Flânerie e disvelamenti a Napoli. Un gioiello nascosto a Palazzo de’ Liguoro

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Fra i ritagli di edifici, di piazze e di strade, a Napoli spesso si può inciampare in tasselli e dettagli nascosti, sedimentati nel calco minerale della città; inimmaginabili, ma sempre significanti. La varietas partenopea si insinua nel nostro cono visivo; lo trasforma in maniera radicale, in un colloquio stringente tra ciò che si vede e ciò che scopriamo.

Sono in ritardo, corro tra il caos di passanti e scooter sulla salita che dal popolare quartiere Stella porta alla base della collina di Capodimonte, segnata da tutta una geografia di scale, mercatini e vicoli, fino alle zone collinari della città antica.

La pendenza diventa più tipica nel tratto serrato tra gli affioramenti di tufo, laddove una particolare tipo di edilizia sfrutta l’essenza del costolone tufaceo per scavarci, nella sostanza, le abitazioni.

Il mio sguardo infatti si ancora sulla curva di un edificio accostato sul costone giallo:  mi fermo, per me una sosta che è scelta obbligata, necessaria. Mi attrae il portale, è di quelli eleganti, preziosi; in chiave di volta l’epigrafe marmorea lo data 1746. Così, dal portone semichiuso mi infilo, dimenticando il mio appuntamento e il resto. Rimango un po’ lì.

L’androne profuma di terra e il silenzio si seziona attraverso lame di sole fra le piante. Poi sento che qualcuno sta scendendo da un piano superiore e quando mi raggiunge solleva un po’ il suo cappello, con quel gesto cortese d’altri tempi:

“Signurì, siete un architetto?” mi chiede. Io, intrigata, sto al gioco e gli rispondo di , senza capire il perché di quella domanda precisa, diretta: “Lei si trova esattamente a Palazzo De’ Liguoro, poi Santoro, conosciuto meglio da noi che l’abitiamo anche come Palazzo degli Spiriti, perché ce stann entità vaganti…”. Sorrido. “Architè, che non mi credete? Le Presenze spiritiche ci sono, e parlano cu nuje. Apettate, mo’ vi preparo nu bellu caffè e dopo vi porto a vedere il meglio… venite venite, ci a vulite na’ presa di anisetta nel caffe?”. Accetto deliziata di fronte a tanto garbo. Dopo il rito del caffè mi invita a seguirlo indicandomi un di-lì.

Superata la semioscurità dell’ingresso giungiamo alla prima rampa di una scala illuminata da un’apertura ricavata nella parete tufacea. L’esistenza del tufo è provata da alcune tracce di intonaco cadente sotto il quale traspaiono ancora i segni della smarra, il tipico piccone napoletano a due punte a lama verticale utilizzata proprio per scavare la bella roccia forte e leggera.

A destra del primo gradino è un pilastrino in piperno decorato con una graziosa balaustrina. Ed è proprio subito dopo di essa che dinanzi ai miei occhi stupiti appare una piccola scala che snodandosi man mano, diventa un vero e proprio capolavoro di architettura, un insospettato gioiellino mai visto prima.

Ellittica, spiraleggiante posta in una penombra che rende la vista più intensa e mostra sentieri; dando profondità a ciò che è piatto per condurre in costellazioni affettive. Inizio a percorrerla come in una salita verso regioni segrete della terra e, insieme, verso una discesa alla luce che sembra ricollegarsi alle esitazioni del Cinema di Tarkovskij.

La chiocciola, rampa bianca a sbalzo, continua a gradini in pietra lavica; è completamente incavata nel nostro tufo. Ogni curva continua in quella vicina e nell’altra ancora,  un potenziale esoterico intriso di passione e mistero. Alzo la testa, in alto un tamburo mostra ancora il timpano dell’ingresso padronale con le colonne tuscaniche. Mi siedo sullo scalino più in basso.

Il simbolismo che si nasconde dietro questa meraviglia rappresenta la città stessa, il suo lato  che attira le persone che vi entrano in contatto, imprigionandole in un vortice di emozioni.

E rifletto allora che certi camei inediti, straordinari, tutt’oggi ancora nascosti in città, come questo, fuori dalle note cornici inchiodate di visioni cristallizzate, costituiscano un vessillo contro la vaghezza metropolitana attuale, che tende sempre più a dissiparsi in modo pulviscolare, fino a insinuarsi anche nelle pieghe più occulte e residuali.

Forse, per confrontarsi davvero con una città, non bisogna mai svelarla fino in fondo. Ma salvaguardare una precisa posizione. Perché solo la perdita del senso del luogo può permetterne una credibile rappresentazione.

Informazioni Palazzo de’ Liguoro

Nel Palazzo de’ Liguoro, androne e scala sono interamente scavati nel tufo. Rinomato dai residenti anche come Palazzo degli Spiriti, si trova sito in via salita Capodimonte 8/10 nel rione Sanità. Il palazzo un tempo era della famiglia de’ Liguoro, poi venne ceduto ai Santoro nella prima metà del Settecento.

È caratterizzato da due ingressi, dal civico numero 10 si accede alla splendida rampa elicoidale intervallata da pianerottoli triangolari, che danno alle rispettive abitazioni.

Da uno di questi ammezzati si accede a ciò che resta di un giardino pensile panoramico con  un’edicola votiva.

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Storica e critica d’arte, curatrice, giornalista pubblicista, Loredana Troise è laureata  con lode in Lettere Moderne, in Scienze dell’Educazione e in Conservazione dei Beni Culturali. Ha collaborato con Istituzioni quali la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio di Napoli; l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa e l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. A lei è riferito il Dipartimento Arti Visive e la sezione didattica della Fondazione Morra di Napoli (Museo Nitsch/Casa Morra/Associazione Shimamoto) della quale è membro del Consiglio direttivo. Docente di italiano e latino, conduce lab-workshop di scrittura creativa e digital storytelling; è docente di Linguaggi dell'Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e figura nel Dipartimento di Ricerca del Museo MADRE. È autrice di cataloghi e numerosi contributi pubblicati su riviste e libri per case editrici come Skira, Electa, Motta, Edizioni Morra, arte’m, Silvana ed.

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