Diane Arbus – Constellation LUMA per Les Rencontres d’Arles.

immagine per Diane Arbus, Constellation, The Tower, Main Gallery, LUMA Arles, France. All artworks © The Estate of Diane Arbus Collection Maja Hoffmann / LUMA Foundation. Photo © Adrian Deweerdt

Quattrocentocinquantacinque volte Diane Arbus. Perché tante sono le foto esposte nella meravigliosa mostra Constellation, curata da Matthieu Humery, allestita nel LUMA di Arles in occasione del centenario della sua nascita e presentata in collaborazione con la nuova edizione del Festival di Fotografia Les Rencontres d’Arles.

La grandezza della fotografa statunitense è universalmente riconosciuta e questa mostra è un’ulteriore pregevole attestazione. Un’esposizione straordinaria, che rimane nella pelle, per il corposo numero delle foto esposte e per la bellezza dell’allestimento.

Seppur conosciamo la Diane Arbus come la “fotografa dei freaks” (etichetta mai piaciuta alla stessa Arbus), dei diversi, degli emarginati, tuttavia, in questa mostra, c’è sì, la solita Diane Arbus, ma anche il resto del suo multiforme universo.

Però, piuttosto che sugli emarginati e diversi, c’è la volontà, da parte di Diane Arbus, di posare il suo sguardo sulle altre realtà, spesso volutamente ignorate, ma ugualmente parte integrante della società, per abbattere il conformismo imperante, fotografando quei soggetti “dall’aspetto strano”. E non con la curiosità dell’antropologo, bensì con il desiderio di avere una maggiore e più ampia conoscenza: conoscere oltre l’alta società, con le sue stranezze e manie, anche quello che c’è fuori dai palazzi borghesi.

Palazzi che, a lungo, sono stati l’unica realtà a lei familiare. Perché Diane Arbus nasce a New York, nel 1923, in una ricca famiglia ebrea, di origine russa. Famiglia che, tra i suoi componenti, annovera Howard Nemerov (fratello maggiore di Diane), uno tra i maggiori poeti americani e vincitore del premio Pulitzer), e Renée Nemerov (sorella minore di Diane), pittrice e scultrice (moglie del romanziere-artista Roy Sparkia).

Senza dimenticare che lo stesso padre della fotografa, David Nemerov, quando si ritirò dagli affari, intraprese la carriera di pittore, riscuotendo anche un certo successo.

Quindi, Diane Nemerov fin quando nel 1941, all’età di diciotto anni, sposa Allan Arbus, commesso dei grandi magazzini Russek’s che David Nemerov aveva trasformato da emporio di pellicce in Grandi Magazzini sulla Quinta Avenue, che offrivano “profumi francesi e lingerie di seta”.

È proprio con Allan che Diane compie i suoi primi passi nella fotografia, inizialmente dedicandosi a quella commerciale e di moda (furono loro i primi a realizzare la pubblicità dei Grandi Magazzini), fondando studio di fotografia Diane & Allan Arbus, pubblicando i loro lavori su Harper’s, Glamour e Vogue.

Dopo la separazione dal marito (1958 – cui seguirà, il divorzio undici anni dopo, nel 1969), lentamente si allontana anche dalla fotografia di moda, esplorando e facendo vagare la sua Leica prima, e la Relleiflex poi (virando, dal 1963, sul formato quadrato che accentua più il soggetto che la composizione), qua e là, dagli spettacoli circensi ai campi di nudisti, dalle case popolari alle cene di gala, dagli spettacoli dei “travestiti” al vernissage di una galleria d’arte, agli adolescenti, ai gemelli (e corre l’obbligo ricordare quanto citato in qualsiasi scritto sulla Arbus: le gemelle Grady di Shining di Stanley Kubrick sono una volontaria citazione della famosa foto Identical Twins, 1967), ai down, ai malati di mente.

Mettendo in pratica i preziosi consigli della sua insegnante Lisette Model, e applicando i canoni del fotogiornalismo ai suoi scatti (gioca un innegabile ruolo l’influenza di Wegee), rovescia definitivamente il concetto di bello e brutto. Con un uso quasi spietato del flash, conferisce agli scatti una maggiore teatralità e un’atmosfera surreale, rivoluzionando così la fotografia documentaria, spazzando via quella patina di glamour che allora aleggiava sulla fotografia.

L’allestimento delle quattrocentocinquantacinque fotografie crea un grande installazione immersiva, nonostante sia un po’ disorientante, per la presenza di uno specchio che ricopre tutta la parete di fondo, che amplifica e distorce la percezione dello spazio.

Proprio questo specchio trasmette quel senso di infinito delle costellazioni vere e proprie. Perché suggerisce, anche, quei sottili, invisibili, fili che, come una tela di ragno, creano legami e associazioni.

Senza un percorso prestabilito, senza un preciso ordine, né cronologico, né tematico, fissate su delle strutture minimali, simili a delle impalcature, a diverse altezze e con differenti formati, lo sguardo del visitatore è continuamente sollecitato a cambiare direzione, posandosi qua e là, come quello della fotografa stessa, vagando, attraversando, girando.

Foto che, partendo dalla prima Autoritratto incinta datata 1945 (della prima figlia Doon, scrittrice; mentre la seconda, Amy, nata del 1954, ha ripercorso le orme della madre diventando anch’essa una fotografa), ricoprono tutta la parabola artistica di Diane Arbus, fino alla tragica fine, inflitta dalla stessa Arbus, che si suicida nel 1971, all’età di 48 anni.

Risale, infatti, al biennio 1969-71 il più cospicuo blocco di foto, tra cui la corposa serie Untitled, poco oltre le cento foto, che per lo più ritraggono nani, persone con sindrome di Down, con disturbi psichiatrici e disabilità dello sviluppo, riprese durante picnic, balli, Halloween, in spiaggia.

Dopo la morte di Diane Arbus, il suo allievo Neil Selkirk, l’unico autorizzato a stampare i negativi della fotografa, cominciò a stampare per l’Arbus Estate, conservando, di ciascuno, una sola prova di stampa.

È proprio questo corpo di prove di stampa che LUMA ha acquisito nel 2011, riunite in questa mostra. È interessante anche rammentare che, nel 1972, per la prima volta la Biennale di Venezia includeva un lavoro fotografico, selezionando proprio quello della Arbus. E non dimentichiamo che, nel 2007, il Metropolitan Museum of Art ha acquisito il suo archivio completo, tra cui 7.500 stampe a contatto.

Attiva quasi esclusivamente a New York City e nello Stato di New York, oltre a diverse località degli Stati Uniti, ha realizzato delle foto in Italia (1952), a Londra (1969) e Berlino (1971).

Oltre alle foto ormai icone, come le già citate gemelle, o Child with toy and grenade in Central Park, A young in curlers at home on West 20th Street, A naked man being a woman, oppure quelle che immortalano personaggi della borghesia nelle loro impostate pose con le loro stravaganze.

Numerose sono quelle che ci raccontano delle sue frequentazioni e amicizie, come Mae West, Marcello Mastroianni, Doris Fulton, Nanni Loy, Marcel Duchamp con la moglie, Erik Bruhn e Rudolf Nureyev, Susan Sontang col figlio David, James Brown nel famoso Apollo Theater, James Rosenquist, Frank Stella, Roy Lichtenstein, Robert Evans con i figli, M.me Martin Luther King nel suo giardino, Kate Millett, e tanti altri.

Ma anche tanta gente comune, ripresa nel parco, allo stadio, nei campi nudisti, nelle loro case, nei loro giardini. Perché questo è stata la Arbus: oscillare dall’alto al basso e viceversa, senza pre-giudizio e senza filtri.

Info Diane Arbus – Constellation

  • LUMA Arles – Galerie Principale – Arles, Parc des Ateliers
  • fino a primavera 2024
  • nell’ambito di Les Rencontres d’Arles
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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