Giovanni Giaretta a Napoli con Altrove e altri canti. Galleria Tiziana Di Caro

immagineper Giovanni Giaretta a Napoli con Altrove e altri canti. Galleria Tiziana Di Caro

Nell’immaginario collettivo il termine “Altrove”, indica il luogo che simboleggia l’assenza dell’empirico, del quotidiano e del banale e richiama un desiderio o una speranza di fuga. Evoca una dimensione spaziale immaginifica declinata in modo soggettivo, mentre gli “altri canti” indica una pluralità di senso e significato implicita nella lingua e alle possibili alterazioni nate dalle variazioni di pronuncia. Su questi termini e sulle relative riflessioni, l’artista Giovanni Giaretta (1983) indaga sulla memoria, sulla geografia e sulla interpretazione del linguaggio determinata da fattori culturali.

Un riscontro concreto di tali elucubrazioni è visibile nella mostra intitolata, Altrove e altri canti, allestita, fino al 10 settembre 2021, nelle sale della Galleria Tiziana Di Caro a Napoli.

La sua produzione artistica coinvolge video, grafica, installazione e fotografia. Egli racconta l’ordinario in modo eterogeneo, un mondo fatto di piccoli gesti e situazioni che offrono la rivelazione di una realtà inaspettata, un’altra dimensione.

Manifesta il suo interesse per un’antropologia della vita quotidiana, perseguendo a volte ipotetici principi scientifici per rendere chiaramente visibile una percezione più filmica del reale.

Nella prima sala della galleria, la serie Elsewhere and Other Islands è formata da disegni digitali stampati su carta. Le singole isole raffigurate sono l’esito di un processo di sottrazione della geografia fisica.

Attingendo allo stile della vignetta satirica, Giaretta ribalta la narrazione e la percezione dell’intera rappresentazione: elimina la luminosità, la distribuzione delle luci legata nel fumetto alla teoria delle ombre, utilizzata, ad esempio, per ottenere cupi effetti di chiaroscuro, così come per delineare sagome controluce che creano atmosfere particolari.

Abolisce i colori, che possono contribuire a costituire un’ambientazione più o meno drammatica, in base allo stile e alla tecnica scelti.

Manipola l’illustrazione satirica eliminando qualsiasi presenza umana e suoni onomatopeici, restituendo l’immagine di un’isola deserta, sospesa ed asettica, e in cui mancano delle coordinate spazio-temporali.

Inoltre, innesca nell’osservatore un ossimoro visivo e psicologico: da una parte emerge un aspetto ludico ed ironico di un “trova le differenze” dall’accostamento delle opere in esposizione; dall’altro, la reale comprensione genera sentimenti di straniamento per uno spazio ignoto, ma anche di curiosità verso la conoscenza di un luogo fisico che resta enigmatico.

A rendere questa interazione ancora più concreta, è la realizzazione di una isola con la tecnica del wall painting, dove l’osservatore diventa un possibile abitante o naufrago.

La seconda parte del percorso espositivo è incentrato sulla relazione tra linguaggio e identità culturale.

L’artista esplora il potenziale delle lingue, non solo come strumenti di comunicazione, ma anche come veicolo di fantasie e fantasmi visivi, riaffermando l’importanza delle parole.

Renè Magritte (1898-1967) asseriva che la pittura non ha a che fare con la realtà, ma con il pensiero; ed è per questo che essa può presentarci immagini che contraddicono le nostre aspettative percettive. Nei suoi dipinti inserisce parole o frasi che contrastano con la rappresentazione.

Egli prende di mira una delle convenzioni estetiche più antiche, quella secondo cui il pregio di un’opera d’arte starebbe nel riprodurre nel modo più illusionistico possibile la realtà.

Giovanni Giaretta, riprende il valore delle parole o di una frase di Magritte, ma elimina completamente la rappresentazione figurativa per porre al centro del proprio interesse i singoli vocaboli legati all’infanzia, come ad esempio: lullaby, moon, carcass, anythingo affermazioni come Within the first breath of a word a new geography starts. Prevale un “uso psicologicodella lingua” rispetto all’immagine.

Punto di partenza è la narrazione frammentata di un aneddoto: il ricordo dell’apprendimento dell’inglese durante l’adolescenza. Questa memoria è filtrata attraverso riferimenti alla cultura visiva degli anni Ottanta e Novanta, che va dal film Ghostbusters alla band musicale dei The Cure.

La memorizzazione e l’identificazione di un film o di un gruppo pop o rock alternativo, avviene attraverso una simbiosi tra enunciazione della parola e la nostra immaginazione. Il termine Ghostbusters subito ci riconduce alla locandina del film caratterizzata dal fantasma bianco nel cerchio rosso. Un caso inverso è se pronunciamo la traduzione in italiano in Acchiappafantasmi, dove prevale un grado di incertezza:diversi sono stati i film o le serie televisive dedicate agli ectoplasmi negli anni Ottanta.

La stessa prassi vale anche per The Cure. Menzionare il nome di Robert Smith ci rimanda al leader della band, ma se pensiamo a Easy Cure (primo nome del gruppo) si genera confusione.

Inoltre, l’interesse di Giaretta verte anche nella creazione di un nuovo “idioma geografico”: un esempio sono le commistionilinguistiche generate da culture diverse che sfociano in un vero e proprio slang, che non appartengono al lessico standard di un dialetto o di una lingua parlata. Si creano dei neologismi che entrano lentamente a far parte della società.

Questa riflessione ci porta ad osservare il video, Words Words Words Are Decorative Sound,presente nell’ultima sala della mostra, dove si descrive il processo di costituzione di nuove forme di sé attraverso l’uso del linguaggio, indagando sulla relazione mnemonica e visiva sepolta in una lingua, e arrivando ad estendere le proprie percezioni a nuove geografie.

Parole, ricordi e immagini si fondono, generano paesaggi artificiali, realizzati nello studio dell’artista e in un laboratorio di ingegneria navale olandese.

E’ un materiale audio-visivo che non si avvale di nessuna tecnica digitale, ma che Giaretta ha volontariamente prodotto attraverso una ricerca artigianale, in cui lo spazio ricostruito nel video rimanda ai luoghi della memoria, delle esperienze, a isole sconosciute, al mare mosso, alla visione di denti e di bocche che emettono delle parole, e al dinamico materiale viscoso verde che rievoca Slimer, il fantasma protagonista in Ghostbusters.

Sono tutti elementi riconducibili alla vita dell’artista, che chiude la proiezione con una frase ripetuta come uno scioglilingua da una voce femminile: Within the first breath of a word a new geography starts.

E’ come se i frame dei film avessero contaminato la lingua fino a diventare una cosa sola, una semplice ed efficace immagine pronunciata.

Info mostra

  • GIOVANNI GIARETTA | Altrove e altri canti
  • fino al 10/09/202
  • Galleria Tiziana Di Caro
  • Piazzetta Nilo, 7 – Napoli
  • tel. +39 081 552 5526
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Luca Del Core, vive e lavora a Napoli. E' laureato in "Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali" presso l'Università degli Studi "Federico II" di Napoli. Giornalista freelance, ha scritto per alcune riviste di settore, per alcune delle quali è ancora redattore, e attualmente collabora con art a part of cult(ure). La predisposizione ai viaggi, lo porta alla ricerca e alla esplorazione delle più importanti istituzioni culturali nazionali ed internazionali, pubbliche e private.

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