Enrico Pantani, mette in mostra la noia presso Casa Vuota

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Enrico Pantani durante l'inaugurazione della mostra presso Casa Vuota

Vi siete mai chiesti cosa sia effettivamente la noia? Un sentimento, uno stato d’animo, una consequenza di qualcos’altro… forse. Attraverso la sua ricerca, prova a rispondere a questo quesito, sottoposto dai due curatori di Casa Vuota, Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo, l’artista toscano, classe ’75, Enrico Pantani.
La parola noia deriva dal provenzale enueg , derivato di enuei «annoiare», che a sua volta deriva dal tardo latino inodiare  (avere in odio, odiare). Dall’etimologia possiamo constatare la stretta relazione fra la parola odio (inodiare) e la parola noia, sua diretta discendente.

Su questa parola, riflette anche Charles Baudelaire che, ne Les Fleurs du Mal (1861), la definisce come il più brutto dei vizi:

Nel serraglio infame dei nostri vizi
ce n’è uno più brutto, più malvagio, più immondo!
Benché non spinga né a grandi gesti, né a grida clamorose,
ridurrebbe volentieri la terra a una rovina
e in uno sbadiglio inghiottirebbe il mondo;

È la Noia! L’occhio gravato da una lacrima involontaria,
sogna patiboli fumando la sua pipa.
Tu lo conosci, lettore, questo mostro delicato.
Ipocrita lettore, mio simile, mio fratello!

“Dans la ménagerie infame de nos vices,
Il en est un plus laid, plus méchant, plus immonde!
Quoiqu’il ne pousse ni grands gestes ni grands cris,
Il ferait volontiers de la terre un débris
Et dans un bâillement avalerait le monde;

C’est l’Ennui! – L’œil chargé d’un pleur involontaire,
Il rêve d’échafauds en fumant son houka.
Tu le connais, lecteur, ce monstre délicat,
Hypocrite lecteur, mon semblable, mon frère! “

La noia è dunque una delle componenti del concetto di spleen, caro a Baudelaire, insieme alla malinconia e al disgusto. Questi sentimenti vengono nutriti nei confronti di un qualcosa di poco definito e motivato. La noia, quindi, è il frutto di una forza autodistruttiva che viene prodotta da una sensazione di vuoto che si muove dentro l’animo. La vitalità interiore viene intaccata da essa, tutto, o una gran parte, viene congelato: le velleità, i progetti, le aspirazioni. Tutto.

Baudelaire cerca conforto nelle droghe, i suoi paradisi artificiali, e nell’alcool per sopperire agli effetti devastanti che lo spleen ha sul suo animo. E noi, in epoca contemporanea? Durante la quarantena, quando si chiedeva agli addetti dei supermercati quali fossero i beni, non primari, che venivano acquistati di più dagli italiani, ricordate la risposta? Vino, prosecco, birra.

Enrico Pantani viene chiamato a riflettere su una tematica attuale, diretta conseguenza del periodo di pandemia che stiamo affrontando in questo nefasto anno 2020: la noia. Da qui il titolo della sua prima personale a Roma: Un’estate noiosa.
La noia viene quindi affiancata a un periodo dell’anno che dovrebbe essere per antonomasia sinonimo di divertimento e spensieratezza che, per questa volta non lo è. Almeno, non per tutti.

Il binomio estate/noia viene arricchito e influenzato dal contesto in cui vive e opera Pantani, un piccolo paesino vicino Volterra, Pomarance. Durante il vernissage, ci racconta che in quel contesto l’estate 2020 è stata poco differente dalle estati precedenti. Certo, se prima c’era una possibilità di incontrare persone che tornavano abitualmente per trascorrere le ferie in paese, quest’anno quella possibilità è saltata. Anche se erano lì, vigeva comunque la regola del “distanziamento sociale”, quindi la percezione di solitudine era accentuata e seguita da una nota piuttosto amara. Il sentimento di frustrazione che ne deriva, ha alimentato la noia nell’esperienza estiva quotidiana dell’artista.

Il lavoro scaturito da questo confronto con la noia estiva, consiste in una serie di piccole opere dipinte su tele non trattate di lino grezzo o canvas, intelaiate e confezionate direttamente dall’artista, cartoni telati, confezioni di cartone, tutto all’insegna del riciclo e del riutilizzo. Nulla è stato comprato appositamente per realizzare questi lavori. Pantani utilizza volutamente solo materiale di recupero che ha in casa.

Ogni opera ha come soggetto un piccolo personaggio, quasi sempre con il volto vuoto, senza i lineamenti: ogni visitatore può riconoscersi in quella figurina. La storia di uno, diventa la storia di molti. In fondo, è un modo per sentirsi meno soli. Del resto, quante volte in questa occasione di pandemia vi sarà capitato di pensare Consolatium misero comites habere penantes? L’uomo è un animale sociale, almeno così si dice, il patire insieme ad altre migliaia di persone la stessa pena, forse, lo fa sentire meno solo.

Il poeta Giacomo Leopardi definisce la noia come il (luogo immateriale):

dove si coltiva l’infelicità da cui scaturisce la poesia”.

Nel passato la noia veniva intesa come un momento in cui poter fermare il tempo, rallentarlo quantomeno, e dare spazio alla riflessione filosofica ed artistica, motore della creazione.
Pantani mette a frutto questo tempo dilatato e lo fissa per sempre nelle sue opere; ci rivela, infatti:

“Se nel periodo di fermo trovavo interessante stare in casa a curare le mie passioni, leggere, dipingere, cucinare, sperimentare qualsiasi cosa, ecco invece che l’estate mi si è rivoltata contro, quasi come se avessi le gambe nel fango. I lavori che ne risultano sono essenziali, rivelatori, termometri grezzi che indicano una condizione disagiata, resa ancora più enorme dal contesto paesano in cui sono stati concepiti”

Pantani affronta “il tempo morto del sempre uguale” (definizione heideggeriana della noia) sfidando i ritmi-non ritmi della noia estiva, sapendo di produrre delle opere che saranno ospitate all’interno di uno spazio chiuso come quello delle mura di una casa. Di nuovo. Pronte ad affrontare una nuova quarantena, ma, stavolta non in solitudine, ma in compagnia di molti curiosi osservatori. Per chi guarda opere come Morto di noia, Talmente annoiato che fa vedere il pappagallo al gatto per vedere se succede qualcosa, ma anche il gatto è annoiato e allora il pappagallo fischietta, Vuoto, Sedie, Tentativo di abbracciarsi da solo, viene colto da un vortice di emozioni contrastanti fra loro: da una parte l’ironia che esorcizza il momento mondiale tragico, dall’altra la malinconia che lo ha caratterizzato.

Un vero blackout di emozioni che Enrico Pantani, con abilità, riesce a tradurre in un linguaggio ironico e di facile lettura cristallizzando tutti gli avvenimenti e le sensazioni vissuti negli scorsi mesi.

Info mostra

  • Enrico Pantani. Un’estate noiosa
  • A cura di Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo
  • Casa Vuota, via Maia 12, Roma.
  • 8 settembre – 11 ottobre 2020
  • Visite su appuntamento 
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Arianna Cacciotti è una storica dell'arte che nasce e si forma a Roma, presso la Sapienza, dove si laurea Cum Laude con una tesi sperimentale interdisciplinare (insegnamenti di archivistica e storia dell'arte contemporanea) dal titolo “Archivio e arte contemporanea: una riflessione sulle esperienze in Italia”. Ha svolto il Servizio Civile presso la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. È stata reporter di grandi eventi musicali per QubeMusic.it Fa parte del direttivo dell'associazione Archeomitato, per la quale si occupa di organizzare eventi culturali. Attualmente è impegna nella ricerca indipendente nel campo delle arti del XXI secolo.

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