A thousand hours. Un film molto scandinavo pieno d’amore e di musica.

immagine per A thousand hours. Un film molto scandinavo pieno d’amore e di musica.

Il delicato regista svedese, Carl Moberg, era seduto dietro di me alla prima del suo film A thousand hours, alla Festa del Cinema di Roma. Avevo cercato di trovare la sua biografia e filmografia su internet. Molto poco: montatore, produttore, sceneggiatore. Come regista aveva tentato, attraverso alcuni corti le migliori combinazioni di immagini e musica. Solo un grande amante della musica e dello schermo, che mi ha fatto ripensare al grande successo degli Abba, circa 40 anni fa, con il seguito del film Mamma mia sulle loro musiche.

Moberg un signore raffinato, magrissimo, quasi pelato, con un grande inchino ha mostrato la sua riservatezza, quasi timidezza. Mi ha fatto subito pensare a quanto siamo lontani, noi latini dagli scandinavi, di quanta civiltà e pensiero siamo ancora indietro. Ed avevo ragione.

Il film è il suo primo lungometraggio, fortemente voluto, prodotto da sé stesso con l’aiuto di case indipendenti svedesi e danesi e dall’Istituto Cinematografico Svedese.

immagine per A thousand hours. Un film molto scandinavo pieno d’amore e di musica.

A thousand hours parla di musica e musicisti con un amore particolare che si sente forte nella commistione riuscita di belle immagini, musiche originali e sentimenti puliti. Il leit motiv è infatti il ruolo essenziale che la musica svolge nelle nostre vite e nel farci apprezzare il mondo che ci circonda come fosse accompagnato da una colonna sonora.

Non riesco a dire quanto ho apprezzato la bellezza incantata di Copenhagen e di Berlino, cinematografate da Moberg con musiche perfette di accompagno, frutto delle sue appropriate ricerche. Non fotografie patinate di due città estremamente pulite, eleganti e signorili, ma soprattutto città senza tante macchine, da vivere passeggiando o girando in bicicletta senza paura.

Ma se questa è la descrizione dell’ambiente, per il raffinato regista è stato ancora più importante entrare, con molto pudore, dentro i riservati sentimenti dei suoi protagonisti.

In Svezia dice il mio amico svedese Jorgen occorre essere moderati ed appropriati e la privacy viene mantenuta non parlando dei problemi familiari, dei soldi e della morte. Così nel film, che è pieno di persone che cercano l’amore, difficilmente si manifestano i propri desideri, ma anzi si nascondono creando fraintendimenti, contrasti, nella inutile ricerca di coprirli.

Il rispetto è la base dei rapporti con il prossimo, ed essendo le persone molto introverse si crea difficoltà ad avere rapporti di amicizia, affetto, amore. Ma io stesso però ho avuto la prova, nel rapporto trovato circa 40 anni fa con amici svedesi, di constatare la loro sensibilità, sincerità ed onestà intellettuale nell’amicizia.

Quello che più mi ha colpito della filosofia di fondo di questo regista è il ruolo fondamentale del caso fortuito positivo o negativo sulla nostra vita.

Un concetto deterministico che regola tutta la storia del film. Gli incontri, ma soprattutto i non-incontri tra persone determinati da eventi improvvisi banali od eccezionali, che fanno prendere strade diverse, per poi invece rincontrarsi, non capirsi e rincontrarsi ancora per caso, senza mai scoprire sé stessi ed i propri sentimenti, in lunghe solitudini.

Fondamentali i vari incontri tra i due protagonisti, che hanno in comune la musica, Anna (la brava Josephine Tvermoes) cantante di un gruppo pop-rock e Thomas il chitarrista compositore (il riservato Anders Manley).

Importanti gli incontri dei due ragazzi con i rispettivi saggi e comprensivi genitori, ai quali confessano con assoluta complicità le loro crisi, le paure, gli entusiasmi ed i successi, pur vivendo in piena libertà le loro vite. Ed infine quelli con gli amici che ci sono sempre per prendere una birra od un caffè insieme e per aiutare ad uscire dai momenti più bui sia spiritualmente che materialmente.

Quella solidarietà ed amicizia che permetteranno alla protagonista Anna di realizzare il suo desiderio musicale nel comporre e cantare una canzone di successo come A thousand hours (1000 ore), con la speranza di rincontrare, ormai maturata, il suo Thomas.

C’è qualcosa di profondamente scandinavo in questa storia e nei suoi personaggi che continuano a cercarsi e sfiorarsi e, per troppa riservatezza, pudore o paura, senza riuscire a toccarsi, a mettersi insieme.

+ ARTICOLI

Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.