La Mia Prima. Allievi del Centro di Fotografia Indipendente a Napoli in mostra.

immagine per La Mia Prima. Allievi del Centro di Fotografia Indipendente a Napoli in mostra.

Favorire un progetto visivo di ricerca che ha richiesto mesi e mesi di lavoro il cui esito finale – oltre quello di rivelare gli innumerevoli utilizzi della fotografia e la sua funzione creativa – sa trascinare lo spettatore in un coinvolgimento emozionale unplugged, diretto, immediato e al tempo stesso spirituale, sembra essere il messaggio sotteso alla mostra La Mia Prima al Centro di Fotografia Indipendente (CFI) di Napoli.

La collettiva, in corso fino al 21 ottobre 2022, vede l’esordio di undici allievi del Corso annuale di Formazione del CFI, classi 20/21 e 21/22, guidati da uno staff di docenti del calibro di Mario Spada, Biagio Ippolito, Luca Anzani, alla cui forza va il merito di aver aperto il CFI nel 2013.

Ciascuno con  le proprie competenze e conoscenze tecniche acquisite, gli 11 hanno definito un ventaglio eccentrico di paesaggi metaforici e soggettive sensazioni; mi spiega Biagio Ippolito:

“Non diamo mai un tema per lo sviluppo del lavoro di fine corso – mi spiega  – i ragazzi possono lavorare e sperimentare un tema scelto da loro che man mano sviluppano secondo il proprio occhio e la propria sensibilità.

La Mia Prima, si ripete ogni anno proprio per offrire loro l’opportunità di misurarsi, controllare le emotività ed esporre la loro idea con quel rigore e serietà che insegno loro, assieme al consiglio di pensare alla fotografia (e/o al video) come progetto a cui  dedicarsi  a tempo pieno, trovando la giusta concentrazione”.

Nelle ariose sale del Centro di Fotografia Indipendente, le opere esposte, assieme al potenziale della disciplina e delle sue risorse, manifestano la loro vibrante portata narrativa; mi chiarisce Mario Spada:

“Il senso di questa mostra  è che in un anno di corso in cui i ragazzi imparano la tecnica  dell’uso del digitale e dell’analogico, c’è stato anche un importante percorso di linguaggio  fotografico  con esperti quali Angelo Raffaele Turetta e Roberta  Fuorvia,  quindi la mostra di fine anno è la capacità di mettere insieme una serie di input progettuali come ad esempio la fase del riconoscimento, cioè quel “so quello che voglio fare”, quella poi del saper produrre immagini e quella del confronto con noi docenti; io e Biagio Ippolito condividiamo uno spazio e seguendo ognuno la propria funzione didattica per competenze, lavoriamo perseguendo un unico obiettivo, cerchiamo di mettere gli allievi in grado di fare la fotografia applicandosi a seguire il proprio sentire, consigliandoli e appoggiandoli: il dibattito e lo sguardo dell’altro è sempre importante, così come il saper vedere cosa accade nel mondo e trovare il proprio posto”.

Affollatissima la sera dell’inaugurazione (29 settembre scorso), malgrado la pioggia torrenziale, La Mia Prima è subito apparsa come un complesso di voci percorse da privati stati emotivi; dichiara infatti Luca Anzani:

“Sono orgoglioso di ciò che hanno svolto i ragazzi quest’anno –  perchè in alcuni casi non immaginavo che  riuscissero a lavorare così profondamente rispetto ai loro propositi. 

Riuscire ad emergere oggi,  con un mercato estremamente complesso, è solo una questione di volontà e determinazione, esattamente ciò che cerchiamo di infondere sempre ai corsisti che sono con noi”.

Una delle artiste che per prima riesco a intervistare è Chiara Di Mauro il cui concetto affonda sulle proprie origini come sostengono e identità; mi racconta:

Il mio lavoro si chiama Radici, perché si fonda su tematiche come il passato, la famiglia, la natura. Tutto è iniziato dal ritrovamento di fotografie di mia nonna  e da li ho ricostruito un passato che non conoscevo come molte persone nelle foto, è  un passato che non era mio, ma farlo mio, attraverso queste foto è stato cercare me stessa e  riavvicinarmi alla mia famiglia”.

Per Alberto Vozzolo invece, il tema conduttore di Nascosto è il raffronto  interiore fra  riparo e mondo esterno:

La mia idea è il conforto fra zona confort e il pericolo;  io non appaio mai nelle fotografie: assenza  di identità, immagine di uno specchio rotto, di un uccello fuori dal suo habitat che non sa essere quel che è; una casa può diventare gabbia, da nido a gabbia, gli esterni dicono trasformazione da libertà a panico, come si vede in questi origami intrappolati nella loro forma che dicono senso di indeterminatezza; tutti cerchiamo la protezione di una casa, ma non si trova mai pace”.

Di fronte al lavoro di Carmen Erra, Madre dove sei?, la fotografia riveste il ruolo di testimonianza, strumento di potere inoppugnabile:

“Il mio lavoro parla della malattia di mia madre che ha l’alzheimer, una cosa molto difficile a raccontarlo a parole, la fotografia ne sintetizza la sua presenza, il cambiamento della nostra casa,  come spia del cambiamento di tutti noi”.

Con Luigi Cacciapuoti, invece, la Fotografia è mezzo per l’indeterminatezza che allo stesso tempo genera numerose possibili verità senza mai darne assoluta e univoca conferma:

“Il mio è un autoritratto dietro un porta, in un paesaggio decadente; racconto cosa si nasconde dietro la porta dell’ infanzia, dietro paranoie che si protraggono fino all’età adulta riconducibili al rapporto madre-padre e al complesso edipico; il titolo Eclissi è perchè  ricorda le  luci e le ombre che poi si distaccano fino ad un punto di arrivo, un significante di liberazione, luce accecante, oppressiva  ma che indica la bellezza di essere figlio”.

Altrove, l’immagine può diventare simulacro sfuggente, spesso opprimente per suggestioni e ossessioni, come accade per Valeria Scotti, i cui tre video Fragmentum, denunciano proprie fragilità e paure:

I miei sentimenti si palesano con i miei movimenti del corpo e gli oggetti che ho scelto di usare, per ricalcare un senso di asfissia a rievocare emozioni ancestrali”.

O, come avviene con Giovanni Allocca che con Beloved, loving objects from strangers, cattura cose e ne deposita le impressioni di chi le ha possedute in un suo libro che diviene opportunità di riscatto, di ridefinizione dell’io, di riscrittura del trascorso:

Le cose parlano di persone, persone che parlano di oggetti significativi di cui ho chiesto la storia”.

È un sentire particolare quello che si svela dietro questa nuova edizione di La Mia Prima che spoglia la fotografia dalle maglie della perfezione estetica per portarla sullo spettatore in termini di influenza psico-antropologica. Si pensi al lavoro di  Leonardo Galanti o quello di Carolina Scarpetta.

Il primo (Fratello chi sei) con sguardo asciutto ed senza orpelli  narra il suo  anno di vita trascorso come volontario del servizio civile assieme con Fratel Raffaele, fra  bambini napoletani e rom del quartiere periferia nord e vesuviano:

“Dalle mie fotografie sviluppate in camera oscura, si può trarre la forza di chi ama solo servire, dimenticando se stesso, come fa Fratel Raffaele che ha scelto di vivere con persone dimenticate per dare loro una possibilità”.

La seconda, attratta da una ritualità tesa fra sacro e profano, rilegge il presente attraverso una vision quasi alchemica, i cui gesti sembrano far parte di una sorta di danza contemporanea stridente, che fa riflettere:

Il rito della vestizione in onore della Vergine delle Grazie a Quindici dal punto di vista antropologico è spettacolarizzazione, è quel che resta dell’aspetto religioso che invece dovrebbe essere la cosa primaria; il  titolo è Quattrocentonovantasei grammi, cioè la quantità di oro per la  per la Madonna,  significa quantificare metaforicamente qualcosa come la devozione che invece è  inquantificabile, questo  il punto su cui  vorrei che  le mie fotografie facessero riflettere”.

Quando la fotografia è un modo di guardare e di guardarsi cambiando le regole del gioco, il risultato può consistere in una serie di  ritratti inaspettati che attraversano gli angoli dell’animo: quella di Paolo Mazzone e Valeria Gentile è pratica immersiva che è anche mappa di se stessi, una sorta di cartografia di tasselli intersecanti; per Paolo (Dualità):

ruotano attorno al concetto di complementarietà  tra due elementi opposti fra loro, i mille punti diversi che  rappresentano ogni diversità e quindi ogni ricchezza.

I due soggetti sono immersi nella natura privi di classificazione sociale, vogliono trovare se stessi tramite l’opposto, tramite ciò che loro non hanno e per questo arricchirsi

Per Valeria (Stanze):

rappresentano parte della mia vita passata trascorsa 25 anni nelle stessa abitazione, e che qui ripercorro in modo onirico e dicotomico fra  suspence e  tranquillità,  fra crepe e momenti altalenanti della mia vita, soffermarmi su quella che sono, attraverso le fratture individuate all’interno della mia casa”.

Lo scopo della fotografia non è fornire risposte univoche, ma aprirsi a esperienze e suggestioni. In tal senso è da intendere, infine, il dittico di Fabio Schiattarella, una messa in scena che guida lo sguardo del visitatore in più direzioni con un gioco di diversi livelli mentali:

Reminiscence parla di tre assi di discriminazione intersezionale che andando oltre la razza il sesso, si intersecano insieme. Questo dittico  come già in altri casi,  è associato a opere  di un artista contemporaneo  che spaziano da orientamento sessuale a  identità di genere.

Si tratta di un lavoro molto complesso in via di sviluppo, che coinvolge persone attraverso i laboratori espressivi  che conduco in qualità di educatore e sociologo. La persona qui  ritratta non sa a cosa io l’ho  associata.

Ho cercato di far trasparire dai suoi occhi l’esercito di ombre  e reminiscenze del suo passato del suo essere donna trans e non bianca,  libera e felice di vivere la sua sessualità”.

Fra certezze e incertezze, in una varietà polimorfica La Mia Prima svela quelle piccole cose che fanno di noi quel che siamo, facendo leva sull’affiatamento di gruppo e, come afferma Biagio Ippolito:

“sulla fiducia nell’apporto di ciascuno alla causa comune”.

Percorsi  affascinanti, intriganti, differenti, che ogni anno l’alacre Centro di Fotografia Indipendente presenta come fiore all’occhiello di un impegnativo e complesso viaggio didattico-formativo mosso da una grande e meravigliosa passione: quella per la fotografia e le storie che sa raccontare.

Info mostra

  • La Mia Prima. Collettiva fotografica degli allievi del Corso annuale di Formazione del CFI, classi 20/21 e 21/22
  • Gli 11 artisti sono: Luigi Cacciapuoti (Eclissi); Valeria Gentile (Stanze);  Fabio Schiattarella (Reminiscence);  Alberto Vozzolo (Nascosto);  Giovanni Allocca (Beloved, loving objects from strangers); Chiara Di Mauro (Radici); Carmen Erra (Madre dove sei?); Leonardo Galanti (Fratello, chi sei);  Paolo Mazzone (Dualità); Carolina Scarpetta (Quattrocentonovantasei grammi);  Valeria Scotti (Fragmentum)
  • CFI, Piazza Guglielmo Pepe 4, Napoli
  • Dal 28 settembre al 21 ottobre 2022
  • Orari: dal lunedì al venerdì dalle ore 11.00 alle ore 19.00 – Ingresso gratuito
  • info@centrodifotografiaindipendente.it

Il Centro di Fotografia Indipendente è un’officina creativa nata a Napoli nel 2013 dall’incontro dei tre fotografi Mario Spada, Biagio Ippolito e Luca Anzani con l’intento di sostenere, diffondere e sviluppare la cultura fotografica.

Seppur profondamente radicato nel tessuto culturale partenopeo, il CFI si apre all’innovazione proponendosi come luogo di condivisione e confronto di sguardi, nell’intento di percorrere nuove strade volte alla comprensione della realtà in cui viviamo.

Accanto all’attività di formazione, che costituisce il suo nucleo fondante, ha realizzato, negli ultimi anni, seminari aperti al pubblico e collaborazioni con i più importanti maestri e operatori della fotografia italiana. Ha sede in piazza Guglielmo Pepe, posizionata tra piazza Mercato, piazza Garibaldi e il Porto. Punto di intersezione tra una Napoli connessa alle tradizioni e quella proiettata verso nuove e più dinamiche visioni.

Un quartiere che ieri come oggi rappresenta il fulcro del melting pot mediterraneo, dove si mescolano culture diverse pronte a creare innovazione. Fra i docenti, oltre a quelli citati figurano Angelo Raffaele Turetta, Massimo Velo, Salvatore Pastore, Roberta Fuorvia, Guglielmo Verrienti, Marco Spatuzza, Giuseppe Riccardi e Mariagiovanna Capone

 

 

 

 

 

 

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Storica e critica d’arte, curatrice, giornalista pubblicista, Loredana Troise è laureata  con lode in Lettere Moderne, in Scienze dell’Educazione e in Conservazione dei Beni Culturali. Ha collaborato con Istituzioni quali la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio di Napoli; l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa e l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. A lei è riferito il Dipartimento Arti Visive e la sezione didattica della Fondazione Morra di Napoli (Museo Nitsch/Casa Morra/Associazione Shimamoto) della quale è membro del Consiglio direttivo. Docente di italiano e latino, conduce lab-workshop di scrittura creativa e digital storytelling; è docente di Linguaggi dell'Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e figura nel Dipartimento di Ricerca del Museo MADRE. È autrice di cataloghi e numerosi contributi pubblicati su riviste e libri per case editrici come Skira, Electa, Motta, Edizioni Morra, arte’m, Silvana ed.

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