Spellbound: Scenografia di un Sogno. il mondo di Salvador Dalì si mostra a Napoli

Il rapporto fra Arte, Teatro e Cinema è sempre stato molto intenso. Molto spesso gli artisti hanno dato seguito ad una serie di istanze avanzate dalle produzioni teatrali e cinematografiche. Un esempio eloquente è Parade, il grande sipario realizzato da Pablo Picasso (1881-1973) per il balletto in un atto del 1917, musica di Erik Satie (1866-1925), su soggetto di Jean Cocteau (1889-1963), e la coreografia originale di Léonide Massine (1896-1979), per la compagnia dei Balletti russi di Sergej Djagilev (1872-1929). Identico discorso vale per l’industria audiovisiva con i dovuti distinguo. Negli ultimi trenta anni le case di produzione cinematografica hanno realizzato una serie di film incentrati sulle biografie dei singoli artisti: celebri sono I colori dell’anima del 2004, con l’attore Andy Garcia (1956) nelle vesti di un giovane Amedeo Modigliani (1884-1920); Frida del 2002, basato sulla sofferta e tormentata vita privata della pittrice messicana Frida Kahlo (1907-1954), interpretata da Salma Hayek (1966); e Klimt del 2006, pellicola biografica sul pittore Gustav Klimt (1862-1918), con John Malkovich (1953).

Molto diversi sono, invece, i frame dei film che traggono ispirazione dai dipinti dei grandi artisti, come in Arancia Meccanica del 1971, del regista Stanley Kubrick (1928-1999), che scelse per la celebre scena dei prigionieri di rifarsi al quadro La ronda dei carcerati del 1890, di Vincent Van Gogh (1853-1890), conferendo alla rappresentazione una atmosfera totalmente introspettiva. Della stessa caratura sono le sequenze della pellicola Il quinto elemento, del 1997, di Luc Besson (1959), ispirato all’opera, La colonna rotta del 1944, di Frida Kahlo (1907-1954), dove la sopravvivenza umana e la lotta costante tra bene e male sono al centro della trama e, Trainspotting, del 1996, di Danny Boyle (1956), che ebbe come protagonista un giovane Ewan McGregor (1971), tratto da I misteri dell’orizzonte, del 1955 di René Magritte (1898-1967).

Se da una parte il cinema attinge dal mondo dell’arte, dall’altro, sono gli stessi artisti a diventare produttori e registi.

Ne è un esempio Man Ray (1890-1976), pittore, fotografo e grafico statunitense esponente del Dadaismo, autore di film d’avanguardia come Le retour à la raison del 1923 e Anémic Cinéma con Marcel Duchamp (1887-1968), del 1925. Indimenticabili sono le pellicole minimaliste, SleepKissEatBlow JobEmpire, tutti tra il 1963-1965, di Andy Warhol (1928-1987), che mostrano azioni ripetute dilatate nel tempo, riprese con una camera fissa.

Un approccio ibrido, invece, di sinergia tra regista cinematografico ed artista, avvenne con il film Spellbound (Io ti salverò), del 1945, con gli attori Gregory Peck (1916-2003) e Ingrid Bergman (1915-1982), dove il cineasta e Maestro del Brivido, Alfred Hitchcock (1899-1980), si avvalse della creatività surrealista di Salvador Dalì (1904-1989), per la realizzazione della sequenza del sogno. Il film è imperniato sul delicato rapporto psicologico e affettivo fra Constance Peterson (Ingrid Bergman), dottoressa della clinica psichiatrica e John Ballantyne (Gregory Peck). Quest’ultimo soffre di amnesia dissociativa, non riesce a ricordare la propria identità e si spaccia per il dottor Anthony Edwardes, del cui omicidio è convinto di essere il colpevole. Momento cruciale è il sogno descritto dal protagonista agli esperti psichiatri che cercano di aiutarlo a recuperare la memoria perduta.

A distanza di quasi 80 anni, una mostra celebrativa, dal titolo Spellbound: Scenografia di un Sogno, curata da Beniamino Levi, è allestita presso la Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, a Napoli, fino al 30 settembre 2022.

È un progetto che si avvale della Direzione artistica di Roberto Pantè e organizzata da The Dalì Universe, e presenta al pubblico oltre alla scenografia realizzata dal Maestro catalano per il regista inglese, anche un corpus di oltre cento opere originali, sculture in bronzo e in vetro Daum, grafiche, libri illustrati, tarocchi, oggetti di design e arredi, valorizzate dalla dimensione cinematografica hitchcockiana e da originali effetti sonori e multimediali.

Per comprendere al meglio la principale attrazione della mostra, il pubblico si immerge nel mondo di Dalì, caratterizzato dalla paranoia, dalla perdita della memoria, dal sogno, dalla psicoanalisi e dal recupero mnemonico. E’ un percorso estremamente intimistico ed emozionale, in cui la “visione” religiosa della basilica dialoga con le “visione oniriche” dell’artista di Figueres.

Ad accogliere i visitatori è il dialogo virtuale tra Dalì e Hitchcock, in cui emerge fin dagli inizi la stretta correlazione fra il metodo paranoico critico dell’artista e gli elementi di thriller e suspance del regista.

Una serie di sculture si alternano nella prima parte del percorso espositivo, contraddistinte dallo stile surrealista: al Cristo contorto che dialoga con la struttura ecclesiastica, si oppone il Cabinet Antropomorphique, una figura quasi umana su cui corpo sono presenti una serie di cassetti vuoti, considerati un posto dove ognuno può registrare immagini nate dal proprio subconscio.

Nella sala centrale l’arte daliniana diventa ancora di più paranoica. Qui, gli oggetti orrifici del subconscio si animano e assumono un ruolo cosciente e critico. I simboli onirici hanno un valore nuovo, si trasformano e si plasmano perdendo del tutto il significato originario.

E’ un modo per l’artista di evitare la follia. Cavallo con orologio molle e La Persistenza della Memoria sono sculture incentrate sullo scorrere del tempo e l’orologio deformato è il sinonimo di un oggetto metallico da ripudiare.

La paranoia è un elemento fondamentale anche per Hitchcock, che la manifesta attraverso le immagini in Spellbound, insieme agli stati d’animo del protagonista: le linee di una forchetta su una tovaglia bianca, i segni degli sci sulla neve, i binari di un treno, sono visioni che lo angosciano enormemente e inconsciamente.

Altri temi ricorrenti sono la psicoanalisi e il mondo onirico. Grazie alle teorie dell’inconscio di Sigmund Freud (1856-1939), Dalì realizzò tantissime opere di natura introspettiva: lumache col guscio duro e interno molle, elefanti dalle zampe sottili, stampelle, uova, formiche, cassetti, giraffe e occhi.

Nel sonno, la coscienza perde la presa sui pensieri umani liberando l’inconscio, facendo tornare in superficie proiezioni di desideri, pulsioni, malesseri e paure. Hitchcock, invece, applicò la psicoanalisi inserendola in un sistema narrativo in grado di manipolare con successo gli spettatori e ridefinendo il concetto di linearità.

I sogni sono ricorrenti in molti suoi film e sono considerati autoriflessivi, surreali e ricchi di riferimenti al potere della fantasia, della paura e del voyeurismo: come in Rebecca-La prima moglie del 1940 e La finestra sul cortile del 1954.

Collocata nei pressi dell’altare, l’enorme scenografia della pellicola Spellbound (Io ti salverò), è la trasposizione concreta del sogno di Ballantyne, assemblata in due parti, misura 11 metri di larghezza e 5 di altezza.

Iconograficamente rappresenta occhi vitrei, bizzarri oggetti surrealisti e forme, che attraverso il loro simultaneo movimento, interagiscono per formare uno sfondo imponente e grandioso.

Dalì realizzò 100 schizzi e 5 dipinti a olio per il progetto. Il sogno è cruciale per la soluzione della trama: ogni elemento in esso aiuta il protagonista affetto da amnesia a carpire significati che porteranno al finale del film.

John Ballantyne, nevrotico, traumatizzato, debole e confuso, ha bisogno di immergersi nelle sue crepe mentali per recuperare sé stesso e la memoria.

Nel Surrealismo, l’immagine dell’occhio occupò un posto centrale, era lo strumento per mostrare allo spettatore le “cose invisibili” e il tema della “doppia immagine”, che suggerisce o si trasforma in un’altra. I tre minuti del sogno sono lontani dalla sequenza originaria, che ne durava ben venti. Inoltre, questo capolavoro cinematografico è avvalorato dalla colonna sonora premio Oscar del compositore Miklos Rozsa (1907-1995).

La seconda parte della mostra continua con una serie di opere incentrate sulla religione. Nell’opera La Visione dell’Angelo, l’artista spagnolo stravolge i canoni della rappresentazione, creando una sua personale interpretazione surreale dell’immagine di Dio e della Trinità.

Il centro della composizione scultorea è formato da un grande pollice proteso verso l’alto. La forza e la supremazia del Padre è incarnata nel dito, da cui emerge ogni forma di vita. Alla sua destra, vi è l’umanità nelle sembianze di un essere pieno di vitalità, mentre alla sua sinistra una figura alata rappresenta lo Spirito Santo.

Una particolare attenzione è rivolta alle immagini degli angeli. Nella scultura Angelo del trionfo, emerge grazia, nobiltà e leggerezza.

Il volto e la tromba riecheggiano lo stile cubista sperimentato da Pablo Picasso (1881-1973), a cui si aggiunge quello surrealista in altri punti dell’opera. Della stessa caratura è l’Angelo cubista, che si allontana dall’iconografia cristiana.

E’ un anacronismo nella sua combinazione di forme cubiste e antiche. Questa simbiosi conferisce una dimensione misteriosa al soggetto, che oscilla i fianchi ad angolo, ha due ali di bronzo ed è totalmente asessuata. In gioventù, Dalì rifiutò il cattolicesimo della sua famiglia, salvo riabbracciarlo anni dopo.

Diverse sono le sculture che raffigurano gli animali, disseminate lungo il percorso espositivo. L’Elefante spaziale, si rifà al dipinto La tentazione di Sant’Antonio del 1946.

Un obelisco collocato sopra il pachiderma simboleggia la conoscenza ed il potere. E’ un omaggio dell’artista all’opera di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) a Roma. Il soggetto è caratterizzato da zampe esageratamente lunghe che si sollevano verso il cielo e si giustappongono al pesante corpo dell’animale.

Venus à la girafe, invece, è una statua che ha la testa di una Venere posta in cima ad un lungo collo di una giraffa. Nell’elegante abito maculato, ha al centro dello stomaco un cassetto aperto che sporge esageratamente ed è sostenuto da una stampella dalle punte allungate in misura diversa.

Vestito di pizzo, è l’ultimo animale presente nella mostra, il Rinoceronte, creato negli anni Cinquanta. E’ netto il contrasto tra la corazza dura all’esterno e molle all’interno, dove il pizzo copre il muso, il corno e i fianchi del soggetto.

Ciò che emerge dopo aver visitato tutta la mostra, è una riflessione verso noi stessi, se siamo duplici o forse frammentati in molti pezzi, come gli occhi nel sogno di Spellbound, o se siamo l’aggregazione di singole parti come le opere surrealiste.

Solo prendendo consapevolezza possiamo trovare un equilibrio. Sia Hitchcock e sia Dalì sono incastrati in un ironico gioco che alterna vita personale, artistica e pubblica: il regista con la sua maschera impenetrabile, impassibile e con un morboso senso dell’umorismo; il pittore con la sua imprevedibilità, impetuosa personalità, follia e mondanità.

Probabilmente noi viviamo molteplici vite interiori. Nonostante ciò, saremo sempre in grado di ritrovarci: negli odori del passato, nelle azioni quotidiane e nei sogni che popolano le nostre notti. Bisogna ricordare sempre a se stessi quando ci si sente perduti: Spellbound, (Io ti salverò).

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Luca Del Core, vive e lavora a Napoli. E' laureato in "Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali" presso l'Università degli Studi "Federico II" di Napoli. Giornalista freelance, ha scritto per alcune riviste di settore, per alcune delle quali è ancora redattore, e attualmente collabora con art a part of cult(ure). La predisposizione ai viaggi, lo porta alla ricerca e alla esplorazione delle più importanti istituzioni culturali nazionali ed internazionali, pubbliche e private.

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