Ilaria Abbiento. Teorèma Celèste e Incanto

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“Lo spettacolo del cielo mi sconvolge. Rimango sconvolto quando vedo, in un cielo immenso, un quarto di Luna o il Sole. Del resto, esistono nei miei quadri delle forme piccole in grandi spazi vuoti. Gli spazi vuoti, gli orizzonti vuoti, le pianure vuote, tutto ciò che è spoglio mi ha sempre fatto molta impressione”. (Joan Mirò)

Da sempre, l’uomo ha rivolto gli occhi al cielo per contemplarne l’immensità e il fitto mistero. Brulicante di stelle, la volta celeste è una consolazione per chi ha una estrema sensibilità. Attraverso le costellazioni, si ritrova la strada smarrita e si riprende il cammino. Osservando l’orizzonte, il mare si unisce al cielo.

Gli oceani e gli abissi racchiudono un insieme di immagini archetipiche che riviviamo spesso nei nostri sogni, paesaggio di storie e avventure dai profondi significati simbolici.

Stelle e mare, Spazio e Terra, sono state sempre state fonte di riflessione sia in ambito scientifico, sia umanistico. Astronomi, matematici, filosofi ed artisti hanno interpretato il mondo circostante con senso critico e senza pregiudizi, attraverso una visione razionale e al tempo stesso romantica, fino a formulare dei veri e propri Teorèmi.

Partendo dalla etimologia della parola teorèma, dal latino tardo theorēma, in greco ϑεώρημα (ricerca, meditazione), derivazione di ϑεω-ρέω (esaminare, osservare), questo termine, contestualizzato, assume ogni volta un valore diverso.

Il Teorèma è in matematica una proposizione dimostrata logicamente a partire da postulati o assiomi, o da altre proposizioni derivate e prende il nome, di solito, dal loro contenuto: teorèma dei seni, teorèma dei triangoli omologici, teorèma di esistenza e unicità. In altri casi, è associato alla loro posizione in un ramo della disciplina, come il teorèma fondamentale dell’algebra, o dal loro scopritore, reale o presunto (t. di Pitagora, t. di Gödel). Talvolta, va sotto il nome di corollario o di lemma.

Esiste anche un Teorèma dell’arte, che trova le proprie origini nel passato e arriva al mondo di oggi, proiettato sempre di più verso una riflessione estetica che consenta di orientarsi nel labirinto delle arti contemporanee.

Queste elucubrazioni sono state fonte di ispirazione per l’artista napoletana Ilaria Abbiento, artefice di una narrazione poetica che, costellata da immagini della Terra, del mare, da materia e da testi letterari, percorre itinerari cartografici immaginari e reali che virano verso l’Universo, verso gli scintillanti corpi celesti.

La sua pratica spazia dalla fotografia, alle installazioni site-specific e alle videoproiezioni. Allieva di Antonio Biasiucci, orienta il suo percorso verso una ricerca artistica autoriale.

Una sintesi visiva e concreta della sua creatività è visibile in due mostre contemporanee, una intitolata Teorèma Celèste, allestita all’interno della Sala Circolare di Palazzo Fondi, in via Medina 24, a Napoli, e curata da Marco Izzolino; l’altra, invece, è Incanto, visibile nel sito archeologico di epoca romana, rinvenuto nel 2011 al di sotto del Palazzo Peschici-Maresca: l’Acquedotto Augusteo del Serino, in via Arena Sanità 5, nel quartiere Sanità, curata da Carmelo Cipriani, entrambe fino al 7 gennaio 2024.

Ilaria Abbiento ha concepito Teorèma Celèste non solo come una installazione, ma come la conclusione significativa di un percorso di memoria. L’opera si fonde in modo organico con lo spazio architettonico, un luogo che, per diversi anni, ha custodito silenziosamente l’onere di una storia significativa, ora dimenticata.

Originariamente destinata a commemorare le vittime civili della Prima Guerra Mondiale, la sala ha subito gli affanni dell’abbandono. La memoria dei caduti, incisa nei marmi delle pareti, è stata privata di “voce”. I loro nomi, una volta saldamente presenti, sono scomparsi, lasciando solo dei fori.

Evocare e celebrare, immergersi nelle emozioni profonde, intime e personali, su questi termini, l’artista realizza l’opera come un unico capitolo dedicato in modo esplicito alla memoria di una persona speciale: ad Oscar, suo padre. Una narrazione visiva che va oltre i confini dell’arte immateriale, in cui lo onora in modo tangibile.

Ad accogliere i visitatori nello spazio circolare della sala sono due installazioni video e un sonoro. Alzando gli occhi verso la cupola, un cerchio di mosaici dorati si manifesta come l’epicentro di Teorèma Celèste.

Nell’oscurità avvolgente, l’ambiente si rivela attraverso la luce dorata del cerchio, un astro intrinseco, una fusione silenziosa di stella, Sole, Luna e pianeta. Mentre lo sguardo dell’osservatore si perde nella contemplazione dell’Universo, la sala è avvolta dai suoni dei pianeti del nostro Sistema Solare registrati da un satellite. Ognuno porta con sé una sinfonia, una “armonia dello Spazio”.

Sul primo dei due grandi monitor, collocato al centro, le onde del mare danzano con la luce del Sole che le riflette. Sembra quasi di percepirne lo sciabordìo, un andamento lento, malinconico, nostalgico e a tratti metafisico. Si resta ipnotizzati dal luccichìo dei raggi solari sulla superficie.

Ogni scintilla non è solo l’esito di un processo naturale di rifrazione della luce, è anche la visione poetica e romantica di corpi celesti che arrivano dallo Spazio, da un’altra dimensione e, portano con sé, qualcosa di magico, di sovrannaturale, di spirituale.

È in questa videoproiezione che il padre della Abbiento si materializza, diventa presenza organica, linfa vitale e fonte di riflessione sulla propria esistenza. Ciò che caratterizza l’opera, è di rendere visibile, l’invisibile.

Nel secondo monitor, invece, la figura paterna, immortalata da bambino, è testimonianza concreta del vissuto. Questa immagine si sovrappone a un’altra sua foto, scattata da adulto, che ritrae il mare.

Si assiste ad un affascinante gioco di memorie e di riflessi, in cui l’elemento marino, il padre e il viaggio, fanno parte di un unico microcosmo, del suo mondo interiore, in cui ogni singolo visitatore può riconoscersi.

Osservando le fasce marmoree bianche della sala, dove un tempo risiedevano i nomi dei caduti, ora emergono semisfere dorate, che rimandano a suggestive costellazioni. Questa esperienza immersiva, ispirata al planetario, rivela i misteri della vita e dell’Universo.

Nell’ambiente domestico, in quelle quattro mura in cui la Abbiento si sentiva protetta, presa per mano dal padre, raggiungeva il tetto per ammirare le costellazioni. Erano uno accanto all’altro, adesso sono uno di fronte all’altro, nell’attesa di un nuovo incontro, di un sospiro, di ritrovarsi e di essere le nuove stelle del firmamento.

INCANTO

Questo viaggio fra gli astri e il mare ci porta nel cuore di Napoli, nell’Acquedotto Augusteo del Serino, nel quartiere storico della Sanità, in una evidenza archeologica di fondamentale importanza, parte di un percorso di oltre 100 km, che dalle sorgenti dell’entroterra campano arrivava fino a Miseno, nel litorale flegreo.

I ponti-canale, utilizzati come fondamenta del Palazzo, disegnano uno spazio stratificato, adibito nel corso dei secoli a cantina, rifugio e luogo di discarica.

E’ un sito in cui l’acqua è protagonista, grazie anche alle numerose iniziative culturali dell’Associazione VerginiSanità, che da oltre dieci anni si occupa della valorizzazione dell’area.

Interessante è l’installazione Incanto, della Abbiento, incentrata sul mare, simbolo di un bisogno di contenimento o di esprimere certe emozioni, curata da Carmelo Cipriani.

Percorrendo i singoli gradini dell’acquedotto, ci si “immerge” nella sensibilità e nella creatività dell’artista napoletana, in cui si evince un vero e proprio approccio sinestetico. Il titolo della mostra è di per sé esplicativo.

La parola Incanto, nella sua totalità, allude alla condizione estatica che si prova nell’osservare le balene, ma anche al senso di sublime che, più in generale, determina la contemplazione del mare.

Diviso, invece, una parte rimanda specificatamente ai cetacei, alla loro capacità comunicativa (e incantatrice); nell’altra, il prefisso “in” è rievocativo dell’interiorità, dell’introspezione.

Agendo da novella sirena, la Abbiento ci ammalia, ci prende per mano e ci conduce in un mondo che non è il nostro, ma che avvertiamo inspiegabilmente familiare.

L’origine del progetto espositivo risale all’aprile 2021 quando è circolata la notizia dell’avvistamento, nel Golfo di Napoli, di Wally, una rara balena grigia persa nel Mediterraneo.

La preoccupazione per il cetaceo si diffuse rapidamente: molti temettero per la sua vita, per il mancato ritorno nel suo habitat naturale.

L’insieme di notizie colpì particolarmente l’artista, che da oltre un decennio studia e ritrae il mare, ne coglie umori e dolori, ne indaga il potere simbolico ed evocativo esaltandolo nelle sue opere, fino ad instaurare con esso un rapporto simbiotico e di reciproco sostegno.

Ad accogliere i visitatori è il video, incentrato sulla profondità del mare. Si nota, fin da subito, un approccio diretto e concreto che proietta l’osservatore verso un mondo sconosciuto, in cui mancano coordinate spazio-temporali. Si percepisce la mancanza di unidirezionalità della protagonista.

La Abbiento nuota, fluttua, vaga nello spazio marino, ne sente la pressione, subisce la forza delle correnti e delle bolle che impattano sulla videocamera. Questi eventi non sono solo fenomeni naturali, sono le prove a cui lei deve far fronte, una esistenza in cui la perdita del padre Oscar ha segnato e alterato la sua stabilità emotiva. Perdere la figura genitoriale è come trovarsi negli abissi delle Fosse delle Marianne, in cui manca la luce, una guida, un riferimento.

C’è un senso di sospensione che emerge, nel video non tocca mai il fondale, si lascia trasportare dalla corrente. E’ consapevole di essere nel suo habitat, di trovarsi in un luogo protetto, a lei familiare, ma sembra aver perso la “bussola”.

In sottofondo si sente il canto della balena, una serie di suoni emessi per poter comunicare, dove l’assorbimento della luce da parte dell’acqua riduce la sua capacità visiva e il movimento dell’acqua rispetto all’aria diminuisce l’efficacia del suo olfatto.

L’artista si identifica con questo cetaceo, condividendo con esso, in particolare con i Misticeti, l’emissione di suoni vigorosi in presenza di un grande ostacolo, fisico per la balenottera e psicologico per lei.

A rendere l’esperienza sensoriale ancora più immersiva sono le installazioni luminose disseminate lungo il percorso espositivo. Le luci blu rievocano il mare e gli angoli bui rappresentano gli abissi, l’indefinito, il mistero, l’incerto, un luogo da cui allontanarsi, ma allo stesso tempo che affascina e che fa riflettere.

Prima di lasciare l’exihibit, campeggia su un muro il neon con la frase: Il mare è sacro. E’ un invito al pubblico a lasciare questo sito archeologico ricordando che oltre agli spazi religiosi o site specific da tutelare e da valorizzare, ci sono quelle immense “cattedrali” marine da salvaguardare nel rispetto della Natura.

La creatività della Abbiento svela in modo concreto i suoi processi mentali e sentimentali e il suo rapporto col mare. Mostra delle analogie con una poesia, L’uomo e il mare, pubblicata nella celebre raccolta, I fiori del male, di Charles Baudelaire (1821-1867), dove evoca il ritmo indomabile delle onde e il moto più segreto dell’anima umana: una simbiosi totale tra l’uomo e l’elemento marino.

Entrambi riproducono quel sentimento di indescrivibile infinità che ognuno prova davanti ad esso, un senso di appartenenza e di profonda spiritualità: uno struggente canto dell’anima.

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Luca Del Core, vive e lavora a Napoli. E' laureato in "Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali" presso l'Università degli Studi "Federico II" di Napoli. Giornalista freelance, ha scritto per alcune riviste di settore, per alcune delle quali è ancora redattore, e attualmente collabora con art a part of cult(ure). La predisposizione ai viaggi, lo porta alla ricerca e alla esplorazione delle più importanti istituzioni culturali nazionali ed internazionali, pubbliche e private.

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