Madame Vitti e la sua scuola per artiste nella Parigi della Belle Époque

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Sul finire dell’Ottocento, due famiglie ciociare partono a piedi da Gallinaro per cercare fortuna a Parigi. I Vitti e i Caira raggiungono quindi il nutrito gruppo di connazionali che, nella capitale francese, si guadagnano da vivere cercando di colmare le necessità del mondo dell’arte.

C’è chi posa per pochi franchi negli ambienti insalubri e fumosi delle accademie private e chi vende calchi in gesso agli studenti. Ma l’ambizione di ogni modello è quella di ispirare il lavoro di uno degli artisti famosi che affluiscono da ogni parte del mondo nella città dell’arte per eccellenza.

Maria Caira, appena sedicenne, sposa Cesare Vitti, donnaiolo dal carattere ombroso e dalle grandi ambizioni artistiche, e inizia a frequentare Place Pigalle, dove i modelli italiani trascorrono la giornata vestiti dei loro abiti tradizionali, in attesa di un ingaggio.

Qui conosce lo scultore e pittore Frederick MacMonnies e, dopo avere posato per lui e per alcune accademie, si rende conto che nella capitale francese non esiste una scuola d’arte privata per sole donne, in cui sia consentito copiare il nudo maschile.

La scuola ufficiale francese, l’École des Beaux-Arts, aprirà, infatti, i suoi corsi alle studentesse soltanto nel 1897. Prima di allora per un’aspirante artista era possibile formarsi soltanto grazie ai pochi pittori che permettevano alle donne di svolgere un’apprendistato presso i loro atelier. Esisteva all’epoca soltanto una classe mista all’Académie Julian, dove le donne pagavano più del doppio dei colleghi maschi.

Mossa, quindi, da una grande intraprendenza e da un moderno spirito imprenditoriale, Maria Caira, nel giro di poco tempo, riesce a racimolare il denaro necessario per affittare una vecchia rimessa per carrozze, assoldare maestri del calibro di Paul Gauguin, Luc-Olivier Merson, Kees van Dongen e lo stesso MacMonnies, e aprire la prima scuola privata per sole donne, che dovrà intestare giocoforza al marito.

Quest’ultimo e il fratello minore Carlo posano nudi per le studentesse, Maria si occupa della contabilità e dell’organizzazione della scuola, che, durante i primi anni riesce a mantenere grazie a una segreta attività parallela, di cui annota i proventi in codice in un secondo brogliaccio.

Ma presto le ricche americane arrivate a Parigi per studiare arte approdano all’Académie Vitti, che inizia così ad ingranare e ad ampliare i suoi corsi.

Le preoccupazioni di Maria diventano altre: in prima battuta sono rivolte al futuro e alla vita sentimentale delle sorelle Anna e Giacinta, che deve proteggere dalle intromissioni ossessive del marito.

Le vicende della famiglia si intrecciano ai principali avvenimenti storici del periodo; Maria Caira conosce e intrattiene fruttuose relazioni con le grandi personalità artistiche e intellettuali che gravitano intorno a Parigi durante quella che sarà ricordata per sempre come la Belle Époque.

Madame Vitti, il romanzo di Marco Consentino e Domenico Dodaro, Sellerio Editore – Palermo (2022), racconta questa straordinaria storia, portando luce su un argomento ancora poco esplorato, e cioè quello della possibilità formativa artistica femminile alla fine dell’Ottocento, nella capitale europea dell’arte.

Questo libro, strutturato da una ricerca storica molto accurata, offre un dettagliato spaccato della vita in una Parigi nel pieno del suo fulgore, sullo sfondo dei suoi scenari più iconici: i bistrot frequentati da artisti e intellettuali, i quartieri pittoreschi di Montmartre e Montparnasse e i luoghi legati all’arte.

Ma, soprattutto, introduce il lettore ai nuovi movimenti e alle tendenze artistiche che si sviluppano in contrapposizione all’arte accademica che ha monopolizzato il gusto del pubblico per centinaia di anni.

Per saperne di più, abbiamo fatto qualche domanda agli autori di questo interessante romanzo.

Grazie al suo aspetto ricercato e alle sue origini ciociare, Maria Caira è stata la musa di molti artisti, che hanno conferito le sue sembianze ai personaggi femminili delle loro opere. Cosa ha spinto voi, invece, a delineare il ritratto di questa donna volitiva e emancipata, che ha avuto il coraggio di mettersi in gioco in un’impresa così ardua?

Ci siamo imbattuti nella storia delle sorelle Caira in modo del tutto occasionale, in margine a un incontro di lavoro e grazie al racconto di un’amica che aveva da poco visitato la Casa Museo Académie Vitti, il piccolo museo realizzato ad Atina da Cesare Erario, un bis-nipote di Maria che ha ereditato la casa in cui lei aveva trascorso i suoi ultimi anni.

L’impresa di Maria e soprattutto la sua fierezza non potevano che innamorarci, e la sfida di raccontarle era troppo entusiasmante per non raccoglierla.

 Quali sono state le circostanze che hanno portato una ragazza – che dalla campagna romana più povera si ritrova a vivere in una città cosmopolita e libera come Parigi – ad avere un intuizione così geniale come quella di aprire una scuola d’arte per sole donne?

Maria è un raro esempio di combattente. Probabilmente possedeva doti personali non comuni, ma sicuramente è la fatica della sopravvivenza, imparata fin da bambina, che ha guidato il suo intuito.

Quasi certamente Maria posa come modella in una o più delle accademie private dove insegna il suo mentore, Frederick MacMonnies, e ha modo di notare le differenze di trattamento tra allievi maschi e femmine. Non c’è niente di nuovo, nell’idea di aprire una scuola d’arte, ma ci voleva la sensibilità di una donna, per cogliere in quella disparità di trattamento un’opportunità: il segnale di un vuoto del mercato.

E la dirompente perseveranza di una ragazza che si voleva tirare fuori dalla miseria per realizzarla contro ogni verosimiglianza.

È indubbio che Maria Caira, oltre che di uno spiccato spirito imprenditoriale, fosse dotata di una grande abilità nella gestione dei rapporti interpersonali. Qual è stato il legame che, più degli altri, ha istradato la sua impresa verso il successo?

Sicuramente l’incontro con MacMonnies, la cui prova è esposta nella fusione in bronzo della Diana Cacciatrice fra l’altro al Colton Allen Museum di Forth Worth (da cui proviene la riproduzione fotografica presente nel volume) e al Metropolitan Museum di New York.

MacMonnies, che la introduce al bel mondo degli artisti anglosassoni, è con ragionevole certezza il tramite per l’assunzione di Maria come modella presso l’Académie Julian (dove probabilmente ebbe la scintilla dell’idea) e rimane fra i suoi contatti quasi per tutta la vita dell’Académie Vitti, dove fra l’altro insegnerà negli anni di maggior rinomanza.

La storica dell’arte Linda Nochlin motiva il quesito che dà il titolo al suo saggio Perché non ci sono state grandi artiste? con un’oggettiva verità: solo poche donne sono ricordate nei libri di storia dell’arte per il semplice fatto che nei secoli non hanno avuto accesso alla stessa formazione artistica dei loro contemporanei uomini.

In quest’ottica, la scelta di Maria Vitti di creare un’accademia in cui le studentesse non solo possono copiare il nudo maschile, ma sono anche agevolate da una retta di frequenza pari a quella pagata dai loro colleghi maschi nelle altre scuole, si rivela quanto mai democratica.

Alla luce di questa considerazione, l’idea imprenditoriale di Maria Caira può essere letta anche come un tentativo di emancipazione artistica femminile in un epoca in cui la differenza tra i sessi era ancora decisamente marcata?

Il nostro agire appartiene alla storia: ciò che facciamo si identifica con il risultato che determina molto più che con i motivi che ci spingono a fare.

Non possiamo sapere se Maria abbia aperto la Scuola anche  pensando all’emancipazione artistica femminile, ma di certo la sua idea ha avuto questo effetto: superare la preclusione dello studio del nudo maschile alle donne ha significato rimuovere l’ostacolo che in sostanza escludeva le artiste donne – considerate hobbyste e non professioniste – dalle commesse più importanti, quelle delle grandi decorazioni allegoriche a tema mitologico o religioso.

Madame Vitti è un romanzo corposo, ricco di dettagli e avvenimenti. Dove avete reperito le minuziose informazioni che vi hanno permesso di attuare una ricostruzione storica così dettagliata del mondo in cui questa donna ha vissuto?

Siamo debitori, per la storia personale della vita della famiglia Caira, di Cesare Erario – un bis-bisnipote di Madame Vitti, ideatore e titolare della “Casa Museo Académie Vitti” aperta qualche anno fa nella casa di Atina dove Maria aveva trascorso con la sorella Giacinta e il marito Cesare Vitti gli ultimi trent’anni della sua vita – che ha raccolto nel corso di dieci anni circa un inestimabile archivio di documenti e memorabilia familiari.

Per la contestualizzazione dei personaggi, oltre allo sterminato materiale disponibile su un periodo storico così vicino e così frequentato, anche iconograficamente, come la Belle Époque abbiamo avuto la fortuna di trovare e consultare gli epistolari di alcuni dei nostri protagonisti: oltre alle informazioni dirette sulle circostanze di tempo e spazio dei loro movimenti, dalle corrispondenze, sovente redatte sulla carta intestata degli alberghi di residenza, si traggono elementi di preziosi di natura caratteriale e comportamentale.

Infine, ci siamo avvalsi dell’imprescindibile risorsa costituita dall’archivio online della Bibliothèque Nationale de France, che contiene, tra l’altro, tutta la stampa quotidiana francese dal 1789.

Sfogliare i quotidiani dell’epoca, più di uno al giorno, ci ha consentito letteralmente di vivere – tra notizie, pubblicità, piccoli annunci, informazioni meteo e tutto ciò che rimane tra le righe – quegli anni, come se fossimo accanto a Maria e agli altri protagonisti del romanzo, ancorandoci alla realtà quotidiana e vivendola con lo stupore di una scoperta.

Speriamo di essere riusciti a trasmettere questo spirito, che travalica l’immaginario collettivo.

Il romanzo analizza l’evolversi del complesso rapporto che lega Maria Caira alle sorelle minori Anna e Giacinta, che vivono insieme a lei dopo il ritorno della loro madre in Italia e che posano per gli studenti della sua scuola. Cosa accomuna queste tre donne così diverse tra di loro?

Le tre sorelle Caira hanno la dimensione di personaggi tragici, nel senso classico del termine.

Le loro esistenze seguono percorsi che a più riprese si incrociano, distanziano e intrecciano, ma tutte e tre sono protagoniste di un arco di sviluppo che – pur nelle differenze caratteriali e di esperienza – ha i tratti comuni dell’urgenza di riscatto, della disponibilità al sacrificio e della inesorabilità del confronto con la realtà.

Tutte e tre, ciascuna a suo modo, sono autrici del loro destino.

Dopo aver trascorso gli anni della sua giovinezza in un ambiente libero e moderno, alla vigilia della prima guerra mondiale, Maria Caira decide di tornare in Italia. Quali sono stati i motivi di questa scelta?

Quasi certamente molteplici. Dal punto di vista puramente imprenditoriale, l’evoluzione del mondo dell’arte in direzione sempre meno figurativa (è del 1910 l’orinatoio capovolto denominato “Fountain” da Duchamp) probabilmente la induce a ritenere che il futuro della scuola sia segnato.

Dal punto di vista personale, probabilmente la volontà di rivalsa sociale, di tornare al paese da vincitrice, abbiente e possidente, ha giocato il suo ruolo.

Possiamo dire a ragion veduta che questa volta Maria non è stata aiutata dal suo intuito. Ma chi ha vissuto un’esperienza di emigrazione sa bene che il distacco dalle proprie radici agita moventi emotivi che travalicano qualunque capacità razionale.

Qual è stata la cosa più emozionante che vi è accaduta nel raccontare questa storia?

Eravamo a fine della prima stesura, e ci dibattevamo nella narrazione dell’ultima fase della vita delle nostre protagoniste. Una fase in chiave minore, per dirla in termini musicali, densa di malinconia e di dubbio.

Anche noi eravamo in dubbio su come concludere il romanzo, e abbiamo fatto una gita ad Atina, sperando che una visita al museo ci avrebbe ispirato. In quell’occasione Cesare Erario ci ha rivelato un’informazione che fino a quel momento aveva tenuto per sé, e ci ha accompagnato a vederne la testimonianza in situ.

Non lo riveliamo a nostra volta perché sarebbe spoiler di una pagina molto avanti nel testo – crediamo la 504 – ma possiamo dire che pur non trattandosi in senso tecnico di un colpo di scena, certamente fu un colpo di coda, la dimostrazione della pasta di cui, fino all’ultimo momento, era fatta Maria.

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Vive a Venezia, dove ha conseguito il diploma di laurea in pittura presso l’Accademia di Belle Arti con la tesi "Quod Corpus? – breve percorso nelle mutazioni anatomiche", che analizza il cambiamento della percezione del corpo umano nella storia dell’arte. Per molti anni si è occupata di pittura, con particolare attenzione allo studio del ritratto. Oggi scrive prediligendo tematiche legate al mondo dell'arte. Cura il blog "Storie di artiste straordinarie" dedicato alle pittrici e alle scultrici dimenticate dalla storia. Ha pubblicato i romanzi “La governante di madame de Lempicka” (2021), che narra la vita e la carriera della pittrice Art Decò Tamara de Lempicka, e Juana Romani' (2023), dedicato a Carolina Carlesimo, pittrice italiana famosa a Parigi durante la Belle Époque.

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