Trenta opere della celeberrima Fucina degli Angeli del veneziano Egidio Costantini donate al Museo del vetro d’artista di Oderzo

immagine per Egidio Costantini

Mi piace leggere le biografie degli artisti, di alcuni di loro poi, esistono film bellissimi. Ma un giorno vorrei vedere al cinema (a dire il vero mi accontenterei anche di una fiction alla tv), la storia di Egidio Costantini, l’uomo che ha dato un’anima al vetro di Murano e creatore della Fucina degli Angeli.

“Ho tanta riconoscenza per la Carnia, perché lì, vedendo l’argilla attorno a un forno vetrificata in ricca gamma di colori verdi e blu, ho scoperto il vetro e la mia strada: fare arte attraverso il vetro”.
Egidio Costantini

Non era veneziano, anche se ha vissuto la maggior parte della sua vita nella città lagunare in campo Santi Filippo e Giacomo e non è avvenuta neppure a Venezia o a Murano la folgorazione per il vetro, che ha cambiato per sempre il corso della sua vita. Si è trattato di un episodio tanto romanzesco che ho più volte immaginato di assistervi e che ha scaturito in me il desiderio di vedere quel momento in un film.

Egidio era nato a Brindisi nel 1912 da madre toscana e padre emiliano che purtroppo perderà prestissimo. A sei anni è giunto con la madre a Venezia dove trascorre l’infanzia. Terminati gli studi di telegrafista, troverà un impiego come segretario in un circolo nautico fino allo scoppiare della guerra nel ’39.

Costretto a trovare un nuovo impiego, lavorerà in banca a Venezia. Durante questo periodo torna ad interessarsi di botanica, una passione che coltiva sin da piccolo e che lo porterà a conseguire la laurea all’Università di Parma nel 1942. Egidio si era già sposato ed aveva due bambini Attilio e Maddalena (Egidia la terzogenita arriverà nel 1947).

Anche se sono arrivato sin qui con poche righe, credo che l’intraprendenza di questo giovane sia già eloquente. Ma che cosa ha a che fare la botanica con il vetro? Ancora nulla e probabilmente la vita di Egidio: prima telegrafista poi segretario, impiegato di banca ed infine botanico, avrebbe potuto prendere ancora strade diverse. Ma andiamo avanti.

Nel 1945 Egidio Costantini si trasferì in Carnia con la famiglia, lì inizia a mettere a frutto gli studi di botanica ed insieme ad un fabbro del luogo si cimentò nella costruzione di una centrale sperimentale per la produzione di carbone e di acido pirolegnoso, ed è proprio grazie a questo progetto che Egidio ebbe il primo incontro col vetro: aspettando il raffreddamento di un forno dell’impianto per poterlo riparare, vide dei riflessi cangianti sulla superficie refrattaria del cilindro ed attirato da questo bagliore boreale si accorse che la superficie si era vetrificata completamente con uno spessore di due centimetri circa.

Essa non si presentava con una tinta uniforme ma prendeva tutte le tonalità del cobalto e queste a loro volta mutavano a seconda dell’inclinazione con cui la luce la colpiva. Uno spettacolo che rimase impresso nei suoi occhi. Andò di corsa a chiamare la moglie Emy, volle subito condividere il piacere intenso provato dalla vista di tale spettacolo. Rimasero lì seduti ad ammiralo ancora per qualche minuto, il tempo necessario a combinare nella mente di Costantini le parti di un’idea che si impossessò di lui e cambiò da quel momento in poi il corso del suo destino.

Emozionare gli altri attraverso il vetro, questa era l’idea di base. Egidio Costantini aveva chiari tutti i passi da compiere di lì in avanti. Si trasferì di nuovo a Venezia e cominciò il suo percorso come rappresentante di alcune vetrerie muranesi. In questi anni egli assorbe con metodo e precisione tutte le tecniche di produzione del vetro all’interno delle fornaci. Si intratteneva a lungo con i maestri vetrai (a quei tempi erano tanti e molto abili), per apprendere l’eredità senza mai però provare di persona:

“Non ho mai toccato il vetro. Non ho mai fatto neanche l’atto di prendere una canna e infilarla nel forno”.

Questo dirà in futuro a quanti lo incoroneranno il più grande dei maestri.

Dovete pensare che in quegli anni la produzione del vetro era prevalentemente orientata verso oggetti di massa da vendersi come souvenir ai turisti stranieri ed esclusi pochissimi nomi, ad esempio Venini, tutti erano intenti a produrre e commercializzare oggetti che poco avevano a che fare con l’estro creativo dei tempi antichi. Egidio sin dal principio capì che per portare l’arte nel vetro di Murano, occorreva l’aiuto degli artisti ma allo stesso tempo era convito che le loro idee dovessero essere per forza da lui mediate ed elaborate, prima di essere trasmesse al maestro esecutore in fornace.

Questa, che forse potrà sembrare un’intuizione di poco conto è l’idea che ha portato alla Fucina degli Angeli i grandi artisti del novecento, nomi come Picasso, Ernst, Arp, Fontana, Kokoschka, Tobey, Matta, Braque e tantissimi altri dal Giappone agli Stati Uniti. Essi affidavano i loro disegni e bozzetti ad Egidio Costantini che traduceva le loro idee per consegnarle all’artigiano che non poteva prevaricarle ma solo esaltarle, poiché aveva al suo fianco proprio Costantini, che ne modulava le scelte tecniche e stilistiche.

Ma torniamo a questa avventura che come in un film è piena di fatti che favoriscono la crescita e l’affermazione della Fucina degli Angeli e fatti che ne ostacolano il percorso rendendolo aspro ed in salita, con alcuni momenti che sembrano non dare speranza alcuna. Egidio comincia a tradurre in vetro le opere di artisti locali riscuotendo un enorme consenso tanto che questi ultimi decidono di formare un gruppo, il Centro Studio Pittori nell’Arte del Vetro di Murano.

Il gruppo opererà organizzando mostre e promuovendo il Vetro di Murano in tutta la penisola e anche all’estero sino al ‘55 quando differenti opinioni sul futuro dell’attività ne decreteranno lo scioglimento dovuto alla divisione tra chi come Egidio è proiettato verso il raggiungimento di obbiettivi molto alti e chi, li reputa utopici mirando invece a guadagni immediati anche se in ambiti più modesti.

Egidio che già aveva iniziato a tradurre in vetro i disegni di artisti francesi e spagnoli, tra i quali Picasso (un’amicizia questa che durerà sino alla morte del celebre artista andaluso avvenuta nel 1973), apre una galleria vicino alla sua abitazione in campo Santi Filippo e Giacomo. Sarà il poeta Jean Cocteau a suggerire il nome di Fucina degli Angeli. Saranno anni proficui durante i quali Egidio compie frequenti viaggi all’estero per intrecciare nuove collaborazioni. Marc Chagall e il pittore tedesco Hartung entrano a far parte della Fucina proprio in questi anni.

Ma ecco, quando tutto sembra andare per il verso giusto una tassa doganale frutto di un errore nella spedizione per il rientro di alcuni vetri prestati all’estero per un’esposizione (una cifra altissima), causa un profondo dissesto economico alla famiglia Costantini che si vedrà costretta a chiudere la Fucina degli Angeli.

Egidio trova un impiego come scaricatore ai mercati generali. Sembra la fine di un sogno meraviglioso quando un amico di Egidio si rivolge a Peggy Guggenheim che, stimando e apprezzando il lavoro di Costantini, da un suo aiuto economico aprendo una breccia di speranza sul futuro della Fucina. Si riparte con nuovi incontri, nuovi contatti e nuovi artisti.

Nel 1964 un’esposizione nel palazzo della signora Guggenheim sul Canal Grande, decreta la rinascita della Fucina degli Angeli e Egidio Costantini alla fama internazionale e la sua galleria riapre in Calle Corona, con opere di Piccasso, Max Ernst, e Jean Arp conosciuto qualche anno prima ad Abano Terme per affidargli l’incarico di realizzare in vetro l’opera Le tre grazie.

Ma vi sarà un altro un evento catastrofico per la Fucina: la furia dell’acqua, che nel 1966 invade le calli e i pianterreni delle case veneziane sino ad una quota che mai si era vista in laguna (194 cm), distrugge nella galleria documenti, lettere, cataloghi, preziosi disegni, ma non le opere che si sono miracolosamente salvate. Sarà l’intervento economico di Nelson Rockefeller, tremila novecento dollari, a ridare impulso alla Fucina unitamente ad altre commissioni che arrivano anch’esse dagli Stati Uniti.

Da questa nuova linfa nascono le opere più belle e più impegnative e di difficile esecuzione. Sono gli anni dell’Immortale di Ernst, del Cristo in gloria di Tobey. Il 1967 è l’anno dell’esposizione a Ca Pesaro che ebbe uno straordinario successo di pubblico e critica. A questo punto la Fucina degli Angeli è oramai una realtà artistica e culturale apprezzata in tutto il mondo e che affascina artisti italiani e stranieri come Severini, Fontana, Le Corbusier, Coignard, Krayer. Dal 1969 anno dell’esposizione di New York, è un susseguirsi di mostre in ogni dove.

Nel 1989 il Giappone costruirà appositamente un museo, il Notojima Glass Art Museum per esporre in maniera permanente le opre della Fucina degli Angeli affiancate ai preziosi vetri antichi di manifattura cinese. Già dal ’81 Egidio aveva costruito una propria fornace a Casale sul Sile in provincia di Venezia, nella quale lavoravano tre maestri vetrai di grande fama e di indiscutibile talento. I malintesi e gli attriti dovuti anche dall’invida dell’ambiente del vetro muranese lo costrinsero a cercarsi un luogo dove lavorare indisturbato e potersi finalmente dedicare ad alcune opere di grandissime dimensioni realizzate con il contributo di ingeneri ed architetti di varie nazionalità, dove il vetro viene abbinato all’acciaio, al cristallo ed infine al legno. Una torre alta 15 metri è l’opera che realizza nel 1996 ad Irving nel Texas.

Egidio Costantini è stato l’uomo che ha portato il vetro nell’arte moderna e l’artefice unico di un amalgama irripetibile di pensiero, artigianato, arte e materia.

Di lui l’artista e poeta Andrè Verdet ha scritto:

“ha fatto suo il genio degli altri e, sommando il proprio lo ha trasceso”.

Si è spento nella sua casa di Venezia nell’ottobre del 2007.

Trenta opere in vetro realizzate dalla Fucina degli Angeli del veneziano Egidio Costantini sono esposte nel Museo del vetro d’artista, a Palazzo Foscolo di Oderzo (Treviso) grazie all’allestimento di una collezione donata nel 2011 da Attilia Zava, che per molti anni fu assistente del Maestro. I pezzi donati sono stati realizzati negli anni Sessanta e Settanta. I trenta esemplari affidati da Zava all’amministrazione comunale di Oderzo, rimarranno a disposizione del pubblico in via permanente in due stanze del museo di Palazzo Foscolo allestite a cura della Fondazione Oderzo Cultura.

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Tobia Donà (Adria 1971), è architetto, si è laureato a Venezia, sua città d’adozione.
Fin da giovanissimo si occupa di architettura, arte e fotografia, passioni per che gli ha trasmesso il padre scenografo. Tutta la sua formazione verte sulla fusione di questo trinomio, attraverso il quale egli approccia ai suoi progetti. Attualmente è docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e Scenica, scuola di scenografia del melodramma di Cesena, dove insegna “teoria e pratica del disegno prospettico”. Pubblica i suoi scritti sui temi dell’arte e dell’architettura su diverse riviste, locali e nazionali, e saltuariamente sui quotidiani, oltre che diffonderli nel web. In questi anni, tra università, impegni professionali e stage di approfondimento ha avuto modo di collaborare e studiare con importanti personalità della cultura quali: Italo Zannier, Lucien Clergue, Franco Fontana, Enzo Siviero, Peter Shire, Aldo Rossi e Gino Valle. Ultimamente sta portando avanti progetti culturali che mettono in relazione, arte, industria e territorio.

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