Surrealismo e magia. La modernità incantata mostra il lato femminile del movimento

“[la magia è] il mezzo per avvicinarsi all’ignoto per vie diverse da quelle della scienza o della religione.”  Max Ernst, 1946

Il lato femminile del Surrealismo


Di fronte alle barbarie delle guerre e alla difficile situazione politica e sociale del frangente culturale in cui sorse, il Surrealismo cercò risposte nel mondo dell’irrazionalità e dell’immaginazione.
Il movimento culturale e artistico trovò nella trasmutazione alchemica un’analogia con la necessità di una rigenerazione spirituale collettiva. Paragone favorito dal diffuso interesse che la società dell’epoca aveva sviluppato nei confronti dell’occultismo, pur trovandosi in un momento storico di rapido progresso tecnico e industriale.

Nata dalla collaborazione tra la Collezione Peggy Guggenheim  a Venezia e il Museum Barberini di Posdam, Surrealismo e magia. La modernità incantata è la prima esposizione internazionale ad analizzare questo particolare spaccato dell’arte surrealista. Si tratta di un progetto espositivo articolato in tredici sale, in cui sono esposte sessanta opere che hanno in comune lo sviluppo di tematiche legate al mondo della magia e dell’esoterismo.

In particolare, la mostra (fino al 26 settembre 2022, presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia e dal 22 ottobre 2022 e  fino al 29 gennaio 2023 al Museum Barberini di Potsdam) evidenzia i percorsi di cinque artiste che, tramite la loro opera, hanno saputo offrire in maniera originale ed efficace la loro visione del fatato e dell’onirico, grazie alla quale sono state in grado di sviluppare dei veri e propri processi di emancipazione personale.

La visione del femminile nel Surrealismo

Fin dalla sua origine, il movimento surrealista ha attribuito alla figura della donna ampi poteri creativi, rendendo il femminile un simbolo di rinascita e di cambiamento.

In molte occasioni gli artisti che hanno aderito a questa corrente hanno rappresentato nelle loro opere creature mitologiche femminili, come sirene, sfingi e chimere, considerate come l’incarnazione del potere alchemico della trasformazione.

Non mancano, però, le raffigurazioni di donne nella veste di streghe, bestie fatali o altri esseri malvagi.

Quando, nel 1945, Breton pubblicò “Arcano 17”, un testo che diventò di fondamentale importanza per il movimento, la visione positiva della donna si rafforzò.

I concetti che vengono espressi nell’opera di Breton, infatti, convergono sulla tematica della rinascita e della rigenerazione post bellica.

“Arcano 17” si riferisce alla diciassettesima carta dei tarocchi, “La Stella”, che rappresenta il rinnovamento e l’ottimismo. È raffigurata da una giovane che riversa dell’acqua da due anfore, vicino ad un ruscello attorniato da una ricca vegetazione.

“La Stella” descrive la donna come un’eroina potente, dalle caratteristiche salvifiche, in grado di portare il necessario rinnovamento spirituale in un’epoca di tragedia.

Nel Surrealismo ricorre anche la figura dell’androgino e del concetto di matrimonio alchemico, che genera uno stato di perfezione in grado di cancellare i generi maschile-femminile e sovvertire i dettami delle società patriarcale.

Il contributo delle artiste donne al movimento

Durante gli anni Trenta, sono state molte le artiste che hanno aderito al Surrealismo, cogliendo nel movimento l’imperdibile possibilità di esplorare la propria natura ricca e complessa.

Leonora Carrington, Remedios Varo, Dorothea Tanning, Leonor Fini, Kay Sage e Maya Deren riuscirono a ben sviluppare le potenzialità dell’indagine dell’occulto.

Offrirono una nuova interpretazione della figura femminile rispetto alla visione passiva, concepita dai colleghi maschi nella prima fase di vita del movimento, e aprirono la strada a un’indagine proto-femminista, volta all’emancipazione, alla discussione sul genere e al sovvertimento dei ruoli.

Le donne rappresentate dalle donne sono soggetti attivi nella narrazione, depositarie e protettrici dei segreti della vita. Spesso esse si sovrappongono a esseri appartenenti al mondo vegetale e animale, e sono dotate di un vivido interesse per la magia, la mitologia e la stregoneria.

 

Leonora Carrington

Leonora Carrington è considerata una figura cardine nell’ambito del movimento surrealista. Nacque nel 1917 nel Lancashire e apparteneva ad una famiglia di estrazione nobile, da cui ricevette una solida formazione. Il suo approccio con la scrittura avvenne in giovane età, quando si cimentò in storie ispirate ad animali.

La nonna, di origini irlandesi, le aveva confidato di discendere dal popolo fatato, mistico e matriarcale dei Sidhe, e la Carrington subì il fascino di quei racconti, oltre che della mitologia dell’Antico Egitto e del folklore celtico, da cui spesso attinse per creare personaggi femminili ispirati alla figura della strega o dell’incantatrice.

Di spirito ribelle, venne espulsa dal collegio cattolico in cui era stata mandata a studiare dalla famiglia, e manifestò il suo disappunto nei confronti della regole dettate dal suo contesto sociale di provenienza, soprattutto per ciò che riguardava la parità di diritti tra uomo e donna.

Studiò arte a Firenze, dove si appassionò agli artisti del XIV e XV secolo, e a Londra, dove entrò in contatto con il gruppo surrealista, in occasione della prima esposizione inglese.

Conobbe quindi Max Ernst, di ventisette anni più vecchio di lei, con cui intrecciò una relazione, che provocò la rottura del rapporto tra Carrington e il padre.

Carrington e Ernst si trasferirono a Parigi, dove lavorarono insieme ispirandosi e influenzandosi a vicenda. La relazione con Ernst e il comune interesse per il mondo del magico e dell’occultismo fingeranno da catalizzatore per l’opera di Leonora Carrington, che sviluppò uno stile iconografico fantastico ispirato all’arte medievale e rinascimentale, dai forti richiami all’opera di Hieronymus Bosch.

Il famoso dipinto La vestizione della sposa di Max Ernst, che raffigura Carrington nei panni di una strega incantatrice, sembra trarre ispirazione dal ritratto che la pittrice fece del compagno in epoca precedente, in cui lo ritrasse come uno sciamano dalla labile identità sessuale, vestito da una lunga tonaca piumata e dotata di una coda di pesce.

Quando, durante la seconda guerra mondiale, Ernst venne arrestato, Carrington subì un crollo psicologico. A seguito dell’intervento della famiglia, si trasferì in Spagna, dove venne internata in un manicomio, e poi a Lisbona, dove sposò il diplomatico Renato Leduc. Rincontrò Ernst per caso, nella città portoghese, e continuò con lui una frequentazione.

Nel 1942, l’artista pubblicò i suoi scritti nelle riviste surrealiste “Viev” e “VVV” ed espose a New York le sue opere.

Nello stesso anno, si trasferì a Città del Messico, dove erano emigrati altri esponenti del gruppo, tra cui Remedios Varo, che diventò una sua cara amica.

Il misticismo e la stregoneria, componenti fortemente insite nella tradizione messicana, furono di forte ispirazione per l’artista.

Carrington sposò in seconde nozze il fotografo ungherese Emerico Imri Weisz, da cui ebbe due figli. La maternità e lo studio della civiltà Maya offrì all’artista nuovi spunti per i suoi dipinti e per i suoi scritti.

Negli anni Settanta Leonora Carrington fu socialmente impegnata nell’affermazione dei diritti delle donne e nel sostegno dell’ecologia: anche nella raffigurazione dei suoi personaggi femminili diventò evidente la componente difensiva nei confronti della vita e della natura.

Leonora Carrington morì a Città del Messico nel 2011, a 94 anni. 

Remedios Varo

Remedios Varo nacque ad Anglès nel 1908. A quindici anni si iscrisse all’Accademia d’Arte di Madrid. Una volta terminati gli studi, partì insieme al marito per Parigi, dove visse un anno, prima di trasferirsi a Barcellona. Finito il matrimonio, durante la guerra civile spagnola, si legò al poeta antifascista Benjamin Péret, con cui tornò a Parigi, dove venne in contatto con il gruppo surrealista.

Remedios Varo sviluppò uno stile personale in cui è sempre presente il concetto di dualità tra vita vissuta e vita immaginata. Ricorrenti sono i temi del viaggio e della ribellione. Nelle sue opere rappresentò se stessa e le persone della sua vita. Ogni dipinto racconta una storia in divenire, ricca di particolari da osservare e simboli da decifrare, con una capacità narrativa che ricorda quella di Hieronymus Bosch, anche per la presenza di spiriti, fantasmi e altri esseri immaginari.

Quasi onnipresente il concetto di trasformazione: tessuti che divengono acqua oppure compongono le strade di cittadine sorte ai piedi di una montagna, ombre e riflessi che assumono una forma e una vita propria, esseri umani a cui si sovrappongono fattezze animali.

L’osservatore non può esimersi dal cercare di comprendere il funzionamento dei molteplici macchinari, strumenti e arnesi che producono queste metamorfosi, forse ispirate dai disegni del padre dell’artista, ingegnere idraulico.

Fili, radici e raggi di luce creano nuovi collegamenti in ambienti che si sviluppano in più dimensioni spaziali e da cui emergono nuove realtà e nuovi mondi, avvolti in un’atmosfera magica.

Ricorrenti le figure del mago e dell’alchimista, che governa gli astri, e quindi l’intero universo, e possiede la potenza di creare nuova vita.

Dopo l’occupazione nazista della Francia, Remedios Varo emigrò in Messico, dove rimase per il resto della vita e istaurò una profonda amicizia con Leonora Carrington. Si appassionò alle tradizioni locali legate al mondo della stregoneria, studiandone l’iconografia esoterica e le pratiche rituali.

Le figure delle streghe, che iniziarono in quel periodo a popolare i suoi dipinti, possiedono l’aspetto della pittrice e rispecchiano la sua volontà di essere padrona del proprio destino.

Nel 1955 Varo espose i suoi lavori in una collettiva a Città del Messico, mentre, l’anno successivo, fu organizzata una mostra individuale.

Morì nel 1963, a causa di un arresto cardiaco.

Dorothea Tanning

Dorothea Tanning nacque in Illinois nel 1910, ma si trasferì in giovane età a Parigi, dove visse per ventotto anni, prima di stabilirsi a New York.

Dopo aver visitato la mostra Fantastic Art, Dada and Surrealism nel 1936, l’artista autodidatta si avvicinò al movimento surrealista.

Le opere di Tanning vertono su tematiche legate ai riti e simboli della vita domestica, dedicando una particolare attenzione al ruolo della donna nella società del tempo, che viene descritta dall’artista come parte attiva.

Grazie all’autoritratto “Birthday”, che indaga sulle possibilità di scelta, l’artista conobbe il pittore surrealista Max Ernst, che sposò nel 1946, e che ritrasse in molti dei suoi dipinti. Entrambi  indagheranno il tema del matrimonio e della coppia alchemica.

Le sue opere, in cui metamorfosi, sessualità e desiderio rappresentano delle tematiche ricorrenti, raccontano l’identificazione femminile con la natura e i sogni.

Dopo il ritorno a Parigi, verso la metà degli anni Cinquanta, dopo aver dipinto Insomnias, il suo stile subì un cambiamento. Gli elementi presenti nei suoi dipinti divennero frammentari e di difficile individuazione.

Successivamente Dorothea Tanning  sperimentò l’uso della stoffa per creare figure biomorfe con cui allestì installazioni composte da morbide sculture tattili. L’artista dichiarò più volte che avrebbe trovato grottesco fare arte per tutta la vita mantenendo sempre lo stesso stile.

Dopo la morte di Max Ernst, avvenuta nel 1976, Tanning si dedicò alla scrittura e alla poesia. Il suo romanzo più famoso, Chasm, è stato pubblicato nel 2004.

L’artista morì all’età di 101 anni a New York. 

Leonor Fini

Leonor Fini nacque a Buenos Aires nel 1907. Dopo la separazione del suoi genitori, visse insieme alla madre a Trieste.

Pittrice autodidatta, frequentò gli atelier degli artisti della zona, come Edmondo Passauro, Arturo Nathan e Carlo Sbisà, che influenzarono il suo lavoro. Legatasi al pittore Achille Funi, si trasferì a Milano, dove, nel Palazzo della Triennale, realizzò insieme al compagno il mosaico La cavalcata delle Amazzoni.

Ma la vera patria di elezione di Fini divenne Parigi, dove, nel 1936, incontrò il gruppo dei surrealisti, espose alla Galleria Levy e dove conobbe André Pieyre de Mandiargues, che per un lungo periodo diventò il protagonista maschile dei suoi dipinti. Dopo un breve matrimonio, si legò al console Stanislao Lepri e all’intellettuale polacco Konstanty Jeleński, chiamato Kot.

Lenor Fini subì fin dall’infanzia una fascinazione e un desiderio di immedesimazione nei confronti della figura della Sfinge, che riprodusse e interpretò in molti dei suoi dipinti.

La fusione – tra il mondo umano e quello animale – e la dualità – tra angelico e mostruoso – sono alcune delle componenti che caratterizzano la sua pittura.

Nell’opera di Leonor Fini la donna viene rappresentata sia come protettrice della vita che come portatrice di morte, secondo una concezione tipicamente mitologica. Le figure ibride e seduttrici che popolano i dipinti di Fini e che la pittrice raffigura prendendo ispirazione dai propri lineamenti, sembrano custodire la chiave segreta di complicati enigmi. Spesso incutono timore; hanno sembianze feline oppure spaventose.

Le figure maschili sono meno frequenti nell’opera della pittrice. Gli uomini che rappresenta sono di bell’aspetto, passivi e deboli, spesso ritratti durante il sonno.

Durante la seconda guerra mondiale, Fini lasciò la Francia e si stabilì in Italia, dove sviluppò un interesse per l’arte quattrocentesca e si dedicò anche al teatro e alla letteratura.

Durante gli anni Settanta la sua pittura diventò più introspettiva e inquietante, con un rimando all’eros sempre più marcato.

Lenor Fini morì nel 1996 a Parigi. Riposa in un mausoleo insieme ai suoi compagni di una vita.

Kay Sage

Kay Sage nacque a New York nel 1898, da una famiglia borghese. Viaggiò a lungo insieme alla madre, prima di trasferirsi a Roma per studiare arte.

Qui incontrò l’anziano pittore Onorato Carlandi, fondatore del gruppo I Venticinque della Campagna Romana. Insieme a loro Sage dipinse gli ampi paesaggi delle colline, le rovine e la vegetazione della campagna di Roma.

Dopo un lungo fidanzamento, Key Sage sposò un nobiluomo, che la introdusse nell’alta società italiana. Durante il matrimonio, però, la pittrice soffrì una grande solitudine e la lontananza dal mondo dell’arte. Separatasi dal marito, espose i suoi dipinti in una personale a Milano.

Si trasferì quindi a Parigi, dove si dedicò esclusivamente alla pittura e conobbe il gruppo di Breton, che non apprezzerà mai l’artista, accusandola di essere troppo borghese. Yves Tanguy, invece, ne fu un estimatore e condivise con lei le suggestioni dell’opera del pittore metafisico italiano Giorgio De Chirico, diventato un punto di riferimento per i pittori surrealisti.

Sage si ispirò soprattutto all’uso di elementi architettonici – come impalcature e sovrastrutture dall’aria spettrale – che trovano una loro collocazione in spazi enigmatici, in cui sono presenti elementi di accezione futurista.

La tela è un elemento che ritorna spesso nei dipinti della pittrice. Viene raffigurata in drappeggi abbandonati oppure tesa su telai immacolati, a rappresentare quadri in attesa di essere dipinti.

Nel 1937 Sage iniziò una relazione controversa con Tanguy, che allora era sposato. Partecipò al raduno surrealista organizzato a Chemilieu nel 1939 da Roberto Matta e da Gordon Onslow Ford, dove partecipò alle discussioni sull’arte del gruppo.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale organizzò una serie di mostre dei surrealisti a New York. Sostenne finanziariamente alcuni di loro e li aiutò a fuggire dal nazismo.

Nel 1940 sposò Tanguy e si trasferì insieme a lui nel Connecticut.

La sua autobiografia, China Eggs, è del 1955. Il titolo fa riferimento all’uovo, un simbolo di fertilità, fragilità e perfezione che spesso viene raffigurato nei suoi dipinti ed è legato alla sua infanzia.

Dopo la morte di Tanguy, nel 1955, Sage cadde in uno stato di profonda depressione. Scrisse alcuni poemi e testi in prosa. Nello stesso periodo iniziò a soffrire di problemi alla vista. La sua pittura diventò più cinica e intrisa di dolore.

I dipinti dell’epoca suscitano un forte senso di angoscia e solitudine. Gli elementi presenti evocano una simbologia legata alla morte e alla sepoltura, oltre che la presenza di spiriti e fantasmi.

La pittrice morì suicida nel 1963, dopo aver provveduto a catalogare l’intera opera del marito.

Maya Deren

Maya Deren nacque a Kiev nel 1917. Il padre era uno psichiatra allievo di Pavlov. La famiglia si trasferì negli Stato Uniti nel 1922, dove Deren studiò giornalismo e scienze politiche alla Syracuse University e frequentò i movimenti socialisti newyorkesi, appassionandosi anche alla causa femminista.

Si avvicinò al surrealismo, ma non volle mai definirsi affiliata al movimento.

La culla della strega è un cortometraggio rimasto incompiuto, realizzato all’interno della galleria Art of This Century di Peggy Guggenheim. Il titolo dell’opera è ispirato al gioco infantile detto La culla del gatto, che prevede l’uso di una corda annodata; infatti, nel cortometraggio, i protagonisti Anne Matta-Clark e Marcel Duchamp manipolano e annodano uno spago, pratica utilizzata anche nei rituali magici per assicurare una maggior riuscita dell’incantesimo.

La corda sembra avere una vita propria, e crea dei reticoli-trappola, interagendo con le opere d’arte esposte. Sulla fronte di Anne Matta-Clark sono disegnati dei simboli esoterici: un pentacolo accompagnato da un’iscrizione che fa riferimento alla ciclicità della vita.

Nonostante il Cinema fosse la principale attività di Maya Deren, l’artista si dedicò anche alla danza. Divenne presto famosa nei circoli dell’avanguardia newyorkese che gravitavano intorno al Greenwich Village, conoscendo molte personalità della cultura e del mondo dello spettacolo.

Ad Haiti studiò la cultura Vudù, realizzando filmati durante i riti di possessione, a cui iniziò a partecipare attivamente, aderendo ai principi spirituali di questa religione.

Morì nel 1961 a causa di un’emorragia cerebrale.

Peggy Guggenheim

L’ultima donna che è necessario citare in questo contesto non è una surrealista e nemmeno un’artista, ma è stato grazie al suo fondamentale intervento che gli esponenti del Surrealismo hanno potuto continuare il loro lavoro anche durante gli anni dell’esilio americano.

Peggy Guggenheim (nata Marguerite: New York, 26 agosto 1898 – Camposampiero, Padova, 23 dicembre 1979), nel 1942, aprì le porte della sua nuova galleria newyorkese Art of This Century, in cui presentò al pubblico l’avanguardia europea.

Finita la guerra, continuò la sua attività di collezionista e mecenate a Venezia, nella sua ultima e amata residenza, il magnifico Palazzo Venier dei Leoni, dove oggi è possibile ammirare questa interessante mostra, in cui artiste innovative e dall’inconfondibile stile personale trovano, finalmente, il posto che meritano.

 

Info mostra

  •  Surrealismo e magia. La modernità incantata
  • A cura di Gražina Subelytė, Associate Curator, Collezione Peggy Guggenheim, e Daniel Zamani, Curator, Museum Barberini, Potsdam
  • Collezione Peggy Guggenheim, 9 aprile–26 settembre 2022
  • fino al 26 settembre, 2022
  • Catalogo è edito da Prestel, 2022, con saggi di Susan Aberth, Will Atkin, Helen Bremm, Victoria Ferentinou, Alyce Mahon, Kristoffer Noheden, Gavin
    Parkinson, Gražina Subelytė, e Daniel Zamani.
  • h 10:00 – 18:00 – chiuso il martedì
  • info@guggenheim-venice.it / 041.2405411 – www.guggenheim-venice.it – visitorinfo@guggenheim-venice.it – Ufficio Stampa Maria Rita Cerilli / tel. 041.2405415

 

  • La mostra si sposterà successivamente al Museum Barberini, Potsdam, dal 22 ottobre 2022 al 29 gennaio, 2023.
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Vive a Venezia, dove ha conseguito il diploma di laurea in pittura presso l’Accademia di Belle Arti con la tesi "Quod Corpus? – breve percorso nelle mutazioni anatomiche", che analizza il cambiamento della percezione del corpo umano nella storia dell’arte. Per molti anni si è occupata di pittura, con particolare attenzione allo studio del ritratto. Oggi scrive prediligendo tematiche legate al mondo dell'arte. Cura il blog "Storie di artiste straordinarie" dedicato alle pittrici e alle scultrici dimenticate dalla storia. Ha pubblicato i romanzi “La governante di madame de Lempicka” (2021), che narra la vita e la carriera della pittrice Art Decò Tamara de Lempicka, e Juana Romani' (2023), dedicato a Carolina Carlesimo, pittrice italiana famosa a Parigi durante la Belle Époque.

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