Mike Parr a Casa Morra. Con interviste all’artista e a Eugenio Viola

immagine per Mike Parr a Casa Morra. Con interviste all'artista e a Eugenio Viola

Mike Parr. The Intimate Resistance: 1971-2023, è un’ampia retrospettiva site specific in corso a Napoli, a Casa Morra-Archivi dell’Arte Contemporanea e dedicata ad una personalità dell’arte internazionale riconosciuta come uno degli massimi esponenti della Performance Art.

A cura di Eugenio Viola e organizzata in collaborazione con il MAMBOMuseo de Arte Moderno di Bogotà, l’esposizione è stata coronata da una nuova performance site-responsive, Blind Painting Towards a Hole and a Head, agita da Mike Parr sullo scalone monumentale della prestigiosa location partenopea.

Tra le oltre ottanta opere che compongono la mostra disposte lungo le sale del piano nobile – foto, film, video, installazioni, video monocanale e multicanale, incisioni e rari materiali d’archivio – spiccano task performance come Pushing a Movie Camera Over a Hill (1971), Hold Your Breath for as Long as Possible/ Hold Your Finger in a Candle Flame for as Long as Possible (1972); così come alcune performance fra le più controverse come Cathartic Action: Social Gestus No.5 (The “Armchop”) (1977) e lavori presentati per la prima volta, si pensi a Falling Self-Portrait (2023) che testano i limiti fisici e psicologici dell’artista.

Varcando la soglia delle sale è come accedere a fenomeni di flusso e riflusso come nelle maree (Benjamin), dove gli appunti mentali, l’incontro e lo scontro costruttivo, la tensione gli shock visivi, diventano riconoscibili a più livelli di percezione, assumendo – come spiega Giuseppe Morra:

una funzione particolarmente significativa in rapporto ai processi cognitivi, come la percezione, il pensiero analogico, l’attenzione, la memoria.

Il lavoro di Parr emerge come capacità di esprimere ciò che si è (l’essere se stessi), mediante un agire costituito da emozioni, sentimenti, vissuti, bisogni, pulsioni, desideri.

In una società in costante trasformazione tecnologica e scientifica la rielaborazione cognitiva sotto un profilo creativo personale e critico, è esigenza inderogabile”.

Ho incontrato Mike Parr e Eugenio Viola durante una pausa dal complesso e accurato allestimento. Fra loro,  il valore fondamentale della sintonia curatore-artista è centro di un processo da cui deriva il senso stesso del progetto, la sua efficacia relazionale, le sue potenzialità conoscitive, le revisioni semiotiche per costruire, via via, un’azione critica che si appropria dell’attualità e di una nuova ermeneutica.

Abbiamo conversato insieme sulla lingua segreta dell’arte. E poi, attraverso una breve intervista – di cui qui riportate alcune linee – sulla mostra, sulla performance, le attitudini, il pubblico, i rapporti sodali, per una vision vis à vis davvero privilegiata.

Chiedo Eugenio Viola con quale intento ha affrontato l’organizzazione di questa articolata retrospettiva

EV: La scrittura espositiva per me è per immersione, non ha andamento cronologico. Le mostre sono capitoli visivi, capitoli di un romanzo di formazione in progress.

In questo caso ho preferito accompagnare lo spettatore fra le angosce, i dubbi, gli assilli tematici dell’artista. In una prospettiva unitaria, attraverso la radicale coerenza di una figura di spicco nella storia della performance senza compromessi.

Il mio compito è dimostrare la visione sincretica e sintetica di oltre cinque decadi della produzione di un pioniere portata avanti senza transazioni, Parr è uno dei pochi che utilizza la performance come medium di espressione privilegiata, così come per la Abramovic, la Orlan e pochi altri.

È un pioniere anche per la sua idea di compilation,  perché negli anni ’70 non si dava attenzione alla documentazione, per lui cruciale. Questa di Casa Morra a Napoli è la sua prima retrospettiva italiana.

Domando sulla pièce Blind Painting Towards a Hole and a Head di Casa Morra

EV: Per Mike Parr ogni azione è unica. Questa a Casa Morra è un’azione site responsive, presentata per la prima volta nella cornice di questa retrospettiva. La realizza ad occhi chiusi, appartiene infatti al ciclo blind painting da molto tempo praticato.

Lui arriva nello spazio ad occhi chiusi dipinge a memoria o a senso, per due ore circa,  e dopo non vuole visionarne il risultato. La performance ha una presa diretta nel sociale, e meno su mediazioni, simboli, per cui è un medium che tutt’oggi si presta a raccontare le contemporaneità.

Al MAMBO a Bogotà lo scorso giugno ha dipinto la bandiera australiana a occhi chiusi, contro la preponderanza anglosassone nelle questioni coloniali, senza visionare l’esito del suo lavoro, un gesto che è una proclamazione contro la supremazia culturale in generale: è la sua risposta ai limiti del modernismo. Sperimentando la resistenza e le demarcazioni fisiche mette in discussione l’arte performativa espansa.

Aggiunge Mike Parr:

MP: Oggi sento che ogni mia performance potrebbe essere l’ultima. Comincio ad avere una serie di problemi fisici.

Uno dei lavori che presento a Casa Morra è stato realizzato 31 anni fa, sull’idea di resistenza,  una performance senza pubblico, in video, vorrei riproporla ancora quando sarò più vecchio, per controllare la mia resistenza.

Se dovessimo trascriverla come  segni di interpunzione, la prima volta che l’ho rappresentata è una virgola, la seconda due punti, l’ultima sarà un punto. La performance art mi permette di pensare. Mi fa concentrare sull’ impersonalità dell’atto performativo.

L’impersonalità che, ad esempio, è legata al progetto dei 131 autoritratti esposti in mostra dove lavoro sulla cancellazione dell’immagine. Ed è per questo che agisco ad occhi chiusi e dopo non voglio vedere il risultato. Non guardo perché non voglio imparare come un artista.

Il mio obiettivo a Casa Morra è dipingere a occhi chiusi, andare verso a creazione come di un buco, di una testa. La mia ansia, è pensare a come sarà il risultato, come verranno il buco, la testa, ed è proprio questo che devo distruggere, questo tipo di ansia.

Sposto il discorso sui (e nei) territori analitici dell’arte e in che senso l’attitudine metaperformatica che marca il percorso stilistico dell’artista trova nello scavo archeologico-politico della condizione umana i suoi punti nevralgici più specifici

EV: Alcuni lavori presentati qui a Casa Morra rispondono alla crisi stessa della performance: Montage in Space & Time (1971-2023), ad esempio, è una compilation di alcuni lavori di Parr fra i più radicali, un’installazione multicanale, sincronizzata senza alcuna gerarchia spazio-temporale.

Photo-Death (2023) compendia, invece, in una sequenza cronologica di immagini in slide show fra le più estreme, tutta la sua carriera. Parr esamina le contraddizioni della contemporeneità. Molti lavori sono evidentemente politici.

Si è opposto con forza, ad esempio, al coinvolgimento dell’Australia nel conflitto guidato dagli Stati Uniti in Vietnam, rifiutando di iscriversi al servizio di leva, attestando autonomia intellettuale e il potere di mettere in discussione l’autorità.

Quando si scaglia contro la politica migratoria australiana, la cosiddetta risoluzione pacifica, tolleranza zero, si inchioda il suo unico braccio ad una parete, per tre giorni, in una situazione di alto disagio.

Il suo progetto estetico è un contrappunto antipodale a esperienze coeve degli anni ’70, l’Azionismo viennese o il rapporto con l’autoritratto vicino agli esiti di Rainer. Parliamo di movimenti che sorgono negli anni ’71-’73, le Face Farces di Rainer sono del ’65.

MP: Rimasi affascinato dalle Face Farces, ma anche allibito dall’evidente scissione tra la fotografia performativa e l’eccesso di disegno. Il mio progetto di autoritratto iniziato nel 1981 è stato un tentativo di superare una sorta di ansia derivante dalla forte attrazione per la fotografia performativa.

EV: Parr sfida i limiti di questo  medium confrontandosi con i concetti di spazio, tempo, resistenza, memoria e meccanica della rappresentazione stessa. Lavora sui limiti fisici e psicologici, suoi e del pubblico

MP: Sul mio rapporto con il pubblico, devo dire che segue un andamento orizzontale. Non c’è leadership. Do la possibilità a tutti di vedere quello che vogliono vedere.

La macchina da presa è sempre stata il mio pubblico ideale. Il pubblico è qualcosa di immaginario. Voglio andare oltre l’immagine dell’assenza universale.

Ho realizzato performance senza pubblico che sono andate avanti per dieci giorni, a prescindere dagli spettatori. Nel teatro l’attore è direttamente relazionato con gli astanti, io invece sono autonomo da tutto questo.

A proposito di teatro discutiamo sul rapporto Parr- Wiener Aktionismus

EV: Mike ha incontrato molto presto gli artisti del Wiener Aktionismus. Negli stessi anni di questo incontro, il suo lavoro vive un progressivo processo di radicalizzazione, che crea una “controparte antipodica” di quelle ricerche radicali europee.

Penso che l’abreazione sia importante nel suo discorso. Così come lo sono una serie di referenti teorici che compaiono nel corpo pulsante della sua opera.

Forse non è un caso che io, Giuseppe Morra e Mike Parr ci siamo incontrati per la prima volta nel 2017 a Hobart, Tasmania, in occasione di un’azione di Hermann Nitsch nell’ambito del Dark Mofo, festival di musica e arte organizzato dal Museum of Old and New Art.

MP: Sì, ricordo quell’incontro a Hobart, alla fine eravamo seduti tutti allo stesso tavolo. Da lì cominciò la nostra intesa. Peppe poco dopo venne nel mio studio a Sydney e io gli mostrai video e materiali. Ricambiai presto la visita ed ebbi la possibilità di conoscere la sua collezione a Napoli.

Ciò che mi colpì fu la qualità e l’integrità della sua collezione e la selezione dei lavori: era quella la sede giusta per presentare il mio lavoro: un contesto serio e impegnato. Fu allora che decisi di donare a Peppe Morra tutto il mio archivio.

Per quanto riguarda l’Azionismo, ne sono sempre stato interessato, pur ritenendomi costantemente distante. Il lavoro di Otto Mühl mi attraeva quanto quello di Nitsch, ma ne ho assimilato l’influenza in modo critico.

Marina Abramovic a Vienna, nel ’78, mi disse che il problema a Vienna era proprio l’Azionismo, e che avremmo dovuto rendere chiaro che il nostro lavoro era diverso dal loro. È per questo che io e Marina ci muoviamo con lo stesso tipo di logica.

EV: Marina Abramovic afferma che l’unica sopravvivenza per la performance è la reperformance, intesa come rimessa in atto di un’azione originaria assumendosi la responsabilità di ripresentarla. La performance è scambio di energia che se non avviene – come lei direbbe –  allora non è performance.

MP: L’Azionismo è importante ma era necessario che io ne sottolineassi la mia autonomia e indipendenza. Lo stile delle mie performance doveva tutto agli apici epifanici dell’arte Concettuale quanto alla “rottura” dell’arte.

Infine, chiedo come vorrebbero che i visitatori percepissero questa retrospettiva

EV: Non è una mostra fatta per compiacere ma per riflettere. Se lo spettatore andrà via con più domande di quanto è arrivato, se avviene il gioco dialettico fra chi vede e ciò che è visto, per dirla con Didi-Huberman, significa che l’esperimento è riuscito.

L’arte deve darci la possibilità di confrontarci in maniera dialettica e polemica con le incoerenze dell’oggi e col tempo, archivio aperto di esperienze e sensazioni. Spero che il pubblico sappia apprezzare tutta l’intrinseca coerenza e l’Intima resistenza di uno degli ultimi giganti viventi della performance.

MP: Io non so cosa aspettarmi. Come sempre. Tieni presente che faccio performance da 50 anni, per continuità, per cui gli spettatori sono per me una collezione di fantasmi. Agisco la mia performance, e solo dopo mi accorgo che c’era pubblico.

L’evento, oltre che sugellare il  rapporto sodale fra l’artista e Giuseppe Morra, celebra anche la donazione dell’intero archivio di Mike Parr a Casa Morra Archivi d’Arte Contemporanea, che conserva, espone e riattiva opere di protagonisti importantissimi quali Luca Maria Patella, il Living Theatre, Vettor Pisani, Hermann Nitsch, Arrigo Lora Totino che, assieme con altri autorevoli nomi, costituiscono il prezioso patrimonio della Fondazione Morra.

Mike Parr (Sydney, 1945) ha co-fondato nel 1970 con Peter Kennedy, Inhibodress Gallery, il primo artist run space in Australia che ha il merito di aver diffuso l’arte concettuale e la performance art nel continente. Numerosissime le sue mostre in Australia ed internazionali nel corso di oltre mezzo secolo.

Tra le ultime: The Eternal Opening, Schwartz/Carriageworks, Sydney, 2019; Underneath the Bitumen the Artist, DarkMofo/Detached, Hobart, 2018; The Ghost Who Talks, 55th Biennale di Venezia, Palazzo Mora, Venezia, 2013. Ha rappresentato l’Australia alla 39. Biennale d’arte di Venezia, nel 1980.

Tra le retrospettive più importanti: Edelweiss, Kunsthallewien, Vienna, 2012; Foreign Looking, National Gallery of Australia, Canberra. 2015; The Intimate Resistance, Museo de Arte Moderno de Bogotá – MAMBO, 2023.

Eugenio Viola è dal 2019 Capo Curatore del MAMBO – Museo de Arte Moderno de Bogotá, in Colombia. Dal 2017 al 2019 è stato Senior Curator del PICA – The Perth Institute of Contemporary Arts a Perth, in Western Australia. Dal 2009 al 2016 è stato curatore al Museo MADRE di Napoli.

Ha collaborato con numerose istituzioni italiane e internazionali. Ha curato nel 2015 il Padiglione dell’Estonia alla 55. Biennale di Venezia e nel 2022 il Padiglione Italia alla 59. Biennale di Venezia.

Studioso delle esperienze legate alla performance e al corpo, ha curato le monografie dedicate a Teresa Margolles (Edizioni MAMBO, Bogotà, 2019); Regina Jose Galindo (Skira, Milano, 2014); Hermann Nitsch (Edizioni Morra, Napoli, 2013); Marina Abramović, (Sole 24 Ore Cultura, Milano, 2012); ORLAN (Charta, Milano-New York, 2007).

Di prossima pubblicazione la nuova monografia dedicata al lavoro dell’artista, The Intimate Resistance, realizzata dalla Fondazione Morra in collaborazione con il Museo de Arte Moderno de Bogotá – MAMBO, in edizione italiano / inglese (Edizioni Morra) ed in edizione inglese / spagnolo (Edizioni MAMBO), a cura di Eugenio Viola.

Info mostra The Intimate Resistance: 1971-2023 Mike Parr

+ ARTICOLI

Storica e critica d’arte, curatrice, giornalista pubblicista, Loredana Troise è laureata  con lode in Lettere Moderne, in Scienze dell’Educazione e in Conservazione dei Beni Culturali. Ha collaborato con Istituzioni quali la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio di Napoli; l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa e l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. A lei è riferito il Dipartimento Arti Visive e la sezione didattica della Fondazione Morra di Napoli (Museo Nitsch/Casa Morra/Associazione Shimamoto) della quale è membro del Consiglio direttivo. Docente di italiano e latino, conduce lab-workshop di scrittura creativa e digital storytelling; è docente di Linguaggi dell'Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e figura nel Dipartimento di Ricerca del Museo MADRE. È autrice di cataloghi e numerosi contributi pubblicati su riviste e libri per case editrici come Skira, Electa, Motta, Edizioni Morra, arte’m, Silvana ed.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.