Panenostro. Contro il pizzo né vinti né vincitori, ma la perenne speranza del cambiamento

Ha l’odore e il sapore del pane il mondo di Giuseppe. Un odore buono, pulito, quasi primitivo. Uno di quelli che ti riempiono le narici e ti saziano. O ti fanno venire appetito, di pane e di vita.

immagine per Panenostro. Contro il pizzo né vinti né vincitoriÈ un panettiere Giuseppe, come prima di lui suo padre e suo nonno. È calabrese, o meglio lui è un calanordico o nordcalabro visto che è nato a Milano ma figlio e nipote di emigranti calabresi in un nord per cui – con la sua panetteria intrisa di sud – resta comunque il terùn.

Una storia di pane e farina, una storia come tante quella portata in scena con Panenostro al Teatro Quarticciolo, nell’ambito del Festival Mauro Rostagno #Dirittinscena, da Andrea Cappadona per la regia di Rosario Mastrota (Compagnia Ragli).

A rompere il bianco di una storia di farina arriva il nero della ‘ndrangheta, con il volto di Nicola e Peppino. Due picciotti venuti a reclamare il pagamento della protezione.

La quota associativa da pagare puntualmente ogni mese sotto gli occhi silenti di quanti pagano la più economica quota omertà fingendo di non sapere e non vedere quella silenziosa “normalità” della sottomissione al meccanismo della onorata ‘ndrangheta calabrese radicata al nord perché – come scoprirà a sue spese il protagonista – «papà pagava e pure nonno pagava». Un silenzio che si fa connivenza in una “normalità” da cui non sembra possibile sottrarsi. Almeno all’inizio.

Panenostro è una storia d’amore intessuta in un’ambientazione noir”, si legge nelle note di regia. L’amore è, infatti, la chiave di volta, quello per Lisetta, quello per la propria dignità ma anche per il pane stesso ché fare il pane – ricorda Giuseppe – è “un’arte e chi non lo fa muore”.

Il 26 dicembre, la rottura. Bestiale, come le sopraffazioni a lungo sopportate. Un lampo di riscatto e di umanità attraverso un gesto bestiale che se da una parte serve a riprendersi la propria vita dalle mani degli estorsori, dall’altra si espierà a vita soccombendo alla giustizia per essersi fatto giustizia da solo. Il bianco della farina stavolta si mescola al rosso del sangue e al grigio della cenere.

Giuseppe finisce in carcere a scontare la pena per il suo gesto di ribellione brutale, per aver «messo la ‘ndrangheta dentro al panettone e quella la schifano tutti, un po’ come l’uvetta». Mentre fuori, però, a rimpiazzare Peppino e Nicola ci saranno altri Peppino e Nicola con la loro “protezione”. Soccombere alla giustizia per avere ucciso, lascia un debito: non avere giustizia.

Una storia semplice che racconta tante storie in un contesto tutt’altro che semplice. La forza espressiva e comunicativa di Andrea Cappadonna, che per un’ora regge impeccabilmente la scena con la sola compagnia di un pupazzo a forma di bulldog blu, rende – anche grazie alle sfumature dialettali e a brevi attimi quasi farseschi – il crescendo drammatico della vicenda.

“Un altro tassello importante di un lavoro di ricerca sulla smitizzazione della ‘ndrangheta“, scrive la compagnia, in cui “ancora una volta non ci sono eroi da celebrare, né buoni né cattivi. Apparentemente pare che abbiano perso tutti quanti, sia i buoni che i cattivi, ma in realtà si palesano come vincenti la speranza di cambiamento e l’amore, motore inarrestabile di ogni atto umano”.

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Classe 1987. Romana di nascita, siciliana d’origine e napoletana d’adozione. Giornalista professionista, comunicatrice e redattrice freelance. Da sempre appassionata di (inter)culture, musica, web, lingue, linguaggi e parole. Dopo gli studi classici si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e in seguito, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ha poi conseguito un master in Giornalismo (biennio 2017 – 2019) presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Giornalista per caso e per passione, ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale oltre che per Europride 2011, Trame – Festival dei libri sulle mafie e per Save the Children Italia (2022). Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali e politiche (dalle tematiche di genere all’antimafia sociale passando per l’immigrazione, il mondo Lgbtqia+ e quello dei diritti civili). Vincitrice della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani” per l’anno 2019.
Fotografa, spesso e (molto) volentieri.

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