Gianni Asdrubali: ritorno a Spoleto. Contributo di Marco Tonelli

A quasi venticinque anni dalla sua prima mostra personale a Spoleto presso Palazzo Racani Arroni (Tritatronico, a cura di Enrico Mascelloni), Gianni Asdrubali si conferma come uno dei pochi, se non forse l’unico artista in Italia che sia stato capace di spaccare in due la ricerca pittorica astratta, grazie a un processo di fusione a freddo tra due polarità opposte: da un lato la poetica espressionista, soggettiva, romantica e tragica di Emilio Vedova, dall’altro quella cadenzata, riflessiva e oggettiva di Enrico Castellani. Del primo mantiene l’irruenza del gesto sempre in prima persona, del secondo l’insistenza che sfiora la mistica di un costante e ossessivo dialogo tra il pieno e il vuoto, creando infine immagini e figure che non hanno più niente a che fare con queste polarità.

immagine per Gianni Asdrubali
Videogioco Gianni Asdrubali

Nell’anno poi del Centenario della nascita di Giovanni Carandente, la mostra dedicata da Palazzo Collicola e dal Comune di Spoleto ad Asdrubali rientra idealmente in quella serie di iniziative che verranno promosse in memoria del famoso critico e sovrintendente, il quale della conversione di Palazzo Collicola in museo d’arte moderna fu uno dei protagonisti, divenendone il primo direttore nel 2000. Fu nel 1988 che Asdrubali (di cui la Galleria d’Arte Moderna di Spoleto possiede due opere) venne chiamato a partecipare alla sezione Aperto 88 della XLIII Biennale di Venezia proprio da Carandente, il quale osservò in catalogo:

“La sua pittura è data in un’alternativa irrorata di tensione e energia, donde l’immagine può essere colta in positivo o in negativo. Rievoca sulla tela dipinta, in un certo senso, il fenomeno, che è della scultura, dei pieni e dei vuoti”.

La sua consacrazione ufficiale nel sistema dell’arte risale a quell’anno, anticipata dalla partecipazione alla Quadriennale di Roma nel 1986 e raddoppiata dalla sua presenza, su invito di Flavio Caroli, all’Australian Biennale presso la National Gallery of Victoria, sempre nel 1988. Un percorso di presenze internazionali che ha trovato infine la sua ridefinizione nella prestigiosa retrospettiva organizzatagli nel 2001 dall’Institut Mathildenhöhe di Darmstadt a cura di Klaus Wolbert.

Di questa vicenda artistica la mostra che viene qui presentata è una sorta di sintesi  emblematica, aggiornando la storia di un artista che, ancora nel pieno delle sue acrobazie tra una dimensione e l’altra dello spazio pieno e del vuoto pittorico, si conferma come uno dei più importanti pittori italiani “astratti” (seppure il termine, del tutto convenzionale, non abbia più senso nel suo caso, pur avendo fatto parte della cosiddetta Astrazione povera di Filiberto Menna nei primi anni ‘80).

Il surfing è l’azione generata dall’assenza. Ma questo surfing non è liscio ma a contrasto, è urtante, è un fuggire, andare via, per poi ritornare e sbattere nel suo stesso inizio, ma ogni volta che ritorna e urta su se stesso deforma e apre la struttura, trasformando la “figura” dell’immagine, che non è mai la stessa. L’interazione è la figura di questa lotta di questo contrasto tra il surfing e l’alieno”.

Così ha risposto Gianni Asdrubali alla proposta/provocazione di intitolare la sua esposizione Surfing with the Alien (titolo preso da uno dei brani e degli album più celebri del virtuoso e geniale chitarrista statunitense Joe Satriani), espressione ironica e surreale che vuole comunicare l’equilibrio instabile, i salti vertiginosi e le acrobazie nel vuoto di una pittura dinamica che sembra fluttuare nelle dimensioni dello spazio generando nuove trame e sorprendenti traiettorie.

Gianni Asdrubali, Palazzo Collicola

 

Ecco in sintesi il concept di una mostra nata come antologica di opere dal 1980 al 2020 e cadenzata in una serie di contrazioni elastiche di quanti pittorici tra una stanza e l’altra, una parete e l’altra, uno spigolo e l’altro dello spazio espositivo dedicato alle mostre temporanee di Palazzo Collicola, che mostra ancora i segni del terremoto del 2016.

A terremoto Asdrubali risponde con un altro (non tellurico ma pittorico) di “figure” che comprimono le dimensioni di un virtuale spazio tridimensionale sulla loro superficie, quasi fossero aggrovigliate e intrecciate su se stesse anziché arrotolate come nella teoria delle superstringhe, la più avanzata tra quelle che vogliono spiegare la struttura intima dello spazio, della materia, dell’energia. Un parallelismo che non è “alieno” al gradiente di indeterminazione appunto quantistica nelle opere di Asdrubali.

Chiamato a esporre i suoi dipinti nel vuoto e nel pieno di muri e pareti, alcune delle quali ferite, attraverso aperture tra una stanza all’altra sorrette da vere e proprie strutture in acciaio di contenimento e messa in sicurezza, Asdrubali ha letteralmente aperto la cubatura delle stanze di Palazzo Collicola e annullato lo spazio, anzi ha aggiunto spazio pittorico a quello architettonico, fondendo i due elementi e uscendo dai limiti imposti normalmente alle opere dall’architettura.

Non ci sono contenimenti possibili nella pittura di Asdrubali perché ogni limite viene assorbito nella cornice del quadro stesso che però propriamente cornici non ha, ma si compone di pezzi, frammenti, in un continuum di insiemi interrotti e tagliati, come appunto è evidente nella serie conclusiva della mostra, dal titolo Schegge del 2020, diretti discendenti dei Quanta di Lucio Fontana!

Il percorso dell’esposizione ha un inizio che torna su stesso non come un circolo ma come una conflagrazione trattenuta nei limiti delle tele, delle lastre di plexiglass, delle tavole di legno, shaped canvas che non hanno niente a che fare con le ricerche hard edge di un Kenneth Noland nè con la flatness di Frank Stella negli anni Sessanta, ma con l’essenza del gesto esplosivo dell’azione pittorica, della mano che deve essere pensata prima di agire e prima di essere agita.

È questa la modernità di Asdrubali, è l’essere sempre qui ed ora, riannodando continuamente i filamenti che nel dipinto più vecchio in mostra (dalla serie Acidamente del 1980) sembrano uscire dalla geometria come un virus, per spianarsi come se i quadri fossero sottoposti a immani forze gravitazionali (in Aggroblanda del 1984, in Eroica del 1988 o in Malumazac del 1990) e per ritrovarsi poi a scontrarsi, sovrapporsi come calligrafie ritagliate e inscritte nel vuoto dei Tromboloidi realizzati tra 1988 e 1993.

Il surfing è allora lo stare in bilico tra banalità e genialità, tra decorazione e struttura, tra caduta ed estasi, perché in fondo alla pittura contemporanea potrebbe non rimanere altra possibilità, per essere attuale e non solo mainstream e per mantenere la propria modernità, che sganciarsi dal concetto di contemporaneità. Un limite sottile questo posto tra le due condizioni, tipiche dell’arte del XX secolo, perché Asdrubali ha orrore di essere contemporaneo (il che significherebbe non avere futuro e non poter mai essere altro che fugace apparizione in attesa della prossima) e desiderio di essere invece moderno o, come ama spesso dichiarare, “anticontemporaneo”. Eppure dal Tromboloide esposto nella collezione permanente della GAM di Spoleto è scaturito un progetto digitale interattivo, immersivo e realtime dal titolo ZUMBER, creato dal gruppo di ricerca Oramide (Alessio Spirli e Cecilia Tommasini) che dimostra come la modernità anticontemporanea di Asdrubali possa essere del nostro tempo e aprire porte percettive adattabili a visioni elettroniche e virtuali.

Così i suoi dipinti prendono la forma irregolare e asimmetrica della scultura come in Stenka del 2018, opera che esce dai propri limiti pittorici per entrare in quelli dello spazio reale, senza offrire punti di riferimento, come accade invece in alcune serie modulari e centrate come il grande Stoide del 2005 composto di una teoria di quattro grandi tele bianche e nere.

Non ci sono certezze né rassicuranti disposizioni o lineari sviluppi cronologici nell’allestimento e nella sequenza di una mostra che vuole essere una radiografia istantanea e impossibile di un processo pittorico sempre in atto, vorticoso e per questo statico, centrifugo nei singoli grovigli di pennellate che aprono le trame dello spazio e allo stesso tempo accentratore, accerchiato e accerchiante.

Tale è la condizione dell’artista moderno in epoca contemporanea, epoca che non è necessariamente la sua solo perché a lui cronologicamente simultanea né però in questa epoca si deve sentire necessariamente estraneo o da essa escluso.

Così come la musica di uno strumentista la si deve poter cantare in testa una frazione di secondo prima di essere eseguita, allo stesso modo la pittura nel suo farsi la si deve poter pensare, per quanto veloce sia il gesto con cui Asdrubali esplode le sue trame d’azione e di colore. Trame e cicli che assumono nomi diversi e di pura fantasia (Aggroblanda, Trigombo, Zeimekke, Azota, Stoide, Azotrumbo e via dicendo), ma che fondo sono tutti la stessa cosa, così come le particelle fondamentali (muoni, gravitoni, neutrini, bosoni, tachioni, positroni, assioni, divisibili in quark e leptoni, barioni e fermioni con le loro rispettive antiparticelle) sono tutte modalità diverse di energia e vibrazione ma non di materia fondamentale. Per usare le parole del divulgatore scientifico Richard Panek saremmo di fronte a “un circo quantistico, una fantasmagoria di particelle virtuali che si creano e scompaiono incessantemente”.[1] Così è l’incessante varietà di nominazioni e disposizioni delle strutture pittoriche dei cicli di opere di Asdrubali.

Surfing with the Alien ci invita a fluttuare senza meta, verso un evento inatteso e sempre in agguato…

Info mostra

  • SURFING WITH THE ALIEN | Gianni Asdrubali
  • a cura di Marco Tonelli e Bruno Corà
  •  con la collaborazione della Galleria Giraldi, della Galleria A Arte Invernizzi, della Galleria Matteo Lampertico, della Galleria Consorti.
  • Spoleto, Palazzo Collicola, dal 27 giugno al 13 settembre 2020
  • https://www.palazzocollicola.it/

 

Note

1.  Richard Panek, Il 4% dell’universo. La storia della scoperta della materia oscura e dell’energia oscura, Codice Edizioni, Torino, 2012, p. 180

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Marco Tonelli (Roma, 1971), critico e storico d’arte, attualmente è Direttore artistico di Palazzo Collicola e della Galleria d’Arte Moderna di Spoleto. È stato Direttore artistico della Fondazione Museo Montelupo Fiorentino, curatore di Scultura in Piazza a Palazzo Ducale di Mantova, Assessore alla Cultura per il Comune di Mantova e Commissario inviti della XIV Quadriennale di Roma. Ha curato il volume Pino Pascali. Catalogo generale delle sculture 1964-1968 (2011).

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