frontiere del contemporaneo, per presentare il lavoro di quattro artisti contemporanei: Hannah Levy, Haaron Mirza, Christian Manuel Zanon, Guglielmo Castelli.
Può anticipare progetti futuri?

 Le prossime mostre avranno come protagonisti assoluti Markus Schinwald a ottobre 2020 e Nicola Samorì più avanti nel 2021..

Il Torrione è stato da lei acquistato e poi donato al Comune di Vicenza con un accordo di usufrutto trentennale. Se pensiamo che prima di questo intervento il Torrione non poteva essere visitato dai suoi cittadini, dovremmo comprendere come l’arte sia rilevante per il nostro Paese. Ma dobbiamo sempre aspettare l’iniziativa dei singoli per comprendere come l’arte possa rappresentare un aspetto economico significativo?

Purtroppo è così e rimarrà così, almeno in Italia. C’è una miopia considerevole da parte dello Stato in termini di omissioni e ci sono molte discrepanze che avrebbero bisogno di essere colmate. In mancanza di un sistema benigno può trovare spazio solo l’iniziativa dei singoli.

In Italia la mancanza di agevolazioni fiscali nel settore culturale è una difficoltà davvero importante. Quali le problematiche maggiori per le Fondazioni?

In questo paese è difficile farsi carico anche del bene pubblico. Una fondazione rispetto a un’azienda pubblica deve per esempio sostenere il costo dell’IVA. Stampare un catalogo per una srl costa il 70% del valore nominale (attingendo, sia detto, dalle risorse societarie facilmente disponibili). Per una fondazione costa il 122% (attingendo dalle labili fonti dei benefattori). Per non parlare delle restrizioni in tema di elargizioni liberali per sostenere le fondazioni se non sono onlus. Essere una onlus in questo periodo storico è però praticamente impossibile. La legislazione è ferma da tempo per ciò che concerne il terzo settore.Quindi è questione di regole.Sono queste che limitano l’iniziativa dei singoli.

Gli artisti della sua collezione sono tanti. Da Nicola Samorì a Daniel Pitin, Eva Kototkova, Nina Canell, Rosa Barba, Cerutti e Pessoli, solo per citarne alcuni. Colleziona artisti affermati ma soprattutto emergenti. Con quali criteri seleziona le opere degli artisti? C’è una idea dominante nelle sue scelte?

Non riesco a rispondere a questa domanda. Posso solo dire che sono tutti grandi artisti che trattano l’esistenza dell’uomo e lo spazio in cui opera. Per me rimane centrale l’umanità come centro privilegiato di decifrazione dell’universo. L’artista apre finestre sulla materia e scopre, con le sue attività, il mondo.

Nel 2011 nasce Solo, pubblicazioni monografiche dedicate agli artisti della sua collezione. Di cosa si tratta esattamente? Quale la diffusione?

Parliamo di 500, 1000, 2000 copie per numero. Dipende. Solo è una vetrina della collezione e degli artisti che ne fanno parte. Sono delle mostre virtuali che incoraggiano il lettore a scoprire il lavoro peculiare degli artisti.

Abbiamo assistito ad una produzione sconnessa e frammentaria nell’arte che ha probabilmente impedito di tratteggiare una linea salda e resistente. Credo che in un contesto contemporaneo dove alcune sperimentazioni artistiche sembrano possedere una base sterile, in grado di esasperare la struttura nel suo complesso, si assiste ad un ritorno alla pittura come possibilità di una nuova e realmente contemporanea codificazione del presente. Qual è il suo pensiero?

La pittura è forse la pratica più congeniale all’arte visiva, in quanto permette di rappresentare con linee, colori e ombre la storia dell’invisibile. Anche il più scontato ritratto rispecchia un mondo interiore, in maniera altrimenti non esprimibile.

Un errore comune è di pensare che ci sono pratiche che sanno essere concettuali e di portare l’artista là dove la pittura non riesce.  Ovviamene è una presa di posizione approssimativa. Non fu proprio Leonardo che disse 400 anni prima di Duchamp che la pittura è cosa mentale?.

Torrione – photo by Francesco Castagna
Torrione – photo by Francesco Castagna
Torrione – photo by Francesco Castagna
Torrione – photo by Francesco Castagna
Torrione – photo by Francesco Castagna
Torrione – photo by Francesco Castagna

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Lucia Rossi, laureata in Arte, Spettacolo e Immagine Multimediale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Parma, è scrittrice, contributing editor per riviste d'arte, curatrice di mostre. Vive e lavora a Berlino. Ha diverse esperienze come curatrice indipendente di eventi culturali e collaborazioni per cataloghi d'arte e pubblicazioni.

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