L’Inferno visto da Jean Clair alle Scuderie del Quirinale. Un successo ma senza Medioevo

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Che fosse una mostra, o meglio, LA MOSTRA tra le più belle, approfondite e articolate, dell’anno ormai passato, era preannunciato non solo dalla curatela del muscolare Jean Clair (al secolo Gérard Réginier, classe 1940), ma anche dal titolo-baule INFERNO, dentro cui tutto sta bene e niente sta male.

Sicuramente, la grandezza della mostra è tutta nell’impostazione: un viaggio, quello fatto compiere allo spettatore, così come lo stesso Dante Alighieri lo ha pianificato nella sua Comedia. Un viaggio che Jean Clair fa magistralmente svolgere attraverso un’accurata selezione altrettanto poderosa di opere, alcune delle quali poco conosciute, se non addirittura del tutto ignote.

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Tutte opere straordinarie, tra cui: la magnifica tempera su tavola Giudizio Finale, del 1425, di Beato Angelico; la portentosa scultura La caduta degli angeli, 1735 circa, di Francesco Bertos; l’inedito Teatrino/Inferno del 1920. Sono, infatti, oltre duecento le opere individuate dal curatore, che spaziano dalle sculture, ai disegni, ai manoscritti, alle tele (sorvoliamo sulla solita lista di nomi acchiappa allodole, come per esempio Botticelli), in linea anche con la sua visione dell’“arte come rappresentazione di un pensiero”.

Ed è proprio qui che, secondo chi scrive, affiorano tutti i limiti di quella corrente di pensiero di fine Ottocento/inizio Novecento, che vede solamente nel Rinascimento il principio vero e proprio dell’arte/pensiero. Per tale motivo il curatore ha saltato a piè pari tutta la parte medievale che non solo è la base, il sostrato culturale di Dante, ma è l’humus da cui il fiorentino attinge a piene mani e, senza il quale, non avrebbe mai potuto creare quanto ha creato, come la stessa Comedia.

In poche parole: trattare dell’Inferno, e non inserire nulla di arte medievale, è come parlare di arte contemporanea senza mai citare Duchamp.

Certo, non sarebbe stato facile trasportare opere di quel periodo, ma sicuramente alcune potevano senza dubbio essere esposte, o comunque evocate, citate. Perché non dimentichiamolo: Dante è un uomo medievale a tutti gli effetti, come medievale è il suo pensiero. E sempre durante il Medioevo, che lentamente si elabora il concetto stesso di Inferno. Ecco, allora, che emerge pure la lettura romantica del Medioevo, impostata sulle grandi iconografie e i grandi temi iconologici, che l’intero Romanticismo ci ha somministrato e propinato in tutte le salse.

Per chi scrive, è nella seconda parte che il curatore fa la differenza, un salto: quando, appunto, si allontana dalla narrazione e si cala nella vita, nella realtà.

È qui che l’animo è veramente toccato (fino all’inevitabile reale lacrimuccia), che raggiunge picchi di puro lirismo, per quell’Inferno che non è affatto squisitamente letterario, ma profondamente oggettivo e brutalmente quotidiano.

Info mostra

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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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