Check list, Giovanni Battimiello a Napoli

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Check list, check in, check out e check up, sono tutti termini ricorrenti che, in un modo o nell’altro, ognuno di noi ha avuto a che fare per esigenze diverse. La parola inglese check (controllo, verifica) innesca nell’immaginario collettivo sentimenti contrastanti. Se da una parte il controllo è condotto allo scopo di garantire la regolarità di un sistema, dall’altro, l’azione continuata diretta a disciplinare un’attività secondo particolari direttive o convenzioni genera tensione e squilibrio.

Una particolare attenzione è rivolta alla parola check list, legata al tema del viaggio, altro termine che nasconde al suo interno una serie di piccole sfumature che assumono tonalità più o meno vivide.

Viaggiare comporta l’organizzazione di un bagaglio, in cui ognuno mette al proprio interno oggetti personali, intimi e privati. Non importa se la destinazione è per lavoro, per curiosità o per svago, ciò che interessa è cosa ci rimane alla fine di questa esperienza.

Il processo che porta una persona a raggiungere un determinato luogo segue una serie di regole stabilite da organi competenti che, molto spesso, generano degli interrogativi sul rispetto della privacy. C’è da chiedersi se per la tutela della collettività sia giusto controllare ogni singolo individuo, sottraendo a questi ultimi anche la libertà.

Una risposta esaustiva a tale domanda, con evidenze visive e tattili, è quella proposta dall’artista Giovanni Battimiello, laureato in Decorazione all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, con la mostra personale dal titolo Check list, allestita nelle sale della Shazar Gallery, in via Pasquale Scura 8, a Napoli, curata da Valentina Muzi, fino al 2 aprile 2022.

Nella prima sala delle comunissime valigie trasparenti sono collocate su dei supporti e “messe in mostra” con il loro contenuto. Ciò che emerge dalla osservazione dei singoli oggetti custoditi è l’identità, vera o presunta, dei proprietari. Nella realtà, i singoli bagagli vengono passati al setaccio attraverso una scansione in aeroporto sotto l’occhio vigile di un addetto alla sicurezza (di cui è presente una video installazione nella seconda sala).

Questa semplice azione induce ad una riflessione molto profonda sulle capacità delle autorità di condizionare le scelte del viaggiatore. Chi prepara una valigia è molto spesso vincolato da una serie di parametri atti a garantire la sicurezza del volo, che vanno dalla grammatura degli oggetti liquidi da poter imbarcare, dal tipo di materiale che formano essi, dal peso totale e dalle dimensioni del bagaglio. Oltre a ciò, è determinante nelle scelte la componente psicologica. Infatti, non è un caso, che l’identikit dei viaggiatori passa attraverso la scansione della valigia, che diventa la trasposizione emotiva di selezioni fatte da ciò che possediamo, da chi è l’ente controllore e da ciò che vogliamo dimostrare di essere.

Andare e restare, congedarsi e partire, ognuno di noi, almeno una volta nella vita ha intrapreso un viaggio, molto spesso accompagnato da una serie di post o immagini pubblicate sui social network. Se oggi la tecnologia consente di mostrare la propria vita hic et nunc, diversa era la rappresentazione della realtà un secolo fa.

Un esempio è il trittico degli Addii dell’anno 1911, dell’artista Umberto Boccioni (1882-1916), formato da tre tele, Gli Addii, Quelli che vanno e Quelli che restano, opere complementari che fanno riferimento ai diversi stati d’animo legati al movimento: c’è sempre uno che va, prende il volo, la sua via, e qualcuno che resta. In mezzo c’è l’addio, il momento di separazione. Dipinti che si correlano alle opere di Battimiello che allo stesso dinamismo e alla condizione psicologica di Boccioni contrappone la riflessione sul controllo.

In effetti, il progresso tecnologico del Novecento non sempre ha portato benefici, soprattutto in ambito informatico, dove in cambio di servizi offerti da un ente erogatore abbiamo ceduto i nostri dati sensibili. Profetico e ancora attuale è il romanzo distopico dal titolo 1984, pubblicato nel 1949, dello scrittore George Orwell (1903-1950), che descrive il Superstato di Oceania, caratterizzato da una società che è controllata da un Partito, che basa tutto il suo potere sui principi del Socing, un socialismo estremo, il cui comandante supremo è il Grande Fratello, misterioso dittatore il cui viso compare ovunque nei teleschermi e nei manifesti di propaganda.

L’analisi di Battimiello mostra tantissime analogie concettuali con l’opera di Orwell, basti pensare che gli occhi del Grande Fratello sono presenti nei televisori forniti di telecamera, installati per legge in ogni abitazione, che non si possono spegnere, ma di cui al massimo si può attenuare il volume dell’audio.

Questi mezzi spiano la vita dei cittadini, annullando di fatto ogni possibile forma di privacy. In questo modo, il governo può osservare facilmente qualsiasi forma di comportamento, anche inconsapevole, rivelando l’identità di chi si oppone al Partito. Ciò che avviene nel Superstato di Oceania trova una corrispondenza anche nel mondo reale, addirittura in maniera più subdola. Telecamere a circuito chiuso sono presenti non solo negli aeroporti, ma anche nelle strade, nelle stazioni e negli edifici pubblici e privati.

Un costante controllo che si ripercuote non solo nei luoghi fisici, ma anche in quelli virtuali. Come affermato in precedenza, ogni volta che effettuiamo una registrazione ad un sito, acquistiamo prodotti su internet, facciamo delle ricerche, accettando l’informativa privacy e il consenso privacy, cediamo la gestione dei nostri dati personali a chi offre il servizio.

Questo j’accuse di Battimiello nei confronti di un sistema perverso trova delle corrispondenze visive anche nella street art e nel cinema.

Flower Girl dell’artista Banksy, è un murale di una giovane ragazza che sostiene un cesto di fiori e fissa con aria interrogativa una pianta su cui è germogliata una telecamera di sorveglianza con una coda di topo. E’ un modo per ribadire che “sbocciano” più sistemi di controllo anziché fiori.

Altro esempio lampante di azione di controllo della società è visibile nel film The Truman Show del 1998 con l’attore Jim Carrey (1962), dove il protagonista scopre che i primi trent’anni della propria vita non sono stati altro che una messinscena, monitorata costantemente da tutti.

Inizia così a desiderare di fuggire da una realtà alienante che sembra essere stata costruita su misura per lui. Se da una parte la pellicola esorta a vivere pienamente la nostra vita, a non fossilizzarci nella rassicurante routine, a non farci bloccare dalle nostre paure, correndo i rischi e affrontando i propri timori per inseguire i nostri desideri ed evitare così di vivere nei rimpianti, dall’altro, è evidente una corrispondenza ideologica con le indagini di Battimiello sulla percezione della realtà e sulla coercizione che il sistema di potere ha sulle nostre vite.

Questa condizione dell’esistenza si sta sempre di più inasprendo grazie anche ai nuovi sistemi di rilevamento come le impronte digitali e il riconoscimento facciale, un esempio sono i dati biometrici, (caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali del genere umano), che impongono una riflessione su due punti importanti: da un lato la sicurezza e la prevenzione dei reati, dall’altro, il trattamento su larga scala dei dati personali con il rischio della privacy di ogni singolo individuo.

Bisogna anche dire che i dati sensibili senza alcuna base giuridica possono certamente compromettere la reputazione, l’integrità fisica e gli interessi economici di ogni cittadino. Al riguardo, Amnesty International ha lanciato una campagna ban the scan contro il riconoscimento facciale, in quanto lede i diritti fondamentali.

Tornando alla mostra, le valigie di Battimiello diventano delle isole temporanee di memorie immortali, che si stagliano come sculture, “scolpendo” quel breve ma intenso lasso di tempo che si manifesta poco prima di una partenza e/o di un ritorno.

Ogni opera ha un suo valore, ha una sua stratificazione che va dall’essenziale al debordante, dal “peso” dell’esperienza a quello della scala dei grammi visibile nella parte bassa di ogni singola installazione.

Il visitatore è coinvolto attivamente lungo il percorso espositivo divenendo il “controllore” delle valigie esposte attraverso la scansione col proprio smartphone dei QR Code visibili sulle pareti della galleria, rivelando l’identità dei singoli proprietari, dove lo stesso osservatore entra a far parte involontariamente in un rigido sistema di monitoraggio.

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Luca Del Core, vive e lavora a Napoli. E' laureato in "Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali" presso l'Università degli Studi "Federico II" di Napoli. Giornalista freelance, ha scritto per alcune riviste di settore, per alcune delle quali è ancora redattore, e attualmente collabora con art a part of cult(ure). La predisposizione ai viaggi, lo porta alla ricerca e alla esplorazione delle più importanti istituzioni culturali nazionali ed internazionali, pubbliche e private.

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