15LAB. Se l’arte aiuta a riscrivere i luoghi inaugurando nuove storie

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Avevamo conosciuto Latitudo Art Projects tra le pagine di questo magazine quasi tre anni fa, con il progetto Magic Carpets che in quell’occasione lanciava un ponte con l’Ucraina, permettendo uno scambio di progetti e di visioni tra gli artisti di due paesi europei diversi.
Da allora sono seguiti molti altri progetti di natura partecipata, nei quali l’arte è stato linguaggio di incontro e scoperta di luoghi e comunità differenti.
L’ultima proposta si è sviluppata questo inverno in collaborazione con quattro artisti (Jacopo Natoli, Marco Raparelli, Chiara Mu, John Cascone) e due fotografi (Isabella Mancioli e Luis Do Rosario).
15LAB è il progetto a cura di Benedetta Carpi Rosmini e già nel suo titolo rivela un intento laboratoriale, una volontà di fare e sperimentare, ma questa è solo una prima lettura.

“LAB”, infatti, è anche abbreviazione di Labaro, territorio periferico e stratificato nel quale si è articolato il progetto e dove si trova la Biblioteca Galline Bianche, una delle sedi del circuito bibliotecario di Roma, che dopo un periodo di chiusura ha riaperto al pubblico e ha chiesto al team di Latitudo di collaborare nei loro spazi.

“15” invece sono i minuti che in questo territorio occorrono per raggiugere qualsiasi servizio e luogo pubblico, un ambiente alquanto concentrato, quindi, della dimensione quasi di un paese, seppur ad alta densità abitativa.

La presa di coscienza di questa caratteristica è stata il punto di partenza per l’ideazione di una proposta progettuale che al proprio interno avesse come primario interesse quello di coinvolgere il pubblico dei più giovani -al quale sarà dedicata l’offerta e le proposte della biblioteca appena rinnovata- in azioni artistiche attraverso le quali indagare se stessi, la relazione con l’altro da sé e con il territorio nel quale si trovano.

Lavorare con i bambini, confrontarsi con loro e coinvolgerli in azioni comuni richiede capacità non scontate.

Spesso sottovalutiamo l’attenzione che questo pubblico riesce a dare di fronte a ciò che non conosce, accendendo inaspettati punti di luce e inedite letture di argomenti che crediamo non possano riguardarli.

Altre volte può assalire proprio una paura nel doversi confrontare con loro, perché considerati come abitanti di un modo a parte, con un proprio linguaggio, gestualità, caratteristiche sconosciute, lontane da noi.

L’infanzia di fatto è come se portasse in sé un mistero, ma è proprio questo aspetto a illuminare l’esperienza che viviamo ogni volta che l’avviciniamo: un mistero che illumina e rende sorprendente ciò che per noi è abituale o addirittura indifferente.

I sei artisti coinvolti nel progetto 15LAB hanno quasi tutti, nei loro progetti passati, avuto modo di interagire con questa specifica fascia di pubblico.

In questa occasione hanno realizzato 5 percorsi diversi da svolgere nell’arco di sei mesi, realizzando così un’azione condivisa che pian piano è diventato appuntamento atteso dai partecipanti e, partendo sempre dagli spazi della biblioteca, si è inserito nelle maglie dei luoghi da loro attraversati abitualmente.

John Cascone (Cheltenham, UK, 1976) che ha condotto il progetto FilmLab specifica:

“non so se pensare i partecipanti ai laboratori come pubblico o come co-autori. Siamo di fronte ad un dialogo, non si può semplicemente imporre un discorso, bisogna avere la capacità, a volte quasi immediata, di stravolgere ciò che si era pensato e muoversi nel flusso dell’incontro”.

Anche Marco Raparelli (Roma, 1975) alla guida del percorso StoryLab, ammette che non è stato sempre facile raccogliere la concentrazione dei bambini che arrivavano all’appuntamento pomeridiano, ma racconta:

“ho lasciato esprimere i bambini con il disegno, dando loro pochi indizi. L’idea di partenza era quella di realizzare un ritratto collettivo e per farlo ho seguito un percorso didattico molto simile al corso di Illustrazione che svolgo in Accademia con ragazzi molto più grandi”.

È proprio dai volti di espressioni diverse e dai vari contesti creati dai bambini che si è sviluppata una narrazione che, all’interno di binari definiti dall’artista, ha dato forma ad una nuova storia che racconta i bambini stessi e gli ambienti da loro vissuti e, al termine del progetto, è diventata una inedita pubblicazione dal titolo Guarda mamma io scribacchio, composta anche dei disegni realizzati da Raparelli insieme a loro.

Sulla percezione delle emozioni e sulla capacità di empatia, fondamentale fin dall’infanzia, si è sviluppato anche il percorso BodyLab a cura di Chiara Mu (Roma, 1974); secondo una pratica performativa l’artista ci dice:

“ho utilizzato le forme del gioco e dello storytelling personale per affrontare la conoscenza di emozioni positive e negative, adattando i tempi di tenuta dei bambini al mio lavoro concettuale ma facendo in modo che ognuno di loro trovasse alla fine un proprio rimedio tattile alle emozioni degli altri”.

Realizza, così, un vero  “percorso di crescita al contempo collettivo e personale”. Emerge chiaramente il riconoscimento del gioco come strumento e veicolo nei diversi percorsi degli artisti: un gioco che con Chiara Mu è immedesimazione di vari stati d’animo; insieme a John Cascone è “gioco su che cosa è la realtà e cosa non lo è, in una continua capacità di invenzione” dal quale l’artista parte per ideare nuove scene narrative; azioni ludiche sono centrali anche negli incontri condotti dai fotografi Isabella Mancioli e Luis Do Rosario, nel percorso ColorLab, in cui, come specifica Isabella:

“il gioco è il filo conduttore di tutto; abbiamo inseguito i colori, lavorato sulle emozioni, siamo stati curiosi e grandi esploratori. Siamo stati bambini anche noi, ancora una volta, tornando ad essere elastici, umili, complici, uniti. Osservandoli davvero tutto sembra possibile”.

Infine “il gioco e il racconto magico, la prossemica, l’uso tonale della voce, la costruzione di un corpo collettivo” sono anche gli elementi al centro del lavoro di Jacopo Natoli, artista che nella sua ricerca utilizza vari linguaggi e si è trovato spesso ad interagire con gruppi di diverse fasce d’età. Nel suo percorso ZineLab è partito dalla creazione di volumi, quaderni ed edizioni:

“con mani e dita abbiamo manovrato la carta” racconta, “piegare, strappare, comporre, assemblare, titolare; abbiamo giocato con la poesia visiva, creando componimenti con timbri e tamponi d’inchiostro”.

Le attività si sono svolte nel luogo che per definizione conserva e diffonde storie: una biblioteca che è anche punto di riferimento per gli abitanti del territorio in cui si trova e, in questi ultimi mesi, è diventata anche luogo di incontro per stimolare un nuovo modo di guardare, esprimersi e raccontare.

“Ha sempre senso reinventarsi ancora e ancora, cambiare vesti, scambiare ruoli, condividere strumenti, crescere insieme” nota Isabella Mancioni, e questo i bambini lo fanno in modo spontaneo senza compromessi o forzature e, prosegue Jacopo Natoli, “c’è gioia quando i corpi, le intelligenze e le età giocano a perdere tempo insieme”.

A fine maggio, in chiusura dei percorsi, si è condivisa un’ultima giornata in biblioteca con gli abitanti del quartiere e i partecipanti-protagonisti di questi nuovi racconti.

Per l’occasione ha preso vita la performance un Pronto Soccorso delle Emozioni realizzata dai bambini con Chiara Mu nella quale erano gli adulti ad essere presi in cura.

Sono stati presentate le fanzine Figuraccie realizzate con Jacopo Natoli e il libro collettivo disegnato con Marco Raparelli.

È stata allestita la mostra di scatti fotografici realizzati dai bambini con Isabella Mancioni e Louis Do Rosario, ed è stato proiettato in anteprima il video Ignoto Sconosciuto Altrove, terzo capitolo di una trilogia, che John Cascone ha realizzato insieme ai partecipanti “attraverso una costruzione narrativa che derivava da pratiche collettive di scrittura e movimenti del corpo, che ha permesso loro di entrare in relazione con quei luoghi, dal forte valore simbolico, limitrofi alla biblioteca”.

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Francesca Campli ha una laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio artistico e una specialistica in Arte Contemporanea con una tesi sul rapporto tra disegno e video. La sua predilizione per linguaggi artistici contemporanei abbatte i confini tra le diverse discipline, portando avanti ricerche che si legano ogni volta a precisi territori e situazioni. La passione per la comunicazione e per il continuo confronto si traducono nelle eterogenee attività che pratica, spaziando dal ruolo di critica e curatrice e quello di educatrice e mediatrice d'arte, spinta dal desiderio di avviare sinergie e confrontarsi con pubblici sempre diversi.

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