Nuovo artist-run space a Napoli. Apre Flip Project con Our Slice of Time Together

Allison Grimaldi Donahue The Shapes Narcissus Sees: My Angles All Rest in Your Shadow, writing – reading, Flip Project, December 2021. © FLIP

Nuovo spazio espositivo, nuovo polo di attrazione culturale. In pieno centro storico a Napoli, l’arte contemporanea entra prepotentemente in un quartiere caratterizzato da chiese, palazzi e cortili antichi. A pochi passi da piazzetta Nilo, in via Giovanni Paladino, è stato inaugurato Flip Project, nato come uno dei primi artist-run space partenopei, recuperando una cappella gentilizia degli anni Cinquanta.

E’ un progetto inclusivo che prevede il coinvolgimento di residenti, passanti, studenti e delle attività commerciali della zona. Ad accogliere il pubblico all’apertura della nuova sede è la mostra collettiva intitolata Our Slice of Time Together, fino al 19 febbraio 2022, degli artisti Giulia Cenci, Michael Dean e Jorge Peris, messi in relazione al reading performativo di Allison Grimaldi Donahue, che ha incluso anche una prestazione sonora di Vicky K.

I lavori scelti si confrontano nello spazio e nel tempo, in una conversazione che vira tra il secolare e il sacro, tra ricerca di stabilità e traballante disagio. Hanno la porosità della materia, del corpo, della memoria e sono significativi nelle relazioni che raccontano e nelle forme di affettività che esprimono.

Integrata nello spazio architettonico della struttura ospitante, l’opera Aprile 5006, di Giulia Cenci (1988) è stata realizzata con argilla, resina epossidica, polvere di marmo, sabbia, frammenti di componenti meccanici e ossa nere.

Attiva tra Amsterdam e la regione Toscana, diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ha continuato gli studi con il Master of Fine Arts alla St. Joost Academy, a Den Bosch-Breda, nei Paesi Bassi, e successivamente ha preso parte alla residenza de Ateliers ad Amsterdam.

Nella sua creatività la materia diventa un corpo organico, in cui l’indeterminatezza della forma si pone a metà strada fra il processo di distruzione e creazione.

L’artista plasma anche ciò che non è visibile, rende tangibile l’immateriale, fissando il passaggio del tempo. Nella sua installazione, il gioco di pieni e di vuoti genera nuove visioni, dove si percepisce un qualcosa che potrebbe accadere: sospensione dal suolo e stato di incertezza sono gli elementi che caratterizzano la scultura, ma al tempo stesso, si contrappongono alla sua stessa organicità.

Grezza e pesante, la superficie è formata da singoli fori che costituiscono l’involucro esterno; le barre di metallo sottostanti, invece, ne sono la struttura scheletrica di supporto.

Stilisticamente diverse dalla scultura della Cenci, sono le due opere This ramps this face towards you towards this face than the floors face e Xerox hex, di Michael Dean (1977).

Artista inglese, vive e lavora a Londra. Il suo lavoro parte dalla scrittura che consiste nel trasformare un testo in sculture e installazioni immersive che esplorano il linguaggio, il corpo e l’intimità. L’installazione in mostra trae spunto dal periodo di permanenza di Dean a Napoli nel 2007, durante la residenza organizzata da Expòsito.

La pietra proviene dai Quartieri Spagnoli, e su un esagono di vetro nero, l’artista applicò la fotocopia di una fotografia scattata nella zona di Porta Capuana. Le forme geometriche, come ad esempio i triangoli, coprono la superficie del masso.

La sua ricerca verte sulla analisi visiva del linguaggio prodotto da una parola o da un disegno realizzato su un supporto. Le diverse configurazioni sviluppate sulla pietra possono presentarsi come oggetti fisici dominati da una apparente leggerezza che mettono in risalto il peso e la natura grezza del materiale stesso. Attribuisce una forma fisica a un linguaggio che elabora personalmente, basato su una serie di alfabeti tipografici.

A concludere la mostra è la singola opera, Dolmen, Rapsodia, di Jorge Peris (1969). Artista spagnolo, vive e lavora a El Palmar, vicino Valencia.

Realizzata in marmo e olio, è formata da singole pietre su cui poggiano altre fissate verticalmente dalla base. Il suo lavoro è collocato sul piccolo altare della cappella. Ha organizzato il suo assemblage facendo attenzione ad ogni congiuntura e bilanciando pesi ed equilibri andando oltre la semplice logica.

È una installazione site specific, dove si nota l’intervento dell’artista che tiene conto dell’esiguo spazio a disposizione, alterando il contesto, aggiungendo o sottraendo gli elementi architettonici. Crea una situazione nuova, percepita come reale.

Tende ad ampliare il divario tra emozione e intelletto, sfidando la relazione con gli spettatori, dove questi ultimi mettono in discussione la loro convenzionale percezione dell’ambiente.

 

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Luca Del Core, vive e lavora a Napoli. E' laureato in "Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali" presso l'Università degli Studi "Federico II" di Napoli. Giornalista freelance, ha scritto per alcune riviste di settore, per alcune delle quali è ancora redattore, e attualmente collabora con art a part of cult(ure). La predisposizione ai viaggi, lo porta alla ricerca e alla esplorazione delle più importanti istituzioni culturali nazionali ed internazionali, pubbliche e private.

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