Eugenia Delfini nel cuore di Roma. Nuova galleria, artisti da scoprire e arte da far conoscere. L’intervista

Cara Eugenia,
sono contenta di aver partecipato alla serata di inaugurazione e presentazione al pubblico del tuo nuovo spazio. Una galleria in Via Giulia a Roma! Un passo importante e non così scontato…
Dal momento che durante quella prima affollata serata (certi appuntamenti sono tornati inevitabilmente ad esserlo dopo il lungo periodo di sospensione dovuto alla pandemia) non sono riuscita a farti tutte le domande che mi ero portata dietro e che sono affiorate mentre camminavo tra quelle volte, davanti le piccole nicchie e nell’accogliente cortile interno, sotto lo sguardo delle facciate di storici palazzi.

Noi ci siamo conosciute nel 2009 (o era il 2010?) quando ti trovavi tra Venezia e Mestre ed eri alla guida di un progetto sperimentale e territoriale molto dinamico, Sottobosco.

Dopo la specializzazione allo IUAV di Venezia è in quell’ambiente che hai fatto le prime esperienze, prima di prendere il largo e avviare una gavetta professionale in luoghi di prestigio, dai musei Guggenheim (prima New York, poi Bilbao) alle collaborazioni, per esempio, con l’Hessel Museum of Art o il The Drawing Center, entrambi nella Grande Mela. Ma progetti curatoriali li hai realizzati anche alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea qui a Roma o al MACTE di Termoli.

Posso immaginare, quindi, fosse giunto il momento di aprire uno spazio nel quale riconoscersi e dove sviluppare le proprie ricerche, dal quale far partire i tuoi progetti curatoriali.

Come mai, però, una galleria d’arte? Cos’è per te lo spazio di una galleria? E, inoltre, come credi influenzerà, nel futuro più prossimo, la sua posizione così centrale, in una delle vie storiche di Roma che è stata scenario per molti artisti e galleristi del secondo Novecento e ancora oggi sono numerose qui le gallerie, nonostante una certa attenzione della ricerca e critica d’arte si sia andata spostando verso ambienti più periferici e luoghi di confine?

Cara Francesca, grazie per le tue domande, è bello poter continuare il nostro dialogo aperto tanti anni fa! Il desiderio di aprire una galleria nasce per diversi motivi.

Dopo aver co-fondato e guidato uno spazio non profit per cinque anni (e aver dato spazio alla sperimentazione più radicale) e dopo aver lavorato per diversi musei internazionali (e aver realizzato mostre per il grande pubblico), mi mancava e interessava la sfida del profit, ovvero quella di riuscire non solo a promuovere ma anche a vendere l’arte in cui credo di più.

So che questa mia scelta può essere vista come un cambio di rotta, ma per me significa perseguire il mio bisogno di rinnovarmi e adeguarmi ai tempi e ai luoghi in cui vivo e manifesta la mia ambizione e totale curiosità rispetto al mondo.

La galleria è per me prima di tutto uno spazio espositivo curato in cui presentare progetti di mostre, poi una veste istituzionale, un modo di appartenere a una comunità e infine una porta sul mondo, ovvero un luogo tramite cui avere accesso ad altre realtà.

Dall’altra parte come puoi immaginare, lavorare in galleria con gli artisti è molto diverso che farlo in un artist run space o in museo, perché la galleria non è un campo di allenamento né un luogo in cui si storicizza la ricerca artistica e questo rende il tutto ancora più interessante e difficile quando si vogliono produrre mostre di senso.

Per quanto riguarda la localizzazione della galleria, ho scelto via Giulia un po’ perché volevo avere una posizione centrale, un po’ perché il mio obiettivo era quello di trovare un luogo classico ed elegante all’interno del quale proporre mostre contemporaneissime.

Infine, non so se la mia posizione influenzerà o aiuterà una rinascita del centro storico ma di certo se così fosse ne sarei felice, pensa che bello sarebbe istituzionalizzare un circuito di gallerie contemporanee e palazzi antichi in pieno centro!

Pensando alle gallerie d’arte viene subito in mente un ambiente dove l’arte si presenta ad un pubblico (ristretto e selezionato) e alla sua funzione commerciale. Un luogo dove l’opera d’arte appare innanzitutto come un prodotto con un proprio valore economico e dove l’interesse per la ricerca, lo studio e le relazioni umane (tra gallerista e artista, tra gallerista e un pubblico non solo di collezionisti) a volte rischiano di sfumare.

Ovviamente non è sempre così, sono molte le gallerie che riescono ad essere punto di riferimento anche per semplici amatori, per giovani artisti e curatori, spazi nei quali la riflessione sui linguaggi delle arti di oggi rimane aperta e condivisa tra le persone che li animano e per chi fosse interessato a parteciparvi.

Tu condividi questa lettura? Pensi che le gallerie possano ancora essere spazio di ricerca e di sperimentazione? Quali sono gli aspetti principali che definiranno l’identità della tua galleria e che genere di pubblico speri di riuscire a coinvolgere?

Difficile pensare alla galleria come uno spazio di ricerca, se così fosse non si chiamerebbe galleria, quello è un ruolo che ricoprono gli spazi indipendenti e talvolta le fondazioni, ma è pur vero che la galleria può impegnarsi a rappresentare anche artisti di ricerca oltre a quelli commerciali.

La mia idea è proprio questa, quella di continuare a lavorare con artisti giovani e mid career che abbiamo le potenzialità di raccontare chi siamo e dove stiamo andando e più nello specifico che siano interessati ad aprirsi a diverse discipline, a disvelare i limiti del potere e ad affrontare questioni scottanti come quelle legate alle disuguaglianze sociali.

Infine, immagino già da adesso la galleria come il primo tassello di un più ampio progetto. Non è detto che tutto debba accadere dentro le sue mura e da tempo ho un altro sogno nel cassetto che è quello di fondare un residency program. Pensare che la galleria possa essere solo uno dei soggetti del sistema locale ma anche del proprio sistema aiuta a capirne le potenzialità.

Questa nuova avventura da gallerista ovviamente porta con sé tutte le esperienze vissute finora e, immagino, anche le relazioni sin qui tessute con artisti, curatori e altri professionisti dell’arte.

C’è qualche artista, tra quelli con i quali hai già collaborato, con il quale pensi di tornare quanto prima a ideare qui un progetto espositivo? E tra gli artisti con i quali non hai ancora avuto modo di lavorare, c’è qualche nome che hai nel tuo cassetto dei desideri?

Certo! Ci sono artisti con cui ho già collaborato nel passato con cui sto riprendendo a farlo in maniera diversa (Nicolò Degiorgis), altri che seguo da anni con cui solo ora inizio a collaborare (Rachele Maistrello ed Erin Johnson), altri appena incontrati con cui ho attivato un nuovo percorso (Roberta Mariani).

Cosa porti con te dell’esperienza vissuta in grandi musei e spazi espositivi internazionali? Oppure della ricerca e sperimentazione che hai svolto con artisti e critici? Quali tra questi insegnamenti sei certa torneranno utili per svolgere questo tuo nuovo ruolo?

Porto tutto! Se dalla mia esperienza negli spazi non profit porto capacità di ascolto, empatia e libertà di pensiero, dai grandi musei ho imparato le strategie comunicative, l’uso ecologico delle risorse e l’attenzione per il target. L’insegnamento più grande non viene dai musei ma dalla vita di tutti i giorni, non perdere l’obiettivo e persistere sempre!

La mostra con la quale hai inaugurato presenta le opere dell’artista Roberta Mariani. Com’è avvenuto il vostro incontro e com’è andata configurandosi questa personale che nelle parole di un romanzo di Boris Vian, La schiuma dei giorni, trova il suo titolo e racchiude la sua lettura?

Ho incontrato per la prima volta Roberta Mariani lo scorso giugno 2022 e fin da subito ne ho percepito la sua rigorosità progettuale. Avevo visto qualche suo lavoro online e ne ero rimasta affascinata, poi quando sono andata a visitarla nel suo studio al Pastificio Cerere mi ha illustrato la pratica realizzata negli ultimi quattro anni e mi ha seriamente convinta. Mi piaceva l’idea di aprire con un artista di Roma e lei se lo meritava proprio, per anni si è dedicata al lavoro e alla ricerca sperimentale con grande impegno.

Roberta indaga il segno e il suo dispiegarsi nello spazio. In galleria in questa sua prima mostra personale La schiuma dei giorni presenta quadri e sculture su carta lavorati con pigmenti naturali e polvere di grafite. Sono lavori raffinatissimi che hanno una grande presenza scenica.

A differenza di molti pittori astratti, Roberta nei suoi quadri riesce a superare ogni volta il problema dell’applicazione di uno schema o di una composizione predefinita inventandosene sempre di nuove. A questo proposito Gianni Garrera, nel testo critico di presentazione della mostra, scrive che nei suoi lavori a muro:

“Mariani rovescia il rapporto tra apparenza e realtà e ogni sua pagina pittorica non ha inizio né fine, ma partecipa ogni volta alla pienezza di un ordine totale latente che si srotola davanti ai nostri occhi”.

Chissà che proprio questo atteggiamento sinuoso che ritroviamo nelle linee serpentine delle opere della Mariani (riprendendo ancora le stimolanti visioni che arrivano dal testo di Garrera), non siano un augurio involontario per questo nuovo luogo: uno “spazio lirico” dove si susseguiranno segni, azioni e riflessioni di un’arte mai conclusa e definitiva, ma sempre alla continua ricerca di nuovi raccordi e inediti dialoghi.
Per il momento non mi resta che augurarti un buon cammino Eugenia.

Galleria Eugena Delfini
Via Giulia 96, 00186 Roma
Tel. +39 0697603946

info@galleriaeugeniadelfini.it

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Francesca Campli ha una laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio artistico e una specialistica in Arte Contemporanea con una tesi sul rapporto tra disegno e video. La sua predilizione per linguaggi artistici contemporanei abbatte i confini tra le diverse discipline, portando avanti ricerche che si legano ogni volta a precisi territori e situazioni. La passione per la comunicazione e per il continuo confronto si traducono nelle eterogenee attività che pratica, spaziando dal ruolo di critica e curatrice e quello di educatrice e mediatrice d'arte, spinta dal desiderio di avviare sinergie e confrontarsi con pubblici sempre diversi.

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