Pride. Storia di una bandiera, di grafica, simboli, arcobaleno, orgoglio e attivismo LGBTQQIA+

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Daniel Quasar è un artista e grafico americano, noto per il design della bandiera Progress Pride, un’articolazione della bandiera dell’orgoglio arcobaleno LGBTQQIA+ (lesbiche, gay, bisex, trans, queer  e/o gender questioning, intersex, asessuali e altr*: gender fluid, gender queer, gender creative, non-binarie, pansessuali, demisessuali ecc.), che include i colori aggiuntivi nero e marrone e una nuova composizione visual per rappresentare esplicitamente le persone trans e le comunità di colore LGBTQQIA+, “così come quelle che vivono con l’AIDS, quelle che non vivono più e lo stigma che le circonda”.

La nuova bandiera muove da quella adottata, nel giugno 2017, dalla città di Filadelfia che vide aggiunte delle strisce nere e marroni sulla parte superiore della bandiera arcobaleno, per indicare le comunità LGBTQI+ di colore.

La versione più recente di Quasar è ancora più inclusiva e organizza, sulla sinistra, i nuovi colori strutturati a strisce e nella forma di una freccia – allegoria di una progressione e di un cammino… in avanti – con al centro un cerchio viola a significare la comunità intersessuale.

Questa scelta, che palesa l’intenzione della vasta comunità di “creare inclusione intersessuale perché abbiamo anche bisogno di vederla”, ha elaborato, riassumendone alcune parti, la Bandiera dell’orgoglio intersessuale creata nel 2013 da Morgan Carpenter, ex co-presidente dell’Organizzazione Intersex International Australiaex, che aveva ideato un campo giallo con un cerchio viola al centro ad indicare “il diritto di essere chi e come le persone intersessuali vogliono essere”.

La prima versione dell’iconica bandiera, con una composizione più semplice e con meno colori – organizzati in bande orizzontali ordinate dall’alto verso il basso – ma in ogni caso perfettamente aderente alla rappresentazione che voleva comunicare, fu disegnata dall’artista e attivista statunitense Gilbert Baker (Chanute, 2 giugno 1951 – New York, 30 marzo 2017).

Alla sua prima apparizione, il 25 giugno 1978 per la parata dell’allora Gay Freedom Day di San Francisco (oggi San Francisco LGBT Pride Celebration Committee)fu riconosciuto a livello mondiale quale simbolo del movimento LGBT Pride.

Fu abbracciata e portata in orgogliosa, pionieristica e laica processione da quell’Harvey  Bernard Milk celebrato dal biographical film di Gus Van Sant nel 2008 in cui uno straordinario Sean Penn (Premio Oscar 2009 come miglior attore protagonista) interpreta il primo gay dichiarato e attivista eletto per una carica politica negli Stati Uniti e purtroppo, pochi mesi dopo quell’epocale sfilata, assassinato (n. Woodmere, 22 maggio 1930 – m. San Francisco, 27 novembre 1978) quasi come effetto di una morte annunciata (“Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese”, aveva detto lui stesso!).

Fu proprio quella bandiera ad essere dichiarata vessillo ufficiale anche dal Museo di Arte Moderna di New York – MoMA, che l’ha voluta nella sua collezione permanente di Design, nel 2015, identificandola come “simbolo riconosciuto a livello internazionale insieme ad altre icone emblematiche1 (per intenderci: come il Pin di Google Maps o il Simbolo internazionale per il riciclaggio).

Inizialmente era realizzata in 8 colori, ognuno con uno specifico senso (rosa tenue a indicare la sessualità, rosso la vita, arancione la salute, il giallo la luce del sole, il verde la natura; quindi il turchese come indice delle arti, indaco dell’armonia e viola dello spirito), con i tessuti cuciti a mano; ma si dovettero ridusse le tinte a sei per la difficoltà a reperire sufficiente stoffa rosa e turchese, colori quindi eliminati, e indaco, sostituita dal blu.

In ogni caso e versione, tutto esprimeva ed esprime anche la gioia, in un’insegna detta Philadelphia Pride Flag. Poi, abbiamo visto, quei colori aboliti tornano nelle due proposte di Quasar.

Tante, e anche più recenti, sono state le modifiche e le varie versioni della bandiera; tra queste: quella, progettata da Michael Page nel 1998 per l’orgoglio bisessuale, Bi-Angles (tre strisce orizzontali per rappresentare l’attrazione per lo stesso sesso, color magenta, per il sesso opposto, colore blu e per entrambi i sessi, colore viola: pantone PMS 226, 258 e 286); quella di Monica Helms per il Transgender Pride nel 1999, e che aveva solo strisce rosa, azzurre, bianche; e anche dell’orgoglio: lesbico (la prima versione accreditata è quella del 1999 a opera di Sean Campbell, che la ideò con un fondo viola e un triangolo nero rovesciato dentro cui era raffigurata una labrys, l’ascia bipenne.

Poi ne nacquero altri adattamenti, più specifici: lipstick flag, pink flag, chapstick etc.); bear (inventata da Craig Byrnes), leather (autorialità, pare, di Tony DeBlase nel 1989); asexual (probabilmente pensata dal gruppo AVEN – Asexual Visibility and Education Network nel2010); pansessuale (grafica di Gilbert Baker del 2010);  poliamore; genderqueer (Marilyn Roxie nel 2011), non binary (disegnata da Kyle Rowan e introdotto nel 2014), etc.

È molto interessante notare, e merita una sottolineatura, come questo simbolo si sia nutrito e si nutra dell’apporto di più autori e sensibilità che hanno contribuito, tutti insieme e senza protagonismi da… copyright, alla definizione di un emblema articolato e corale come lo è la comunità che rappresenta: in attesa che si considerino gli esseri umani come persone senza doverle forzatamente qualificare, incasellare, normare, sostituendo finalmente il termine diversità con unicità.

Questo approfondimento è un contributo in occasione della celebrazione, l’8 novembre, della Giornata della Solidarietà Intersessuale – Intersexual Day of Remembrance.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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