Al fotografo Fabio Donato il Premio Responsabilità Sociale Amato Lamberti. L’Intervista

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India, 1970

Il Premio Responsabilità Sociale Amato Lamberti, voluto dalle onlus Jonathan e Gesco e giunto alla sua decima edizione, anche per questa nuova tappa (cerimonia conclusiva: Napoli il 16 settembre 2023, nella fastosa cornice del Salone delle Feste del Museo e Real Bosco di Capodimonte) ha mantenuto immutato il suo spessore culturale volto all’impegno civile e solidale.
Organizzato dall’Associazione Jonathan e dal gruppo di imprese sociali Gesco, con il coordinamento tecnico di Exit Communication, il Premio, promuovendo la partecipazione alla cittadinanza attiva, si è rivolto a personalità del mondo del lavoro, dell’imprenditoria, del giornalismo, della cultura, del terzo settore e delle istituzioni, che si sono distinte per le loro azioni di resistenza civica e impegno.
Alcuni dei nomi insigniti in questa edizione: fra tutti, quello del regista Roberto Andò, del Sindaco di Bacoli Josi Gerardo Della Ragione, del fondatore del Festival di Giffoni Claudio Gubitosi e del noto fotografo napoletano Fabio Donato.


A lui è stato conferito un premio speciale specifico, accompagnato da una intensa menzione che ne ha definito il profilo:

grande fotografo, encomiabile per aver attraversato mezzo secolo di storia con indimenticabili foto di scena, da Eduardo de Filippo a tanti altri artisti straordinari; per aver raccontato i cambiamenti del nostro tempo dagli anni della rivoluzione culturale a quelli della globalizzazione fotografando le povertà urbane, i disastri ambientali, i migranti, i giovani reclusi, per aver creato il primo corso di laurea fotografia nell’Accademia di Belle arti di Napoli e messo a disposizione a tutti gli studenti il suo enorme archivio fotografico”.

In bilico tra il dentro e il fuori, tra l’io e l’altrove, il certo e il vago, la fotografia di Fabio Donato, oltre ad essere sapienza tecnico-compositiva, è rimodulazione di concetti, esercizio speculativo, pratica meditativa.

Ci pone di fronte a viaggi intersemiotici modellati da una mente imprevedibile che senza alcuna nostalgia dilata le categorie del tempo e dello spazio: la fotografia va attraversata, vissuta, percepita come esperienza, come evento fenomenologico. Approfondire la realtà, avere un’ idea su cui progettare la comunicazione, per Fabio Donato è “come pensare un dipinto o una composizione musicale”: misura estetica, etica, poetica.

La sua straordinaria polifonia creativa spazia dai reportage sulla condizione giovanile nelle Carceri Minorili, a quelli internazionali che lo hanno portato in India, Cina, Irak, Cuba.

Dai celebri cicli sui movimenti contemporanei nelle arti italiane e internazionali,  supportati da galleristi eccezionali del calibro di Lucio Amelio e Giuseppe Morra – (memorabili a tal proposito gli scatti realizzati nel 1969 al Teatro Mediterraneo di Napoli per Paradise now, in cui fotografando dal palcoscenico, ha colto il senso stesso del Living Theatre) -,  alle serie di fotografie di scena, realizzate con Eduardo De Filippo, Mario Santella, Armando Pugliese, Luca de Fusco, Tony Servillo, Mario Martone, di cui segue l’evoluzione dal teatro al cinema internazionale, fino all’evoluzione sperimentale del teatro d’avanguardia con esperienze di danza, cinema, musica, pittura, scultura, design, moda, a livello internazionale.

E ancora, dai progetti incentrati sulle città, il primo dei quali presentato a Milano insieme ai lavori di Luigi Ghirri, Franco Fontana, Luigi Albertini, a quelli in cui il rapporto tra l’altro da sé, la circolarità del divenire, il prima e il dopo, sono territori espressivi tutt’oggi ricorrenti della sua poetica, secondo una spettrografia che fa i conti con una  liricità di un pensiero pensante e visionario.

Lo abbiamo intervistato la sera della premiazione e nonostante la sua nota reticenza verso tale pratica, si è disposto favorevolmente con il suo fare laconico ed elegante.

Come hai ha accolto l’assegnazione del premio “Amato Lamberti”, conferitogli dalla tua città che hai spesso indagato attraverso cicli memorabili?

Prima con meraviglia, poi con gratitudine… pensa che Amato Lamberti è stato il primo a cui feci vedere il mio libro sulle carceri minorili (1975), per chiedergli cosa ne pensasse. Gratitudine perché è un premio non dato ad una foto, magari che è piaciuta più di quelle fatte da altri, ma è un premio alla coerenza di tutta una vita!

A non tutti può sembrare logico lavorare sull’arte e sul sociale contemporaneamente, ad esempio Eduardo si interessava dei minori di Nisida; Joseph Beuys, negli anni ’80, andava in giro per l’Europa a piantare alberi; Hermann Nitsch per tutta la sua vita ha lavorato per provocare avversione al male e alla violenza, e questi sono solo alcuni dei grandi artisti che ho seguito nel loro lavoro.

Il tuo saper fare, riscopre la forza della contemplazione dell’altrove: a cosa miri quando ti concentri sul soggetto?

Ti cito Calvino: “L’occhio non vede cose / ma figure di cose / che significano altre cose”. Credo profondamente in questo e cerco sempre di inserire la possibile universalità dello stesso che, naturalmente, va cercata altrove.

La tua fotografia non si consegna mai all’improvvisazione o all’estro. In che maniera organizzi un progetto?

Ho studiato architettura e sono quindi naturalmente dentro la cultura del “progetto” e prima di fotografare lavoro come si fa col cinema: parto da una idea, faccio ricerche, sopralluoghi, studio gli orari della luce, e ancora di più, ragiono sui possibili “altri” significati che il fruitore potrà riconoscere, scoprire…

Quali sono 3 parole chiave che stimolano il tuo lavoro?

Umanità, Incertezza, Enigma

Sono soltanto alcuni segni che raccontano una processualità nel suo farsi “soglia”, declinazione di un discorso che riconquista le trame di uno spazio irrinunciabile, messo a punto da contaminazioni e confluenze percettive, da  fughe del paesaggio, da territori in cui i tagli d’ombra non sono assenza di luce, ma spostamenti linguistici dal reale verso una atmosfera sensuale, dove la sostanza visiva conferma le sue significazioni (Barthes) di differente natura.

Fabio Donato

Dopo il Liceo classico, Fabio Donato frequenta negli anni ’60 la Facoltà di Architettura mostrando al contempo grande interesse per la fotografia, poesia, musica e pittura. Fotografo dal 1970 è costantemente presente negli ambienti dell’arte e della cultura dei quali diviene attento testimone. Negli anni ’70 a seguito di un lungo viaggio in India inizia le sue numerose esposizioni, più di 150 fino ad oggi. In quegli anni fotografa il Living Theather; segue i primi anni di lavoro del celebre gallerista Lucio Amelio; è due anni a Milano; incontra e fotografa artisti come Beuys, Warhol, Nitsch, Ceroli, Acconci, Kounellis; apre con Mario Franco, a Napoli, l’Altro Diaframma, galleria di fotografia in collaborazione con il Diaframma di Milano di Lanfranco Colombo; continuano le sue collaborazioni con il teatro napoletano tutto (dalla sperimentazione: Morfino, Santella, Lucariello, Servillo, Martone, De Fusco, sino ad Eduardo). Negli anni ’80 collabora con il Teatro Sud di Bari, inizia il suo lavoro con il teatro Bellini (che durerà circa trent’anni), illustra i primi due volumi della “Storia della Sicilia antica” a cura dell’archeologo, accademico di Francia, Georges Vallet. Negli anni ’90 e quelli a seguire illustra per il Museo della Medicina di Parigi tre volumi (1996, 1997,2005) di grande pregio, riceve l’incarico di realizzare le immagini di “Fuori dall’ombra”(catalogo della omonima mostra che raccoglie 20 anni di storia della ricerca delle arti visive), vive l’esperienza dell’incubatore di Città della Scienza, inizia l’esperienza dell’insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Napoli, continua il suo lavoro sulle arti figurative e sul teatro a Napoli. Nel primo decennio del 2000 realizza due importanti antologiche: la prima al Museo di Capodimonte, Infiniti, (2007) curata dalla Fondazione Morra, e la seconda al PAN|Palazzo delle Arti di Napoli (2010 “Viandante tra le Arti”) curata da Maria Savarese. Fra le più recenti, Altri enigmi. Omaggio a Man Ray, al Museo Hermann Nitsch-Napoli, accompagnata da un catalogo (Edizioni Morra) con testi di Diana Gianquitto, Olga Scotto di Vettimo, Maria Savarese e Loredana Troise; Incontri (2021) al Museo D’Arte contemporanea Certosa di Padula; Joseph Beuys. Facciamo presto (2022) Imago Paestum Pescara. Al suo lavoro in Accademia, che ancora continua (attualmente coordina il Triennio di Fotografia, Cinema e TV e il Biennio Specialistico di Fotografia), affianca un rigoroso lavoro di ricerca esposto in numerose mostre in Italia e all’estero.

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Storica e critica d’arte, curatrice, giornalista pubblicista, Loredana Troise è laureata  con lode in Lettere Moderne, in Scienze dell’Educazione e in Conservazione dei Beni Culturali. Ha collaborato con Istituzioni quali la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio di Napoli; l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa e l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. A lei è riferito il Dipartimento Arti Visive e la sezione didattica della Fondazione Morra di Napoli (Museo Nitsch/Casa Morra/Associazione Shimamoto) della quale è membro del Consiglio direttivo. Docente di italiano e latino, conduce lab-workshop di scrittura creativa e digital storytelling; è docente di Linguaggi dell'Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e figura nel Dipartimento di Ricerca del Museo MADRE. È autrice di cataloghi e numerosi contributi pubblicati su riviste e libri per case editrici come Skira, Electa, Motta, Edizioni Morra, arte’m, Silvana ed.

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