Fuggi la terra e l’onde. Lino Guanciale e le storie di mare, di porti e di speranza

«Sul mare si fugge o si rincorre qualcosa», diceva Joseph Conrad. Lino Guanciale con il suo Fuggi la terra e l’onde – Storie di mare, di porti e di speranza – andato in scena a Roma al Teatro India per il cartellone di “Palcoscenico per l’Estate romana 2022” del Teatro di Roma e a Milano nell’ambito di “Sguardi (d’) insieme | Milano è Viva nei Quartieri” alla Casa della Carità – rincorre i miti e le storie di ieri e di oggi su quel luogo della mente e dell’anima, «padrone, imperscrutabile come il destino» della vita dei marinai.

Al centro della scena, davanti ad un microfono e un leggio, solo l’attore abruzzese nel suo completo nero. A ‘costruire’ sia la narrazione che la scenografia, infatti, sono la partecipazione emotiva – visibilissima sul volto e dalla voce dell’attore soprattutto nella parte finale – e le parole della drammaturgia originale, firmata da Lino Guanciale, accompagnate dalle note di Salvatore Sciarrino, Charles Trenet, Lucio Dalla, Fred Buscaglione e di musiche tradizionali afgane.

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Una silloge di testi appositamente selezionati, tra testi di anonimi cronisti arabi, di detti e credenze di popoli diversi, per raccontare il mare degli esploratori, quello dei migranti, quello “piccolo” dei marinai che si tramandano miti e leggende popolate di mostri, eroi e dei che “in vita loro vedranno soltanto con il binocolo” per non avere timore di quella profonda e infinita distesa d’acqua e fonte di vita e nutrimento, meraviglia e paura  quando è agitato da tempeste e uragani, di fronte a cui ogni uomo, ricco o povero, sapiente o ignorante, è ugualmente inerme e disarmato.

Nello stupore e timore di fronte a questo elemento naturale che nasconde vite sconosciute, che può essere fonte di vita e nutrimento, fonte di meraviglia e di bellezza, ma anche fonte di timore, paura e morte quando si agita e si scatenano tempeste, tifoni, uragani.

Dalla figlia del re siculo che ambisce al cuore crudele del re di Gibilterra fino al “mare grande” degli dei, quello dell’Eneide citata nell’incipit e nell’episodio, di perdite e di sacrifici richiesti dal mare, della tragica morte di Palinuro nella nota e immortale traduzione di Annibale Caro e in quella di Erica, utente del sito Skuola.it, che con la sua traduzione fin troppo letterale di “profugus” mette in luce il ruolo – di cui, come sottolineato ironicamente dallo stesso Guanciale, spesso la classe politica si dimentica – del primo profugo della cultura occidentale, Enea.

Dai profughi della tradizione epica a quelli del presente, tra storie di mare, di fuga ma anche di tributi pagati al mare. Da Enea ad Alì, novello Odisseo che dagli orrori dei bombardamenti afghani a soli 8 anni inizia il suo viaggio, durato sei anni, verso una terra straniera in cui tentare di costruire per sé e per il fratello Mohammed e un futuro migliore.

Da Kabul, dove un bombardamento cancella in un attimo l’innocenza di due bambini, la loro casa e la loro famiglia rendendoli orfani, passando per il Pakistan e la Turchia fino al tentativo disperato prima del fratello diciassettenne, che finisce la sua giovane vita nel grande cimitero del Mediterraneo, e poi del piccolo Alì di arrivare in Grecia e da lì successivamente approdare in Italia e poter studiare e onorare anche chi ha sacrificato la vita perché potesse giungervi.

Una storia vera, che racconta di mare e di fuga, quella di Alì – che l’attore ha avuto modo di incontrare personalmente nell’ambito della sua attività di testimonial dell’Unhcr – cui raccontata nel libro Stanotte guardiamo le stelle di Alì Ehsani e Francesco Casolo (Feltrinelli, 2017), sintesi delle storie dei tanti migranti, dei tanti Enea che affidano a quel mare, enorme e talvolta assassino, la loro speranza di una vita migliore, di un’occasione per ricominciare non senza correre pericoli e non senza sperimentare sulla propria pelle «com’è profondo il mare.. », come ricorda Guanciale, fischiettando le note e recitando-canticchiando a cappella il testo della nota canzone di Lucio Dalla.

Un viaggio per mare, fatto di parole ma anche e soprattutto di emozioni perché, come ricorda Guanciale, “il mare e l’avventura abitano nel nostro immaginario la stessa dimensione metaforica, confusi in un abbraccio complesso che lega insieme tanto l’ebbrezza della scoperta quanto la paura della natura e dell’ignoto. La sfida dell’esploratore, del poeta e del profugo: modi diversi di scrutare l’orizzonte e studiare il vento, generati da desideri e paure difformi. Tutti scritti, però, a lettere di fuoco nell’animo umano, secondo le regole della vita, della morte e della poesia”.

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Classe 1987. Romana di nascita, siciliana d’origine e napoletana d’adozione. Giornalista professionista, comunicatrice e redattrice freelance. Da sempre appassionata di (inter)culture, musica, web, lingue, linguaggi e parole. Dopo gli studi classici si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e in seguito, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ha poi conseguito un master in Giornalismo (biennio 2017 – 2019) presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Giornalista per caso e per passione, ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale oltre che per Europride 2011, Trame – Festival dei libri sulle mafie e per Save the Children Italia (2022). Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali e politiche (dalle tematiche di genere all’antimafia sociale passando per l’immigrazione, il mondo Lgbtqia+ e quello dei diritti civili). Vincitrice della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani” per l’anno 2019.
Fotografa, spesso e (molto) volentieri.

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