Carlo Mollino, Insides. Collezione Maramotti 

Nel 1985 alla casa d’aste Semenzato di Venezia un tavolo da pranzo disegnato dall’architetto torinese Carlo Mollino viene aggiudicato a 45 milioni di lire, nell’ambito della prima asta storica riguardante la produzione di questo eclettico architetto. Lo stesso tavolo nel 2005 venne battuto a 3,8 milioni di dollari da Christie’s a New York. Sì, avete letto bene, e oggi quel tavolo ne vale molti di più.

Carlo Mollino è scomparso improvvisamente nel 1973 uscendo dal cantiere del Teatro Regio di Torino, la sua ultima realizzazione. Il grande successo internazionale arriverà solo negli anni ottanta e non ad opera dei torinesi o degli italiani ma bensì grazie all’interesse di antiquari e galleristi stranieri: inglesi, francesi, americani e a cominciare dallo svizzero Bruno Bischofberger che oggi possiede una cospicua raccolta di opere molliniane che comprende i pezzi più importanti.

Nato a Torino nel 1905, Mollino è uno di quegli architetti che segnano con i loro oggetti l’immaginario degli anni ‘50. Si tratta però di oggetti singoli, pezzi unici, realizzati come complementi in interventi di architettura ma ancor più, progettati per le case di amici e conoscenti.

Un caso raro di designer senza industria, poiché la sofisticazione tecnica dei suoi progetti, così fortemente innovativi, mal si adatta ad una produzione di serie. Mollino è, prima che un architetto, un grande innovatore con molteplici interessi in ambiti diversi, ma che egli riesce a coniugare e mettere in commistione.

Fotografo, grafico, ingegnere, pilota sportivo di aerei e automobili, sciatore tanto esperto da scrivere un trattato, è riuscito a lasciare un segno indelebile in ognuna di queste discipline, oltre che nel Design, dimostrando una lungimiranza forse troppo all’avanguardia per i suoi contemporanei.

Un pioniere quindi, che, nella fotografia ha intuito le potenzialità delle pellicole Polaroid molto prima di Andy Warhol. Tra il ‘60 ed il ‘70 ne scattò più di mille immortalando le più belle donne di Torino in pose di nudo sofisticate, sedute sulle molte sedie che ha disegnato ho in interni eleganti, dei quali ne era l’autore.

Istantanee che sono l’espressione di un’esigenza personale di comunicare attraverso un mezzo semplice e disponibile a tutti, e che, iconograficamente, apriranno la strada all’erotismo lussuoso di Helmut Newton.

Il suo libro “Il messaggio dalla camera oscura” è il primo trattato di fotografia pubblicato in Italia nel secondo dopoguerra, nel quale Mollino afferma la capacità della fotografia di suscitare emozioni al pari delle forme d’arte canoniche.

Le continue interferenze tra i suoi diversi interessi sono una delle possibili chiavi di lettura dell’originalità della sua opera.

Le linee sinuose dei corpi delle sue modelle diventano curve nei mobili e nelle architetture: una componente esplicitamente erotica – che Alessandro Mendini definirà “quasi pornografica” – pervade tutta la sua produzione, specialmente nei mobili, arricchendoli di un alto contenuto poetico.

E i disegni delle evoluzioni acrobatiche che compiva con l’aeroplano diventano il paralume di una lampada (Cadma 1947), o si trasformano nella grande spirale di luci che illuminano il salone nella sala da ballo Lutrario (Torino 1959).

Per realizzare la casa di vacanza di un amico, Mollino procede come per un fotomontaggio: fa smontare una tradizionale baita valdostana e la rimonta sopra un basamento di cemento armato in un nuovo sito, in un contesto completamente diverso dall’originale.

Molte delle sue architetture sono ibridi più vicini alla fotografia che all’architettura, concepiti quasi come performance creative.

Estetismo e tecnologia si fondono di continuo in uno spazio di fantasia che Pierre Restany ha definito “di quotidiano mistero”.

Mollino, che è stato docente di architettura a Torino, fece comperare la prima macchina per fotocopie Xerox alla facoltà. Il fascino che questo apparecchio esercita su Mollino va oltre l’interesse ingegneristico che egli ha verso i prodotti della modernità. Come per la fotografia, ed in particolare per la fotografia istantanea, Mollino è interessato alla riproducibilità, alla possibilità di ingrandire istantaneamente un’immagine e farla diventare altro.

Con le fotocopie rivestirà le pareti creando scenografie dal sapore antico ma assolutamente moderne nella concezione. Userà fotocopie anche per creare piani di tavoli o semplicemente utilizzandole come decorazione per le ante di un mobile.

Vi si trovano in questo atteggiamento radici lontane e molto profonde con un certo senso di ironia di matrice dadaista, similitudini e sintonie con il surrealismo e con personaggi come Man Ray che ha reinventato la fotografia con i suoi Rayograf. Ma tutto questo non basta ancora a rendere molliniano tutto quello che egli crea.

L’aspetto tecnologico nella sua opera è fondamentale. Non dimentichiamo che Mollino ha avuto un padre ingegnere che tutte le mattine lasciava sulla scrivania del figlio bigliettini dove gli chiedeva di smettere di scambiare la notte per il giorno e di cominciare a farsi vedere in ufficio durante i normali orari di lavoro.

Aneddoti a parte, le innovazioni tecniche apportate da Mollino sono moltissime, soprattutto applicate ai materiali nel settore del mobile.

Tra i molti suoi brevetti vi è la curvatura a freddo del legno compensato applicata a tante sue realizzazioni ed utilizzata largamente nell’industria dell’arredamento.

Il suo vivere di notte, o meglio il suo processo creativo svolto sotto la luce artificiale, ha caratterizzato la tavolozza di Mollino di colori personalissimi, vivaci, che ben si coniugano con gli interessi e gli obiettivi di tutta la sua vita quali il surrealismo e l’esoterismo, finalizzati alla creazione di ambienti che si trasformano in vere e proprie scenografie dell’esistenza.

Tra i suoi libri un manuale radioestesico nel quale era raffigurato un cerchio cromatico dove ad ogni colore vi corrispondeva un significato. Anche i suoi oggetti sembrano prender vita alla luce artificiale proiettando ombre astratte dovute ai molti fori e alle complesse compenetrazioni.

Tutto ciò si percepisce fortemente negli appartamenti che Mollino ha realizzato per sè e che sono anche scenografie reali per le sue foto.

Un’ispirazione, quella di Mollino, in massima parte letteraria.

Due romanzi saranno fondamentali per la sua formazione, da questi attinge il suo personale approccio al interior design, Voyage autour de ma chambre di Xavier de Maistre e Arbur di Louis Mans un romanzo della seconda metà dell’ottocento che ha per protagonista un uomo che non esce mai dalla sua camera.

Un po’ come Mollino, chiuso nel suo appartamento di Torino, in parte un “isolato” sicuramente per scelta, nei confronti del mondo dell’architettura d’opinione degli anni ‘50 e ‘60.

Ada Minola, una sua committente, racconta che ogni tanto lo si vedeva uscire dal suo appartamento vestito di tutto punto da capitano dell’aviazione, fare un giro dell’isolato per poi tornarsene subito su, tra i suoi libri e i suoi disegni.

Questo suo essere così totalmente assorbito dai diversi interessi, se da una parte è la causa del suo straordinario eclettismo (progetterà addirittura una macchina, il Bisiluro, ammessa alla 24 Ore di Le Mans nel 1955), dall’altra farà si che Mollino, a differenza di Giò Ponti e Franco Albini, suoi illustri contemporanei, non si collegherà mai all’industria per produrre pezzi in serie.

D’altro canto sarebbe stato impossibile rispettare gli standard di qualità artigianale che egli richiedeva per i sui mobili in un contesto di produzione in serie; amava combinare materiali diversi come l’ottone, la pergamena, l’acciaio con essenze quali l’acero, il mogano e talvolta col noce chiarissimo, biondo.

Per realizzare questi mobili in legno massello, tutti curve ed inserti, si affidava ad atelier di grande professionalità ed esperienza come quello di Apelli e Varesio che realizzavano questi mobili alla Gaudì (Mollino amava molto lo stile di Antoni Gaudì tanto da chiamare una sua sedia proprio col nome del geniale architetto spagnolo).

Arredi particolari, unici, i suoi, dal virtuosismo tecnico ed estetico così evidente da renderli universali. Tavoli che assomigliano allo scheletro di un animale preistorico come quello per la casa editrice Lattes del 1951, o che ricordano le forme di un corpo femminile come il tavolo Arabesco 1950 in cui il piano è la sagoma di una venere tratta da un disegno di Leonor Fini, o forme assolutamente aerodinamiche o d’ispirazione aeronautica come il tavolo Reale del 1949 la cui struttura riprende gli scheletri degli aerei prodotti all’epoca dall’Ansaldo di Torino.

Mobili custoditi oggi dal MoMA di New York e dal Victoria and Albert Museum di Londra, conosciuti in tutto il mondo, che riprendono i segni del Liberty e dell’Art Nouveau ma che soprattutto raccontano l’Italia, Torino, la montagna valdostana, perché come amava dire Carlo Mollino:

“il modo per essere più autenticamente internazionali, è essere autenticamente locali”.

Fino al 4 luglio sarà possibile visitare la mostra Mollino/Insides, presso la Collezione Maramotti. Realizzata in collaborazione con Museo Casa Mollino, la mostra presenta un percorso espositivo che affianca alle fotografie di Carlo Mollino alcune opere pittoriche di Enoc Perez e altre fotografie di Brigitte Schindler.

Attraverso alcuni scorci dell’ultima enigmatica dimora di Mollino in via Napione a Torino – che ospita ora il Museo Casa Mollino – trasformata dall’interpretazione pittorica di Perez e dall’occhio fotografico di Schindler, si accede alle fotografie degli anni ’50 e ’60 delle modelle di Mollino, sfumate nell’essenza misteriosa dell’immaginario che abitano. 

La mostra è accompagnata da un libro con testi di Mario Diacono e Fulvio Ferrari e contributi di Enoc Perez e Brigitte Schindler.

Info mostra

  • Mollino/Insides
  • 4 ottobre 2020 – 4 luglio 2021
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Tobia Donà (Adria 1971), è architetto, si è laureato a Venezia, sua città d’adozione.
Fin da giovanissimo si occupa di architettura, arte e fotografia, passioni per che gli ha trasmesso il padre scenografo. Tutta la sua formazione verte sulla fusione di questo trinomio, attraverso il quale egli approccia ai suoi progetti. Attualmente è docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e Scenica, scuola di scenografia del melodramma di Cesena, dove insegna “teoria e pratica del disegno prospettico”. Pubblica i suoi scritti sui temi dell’arte e dell’architettura su diverse riviste, locali e nazionali, e saltuariamente sui quotidiani, oltre che diffonderli nel web. In questi anni, tra università, impegni professionali e stage di approfondimento ha avuto modo di collaborare e studiare con importanti personalità della cultura quali: Italo Zannier, Lucien Clergue, Franco Fontana, Enzo Siviero, Peter Shire, Aldo Rossi e Gino Valle. Ultimamente sta portando avanti progetti culturali che mettono in relazione, arte, industria e territorio.

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