Opere d’arte pubbliche vandalizzate – Distruzione della memoria

È un compito arduo ogni volta affrontare la questione di opere d’arte pubbliche vandalizzate, deturpate, sfregiate. Arduo perché le motivazioni che portano alla violenza non sono sempre le stesse, le condizioni cambiano in base al luogo, al tipo di opera, al contesto, alle circostanze.

Il caso specifico sembra però fin troppo chiaro: alla Libertà (riproduzione in cemento della celebre Statua della Libertà collocata davanti Palazzo Collicola di Spoleto in occasione della mostra di Paolo Canevari Materia oscura), al quarto atto di vandalismo nell’arco di due mesi, è stato finalmente divelto il braccio che teneva la proverbiale fiaccola illuminista e subito dopo staccata anche la corona nera (in tempi di corona virus la cosa è significativa).

Scultura già sdraiata a terra dall’artista e metafora dei recenti abbattimenti di statue negli USA e delle libertà negate (ma anche di ogni abbattimento e di ogni privazione della libertà in tempi del Covid), l’opera ha quasi subito attirato su di sé gesti, dapprima timidi, di distruzione, forse anche involontari, ma poi via via sempre più profondi, espliciti, fino a che il braccio, già riparato due volte, è stato separato dal corpo e lì lasciato fortunatamente sulla base di cemento, come è apparso tristemente la mattina del 13 settembre 2020.

Difficile dire se l’atto vandalico sia stato motivato da una sorta di inconsapevole reazione a un simbolo già di per sé espressione di una violenza subita, o se l’opera si sia semplicemente fatta carico, per così dire, della violenza insensata, distratta (ma non per questo meno pericolosa), gratuita che molti giovani oggi sembrano prediligere come arma di comunicazione del sé, cieca, inutile ma ugualmente rovinosa.

Difficile dire se c’entri qualcosa il fatto che quella statua fosse una scultura, seppure un ready made rivisitato (o meglio ricollocato), quindi un’opera d’arte, ovvero un oggetto ansioso capace di provocare lo spettatore, per quanto dal basso della sua ignoranza.

Non gesto di protesta quest’atto vandalico, forse di noia e frustrazione, senza ragione, chissà: di fatto la Libertà di Canevari (dal ciclo Monuments of the Memory) si è trasformata in un  parafulmine di pulsioni distruttive e per fortuna, almeno in questo caso, prive di conseguenze reali (con un buon intervento di un marmista il braccio tornerà in due giorni più forte di prima).

Le conseguenze che ci interessano sono però estetiche, culturali, sociali, soprattutto se riferite a una città come Spoleto, famosa perché durante la celebre rassegna Sculture nella città del 1962 (in cui furono esposte ben 103 sculture moderne lungo viali, piazze, vicoli) nessuna opera subì il benché minimo danno.

I tempi sono cambiati, le opere sono cambiate (e quelle di Canevari entrano da sempre nel cuore della violenza dei sistemi di potere contemporanei), il pubblico è cambiato.

L’ignoranza impera non perché espressione di chi non sa cosa sia una scultura, bensì perché viene meno proprio il rispetto verso il debole, l’oppresso, chi è già atterrato dalle avversità.

La Libertà di Canevari aveva sollevato una serie di interrogativi, anche divertenti, da parte del pubblico, occasionale e non (“la scultura è stata buttata giù o l’ha collocata così l’artista?”, “la statua si rialzerà o rimarrà così durante tutto il periodo della mostra?” e via dicendo), finché a un certo punto è partita la spirale dei danneggiamenti, che inizialmente sembravano provocati da spettatori che forse si erano solo seduti sul braccio sollevato da terra, poi probabilmente da adulti che ci erano saliti in piedi per un selfie, fino a skaters che sono stati visti saltare sull’opera o altri poggiare intenzionalmente il piede sopra il braccio (per la verità già spezzato), finalmente divelto dalla spalla.

A fronte di queste casistiche, rimane un fatto: un simbolo esposto come fosse atterrato è stato ulteriormente danneggiato, violentato, deturpato, come se l’intenzionale interrogazione posta dall’artista abbia stimolato qualcuno a infierire, a manifestare la propria debolezza con un gesto di forza contro un simbolo che già esprimeva l’incertezza dei nostri tempi, la caduta della speranza o almeno la sua messa in stand by.

La Libertà di Canevari, pur posta su una base costruita appositamente per sculture (vi era stata collocata per anni la “lancia” di Nino Franchina alta 11 metri e poi l’Octetra di Isamu Noguchi), pur davanti l’ingresso di un museo, accudita e bene in vista, ha mostrato il fianco nella sua collocazione post-atomica (“Coricata sul dorso a lato della nave, quasi una sua sposa annegata, giaceva la statua di una donna gigantesca… essa era appoggiata su un letto di blocchi di cemento, rovine di un plinto sommerso… il punto esatto dove la statua era finita sott’acqua non era mai stato accertato, e la Libertà era stata lasciata a languire, derelitta e sommersa per i successivi cento anni”, così descrive lo scenario futuribile James G. Ballard nel romanzo distopico Hello America). Mostrare il fianco ha significato attivare e attirare la violenza istintiva e becera del presente.

Un segno di inciviltà dei nostri tempi, certo, da cui trarre insegnamento, attraverso cui leggere il mondo e provare a capirlo, ma non per questo un gesto da trattare con superficialità o rassegnazione. Non è il presente che dà conto della storia o della contemporaneità, ma il rapporto dell’oggi col passato, con la memoria.

Quanto mai azzeccato allora esporre di fronte al museo di Palazzo Collicola un Monumento della memoria: la storia non si cancella, non si ignora, non si cambia, si può solo cercare di capire e di fare emergere in tutta la sua verità, ci piaccia o no quella verità.

Appunto, per non dimenticare…

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Marco Tonelli (Roma, 1971), critico e storico d’arte, attualmente è Direttore artistico di Palazzo Collicola e della Galleria d’Arte Moderna di Spoleto. È stato Direttore artistico della Fondazione Museo Montelupo Fiorentino, curatore di Scultura in Piazza a Palazzo Ducale di Mantova, Assessore alla Cultura per il Comune di Mantova e Commissario inviti della XIV Quadriennale di Roma. Ha curato il volume Pino Pascali. Catalogo generale delle sculture 1964-1968 (2011).

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