Paolo Di Landro con Ritmo 22 da Albumarte transdisciplinare

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Un’unica grande installazione che invade per intero tutti gli ambienti di AlbumArte è la proposta dello stilista, o meglio, del fashion designer Paolo Di Landro (Ravello, 1972 – vive e lavora a Milano).

A cura di Alessio de’ Navasques, Ritmo 22 appare come il grado zero dell’attuale panorama della moda. Una mostra che esaudisce l’orientamento della no profit, che vuole essere sì uno spazio principalmente dedicato all’arte, ma che, fondamentalmente, persegue il disegno della presidente/fondatrice Cristina Dinello Cobianchi di divenire un punto di incontro transdisciplinare.

Si svolgono qui, infatti, presentazioni di libri, performance, dibattiti (tra cui quelli sul femminicidio), tombole di artisti. E, dopo il progetto IN-EXISTENT (2015 – diretto da A.I. ARTISANAL INTELLIGENCE, a dura di Clara Tosi Pamphili e Alessio de’ Navasques), Ritmo 22 è la seconda mostra che vede la moda come punto focale di un’esposizione, pensata e realizzata espressamente per AlbumArte.

Paolo Di Landro, anche in questa sua mostra, si è mosso partendo dal concetto di errore e di rimodellazione di un capo già esistente, e “il mio più grande errore – dichiara –, è quello di avere creato abiti”. Circa una ventina di abiti (per l’esattezza ventidue come sono le pause del ritmo circadiano) che, nella loro essenzialità, appaiono come ombre, come anime sospese, che vagano vuote, alla ricerca di un senso, di un significato, di un ruolo, di un corpo, forse più ideale che reale.

Facendo propria la forma basica di un capo di abbigliamento che, nell’immaginario collettivo, è tipicamente femminile, rispondendo, con le sue linee, all’essenzialità e anche a una certa idea di grazia e stile, il tubino allo stesso tempo, nella sua ritmica ripetitività, sta anche ad indicare una perdita di identità, per quei dettami sociali omologanti. E quello che apparentemente si presenta come un classico show room, con i suoi stand espositivi, è un grande contenitore di riflessioni sui timori, le inquietudini, i disturbi, i controlli, le devianze, le oppressioni della nostra attuale società.

Così, a rendere non conforme l’individuo, a caratterizzarlo, alla fine non è più solamente il suo abito, la sua pelle esteriore, ma il suo mondo interiore, il suo impegno. Infatti, la differenza sostanziale tra ogni capo è data dal tessuto col quale è stato confezionato.

Quindi, materiali diversi, più o meno pregiati, più o meno raffinati, che denunciano quanto ogni singolo pone la sua attenzione alla responsabilità ambientale. Perché, tra le note distintive della produzione di Paolo Di Landro, è quella di aver come propria sigla stilistica l’arte del riciclo, o meglio, dell’upcycling.

Seppure possono apparire leggermente didascaliche, le parole poste al di sotto di ogni abito non solo vogliono indicare come la moda sia anche vettore di istanze non strettamente legate al vestimento, individuano altresì le principali considerazioni in cui è impegnato il fashion designer stesso, oscillando in posizioni antinomiche: censura, scambio, bipolare, fuoco, rumore, perdono, ombra, noia, mercato, e via dicendo, estrapolate dei suoi scritti, o meglio, il suo “manifesto/flusso di coscienza”, esposto a nastro in uno degli ambienti della galleria. Perché ogni abito è una parola, e le parole formano il linguaggio, alla stessa stregua di come ogni abito formi la moda.

Tutto ciò, inoltre, denota pure come lo stesso Paolo Di Landro si ponga in una posizione altamente trasversale, utilizzando la moda come strumento artistico e processuale a tutti gli effetti, indicata dalle diverse collaborazioni intessute nel corso della sua attività, da Miltos Manetas (entrando nel gruppo Neen) a Emma Dante, da Gloria Maria Cappelletti a Fiorucci Art Trust, all’incontro col sociologo Domenico De Masi.

Completano e accompagnano l’installazione un video, delle fotografie e delle gigantesche custodie per vestiti, con la forma di camicia. E, nelle fotografie, ritorna un altro capo di abbigliamento generalmente anonimo, ma reso caratteristico dalla scritta/messaggio impressa su ogni t-shirt, per uscire così, pur nell’omologazione, dall’omologazione stessa.

Info mostra: Paolo Di Landro, Ritmo 22

  • A cura di Alessio de’ Navasques
  • Paolo Di Landro – Ritmo 22
  • fino al 16 febbraio 2024
  • AlbumArte -Via Flaminia, 122, Roma
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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