Emotional Rescue. Figurazione che riflette sulla ricerca emotiva e il sistema dell’arte da Annarumma Gallery

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Il romanzo Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust (1871-1922) è la storia di una coscienza alla ricerca della sua identità. Proust è convinto che il passato non è quello del tempo cronologico “della natura e del mondo”, ma che esso esiste solo nel ricordo, come tempo della memoria. La vita prende il significato dall’Arte perché con la scrittura si fissa il passato per non perderlo più. E’ una analisi che trova delle corrispondenze anche nell’arte figurativa, in cui è l’opera a fissare il tempo e la memoria. Ne è la dimostrazione il recente ritrovamento dei 24 bronzi di epoca etrusca/romana del II sec. d.C. in provincia di Siena e precisamente a San Casciano dei Bagni che, oltre a contribuire alla ricostruzione degli aspetti sociali, economici e culturali della zona, proiettano il pubblico verso un ritorno alla bellezza tradizionale, prendendo le distanze dal concetto di estetica del secolo scorso che si dedicò alla ricerca di altre forme di rappresentazione visiva.
Su queste idee si basa la mostra dal titolo Emotional Rescue, allestita nelle sale della Annarumma Gallery, in via Partenope 1, a Napoli, fino al 20 gennaio 2023. Il titolo preso in prestito dall’omonimo album del 1980 della band musicale dei Rolling Stones pone una serie di riflessioni sulla ricerca emotiva attraverso la forma e sul sistema dell’arte che nell’ultimo periodo vede un ritorno al figurativo.

Sei sono gli artisti scelti per questa esposizione, ognuno con una cifra stilistica diversa e accomunati da una pittura per immagini: lo svedese Niklas Asker (1979), l’irlandese Peter Burns (1979), l’italiano Vanni Cuoghi (1966), lo statunitense Brian DeGraw (1974), la georgiana Rusudan Khizanishvili (1979) e la francese Garance Matton (1992).

Unico italiano in mostra è Vanni Cuoghi, diplomato in Decorazione Pittorica presso l’Istituto Statale d’Arte di Chiavari (Ge) e in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano. Tra il 1989 e il 1992 lavorò per alcune riviste italiane come illustratore e frequentò l’Accademia Disney. Presente con due opere, nella prima tela, One Step Beyond, sono evidenti le conoscenze e l’esperienza dell’artista in ambito scenografico.

Sulla parete di fondo del dipinto un libro aperto funge da quinta teatrale. Varcando la porta ad arco che si staglia in primo piano è visibile un paesaggio ameno caratterizzato da un cielo limpido e da una fitta vegetazione. La narrazione fluida e piacevole è spezzata dall’alterazione dello scenario visibile sul lato destro della tela, in cui gli alberi sono privi di foglie, il cielo è plumbeo e l’atmosfera cupa e spettrale rievoca alcune opere della pittura fiamminga. Sembra di assistere alla trasposizione visiva della pische umana, di un bipolarismo identificato nell’individuo collocato di spalle nella parte bassa della composizione.

L’altra opera, intitolata Strani giorni, presenta le medesime impostazioni teatrali della precedente, con una chiave di lettura interessante. Agli elementi geometrici che compongono le finte architetture e alla vegetazione che caratterizza su più livelli di profondità la scena, manca una visione prospettica unitaria. Cuoghi, volontariamente priva la composizione di riferimenti spaziali: il suo obiettivo è di coinvolgere l’osservatore nella realizzazione di un assemlage visivo. L’unico elemento ad essere illuminato rispetto all’atmosfera grigia e nebulosa del cielo, formato da vorticose e fantasiose nuvole cariche di pioggia, è la figura umana in primo piano nelle vesti di soprano, dipinta durante l’esecuzione di un melodramma. L’artista realizza lavori che corrono spericolati sul confine della terza dimensione.

Le sue opere sono molto più che suggestioni, rimandano esteticamente alle scenografie teatrali della corrente futurista dei primi anni del Novecento, anche se si allontanano concettualmente da essa, essendo il Futurismo un movimento che rifiutava la rappresentazione dell’Opera lirica a favore del verso libero.

Sempre al paesaggio, ma stilisticamente e cromaticamente diverse dalle ambientazioni di Cuoghi, sono i dipinti dell’artista Peter Burns, laureato in Scultura e con un Masters of Fine Arts in pittura presso il National College of Art e Design di Dublino.

In Homesick Star e in Golden Bough combina la fantascienza con l’evento biblico, raccontando delle storie che sono al tempo stesso familiari e inquietanti. L’architettura dei suoi paesaggi va oltre il bidimensionale: realizza fiumi, mari, monti e alberi che emergono in superficie, restituendo una corposità materica a metà fra pittura e scultura. La Natura è la protagonista rispetto alle minute figure umane, dipinte come anime perdute che vagano in una terra straniera, a loro sconosciuta.

Ciò che emerge è la funzione allegorica di queste composizioni, inerente alla realtà in cui viviamo: il comportamento dell’uomo nei confronti della Natura è di arroganza e la nostra violenza nei confronti di essa ci condannerà all’estinzione della specie. Visivamente e cromaticamente impattanti, i paesaggi di fantasia nei quali si muovono esseri mostruosi e grotteschi rimandano alle scene del pittore fiammingo Hieronymus Bosch (1453-1516). La creatività dell’artista irlandese, la vivacità della sua tavolozza e l’intensità della sua visione, combinata con la sua passione morale, si contraddistingue nettamente dai suoi contemporanei.

Dalle tele incentrate sulla rappresentazione della Natura di Burns, si passa alle opere dell’artista svedese Niklas Asker, in cui è la figura umana la protagonista della scena. Ha studiato arte alla Konstskolan Kuben e alla Örebro Konstskola di Örebro, dove si è laureato nel 2001.

Successivamente ha frequentato la Malmö Comics Art School. Egli focalizza l’attenzione sulle tecniche pittoriche tradizionali utilizzandole come una forma di rituale per scavare nel subconscio. In a shadow è un ritratto dove cerca di bilanciare la pittura accademica scandinava con elementi astratti. Il suo intento è di costruire una identità, a prescindere dalla razza o del genere, indagando il confine tra il figurativo e l’astratto e come i due possono fondersi per creare nuove espressioni visive.

Il dipinto The Couple, invece, ribalta completamente la percezione della rappresentazione. La coppia raffigurata non è dipinta seguendo il canone classico della visione frontale, ma di spalle. In questo modo l’osservatore focalizza l’attenzione sui soggetti e sulla loro identificazione, divisa tra una ipotetica Natività o altre figure mitologiche. Asker induce in questo modo la collettività a riflettere sulla visione delle immagini stereotipate, riesce a conferire alle sue opere un alone di inquietante mistero, cercando di eliminare qualsiasi tipo di valutazione precostituita, favorendo una libera circolazione del pensiero.

Figure umane e animali caratterizzano la produzione artistica di Brian DeGraw. In esposizione sono visibili due opere su carta. Nella prima, dall’alto verso il basso sono raffigurati un gatto, un volto e una mano stilizzata, circondati da numeri e lettere.

Emerge l’interesse per le “frequenze curative”, essendo l’artista anche un musicista, come DJ e membro della band Gang Gang Dance. Questo lavoro prende in considerazione le particolari proprietà e gli effetti terapeutici delle fusa del gatto che hanno sulla psiche umana, identificata nel volto umano realizzato in basso. Sebbene gran parte del lavoro passato di DeGraw abbia avuto una relazione diretta con la musica, ha trascorso gli ultimi anni a familiarizzare con le proprietà della pittura e del disegno, approfondendo l’uso del colore e lavorando su una scala più ampia: si può individuare un’attrazione verso la frequenza, la ripetizione e lo spazio.

Nel secondo dipinto, la successione di gambe in ordine decrescente e il senso di movimento che le caratterizza, rimanda ai martelli del video iconico Another Brick In The Wall, del gruppo musicale Pink Floyd. L’artista crea una composizione ibrida che parte dal figurativo e si avvicina all’astrazione, trovando la bellezza nelle forme e nei colori che si mostrano molto corposi. Nelle sue tecniche miste sono visibili gli echi delle maggiori avanguardie artistiche del 900: Dadaismo, Cubismo e Futurismo.

Quando era bambina, Rusudan Khizanishvili sognava che i suoi giocattoli diventassero reali. Ha sempre avuto questa idea di creare un universo parallelo e di dare vita a personaggi nati sulla tela.

L’artista ha conseguito i suoi due BFA in Pittura alla J. Nikoladze Art School e alla Tbilisi State Academy of Art. Nel 2004 ha approfondito gli studi conseguendo il Master in Film Studies presso la Tbilisi State Academy of Art, vive e lavora in Georgia. E’ presente in mostra con due dipinti. In Femme realizza mistiche creature antropomorfe che esplorano temi tra cui il sé, la memoria culturale, i miti e il corpo. Attingendo alle ricche tradizioni della sua eredità georgiana, Khizanishvili impiega una tavolozza di colori piena di giallo, rosa e viola per creare mondi stravaganti in cui si svolgono storie infinite. Invita gli spettatori in una nuova realtà attraverso le sue tele.

Della stessa caratura è l’altra opera, Homme, dove usa il suo eccezionale senso del colore per affrontare i problemi acuti della spiritualità, il dualismo della natura umana, lo scisma tra modi di vita istintuali e intellettuali. Indaga la parte selvaggia, visibile nel corpo piegato su sé stesso e la parte civilizzata dell’essere umano, i fiori che rappresentano la delicatezza, cercando di riconoscerci attraverso il mistero dell’esistenza. I due dipinti nei quali sono evidenti stilisticamente alcuni rimandi a Henri Matisse (1869-1954), si sposano felicemente con la ricchezza di certi manufatti orientali. 

A chiusura del percorso espositivo sono presenti le due opere dell’artista francese Garance Matton, diplomata all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi nel 2017, vive e lavora a Parigi.

Evocano la luminosità di artisti come Piero della Francesca (1412-1492), le atmosfere ed i colori di David Hockney (1937) o del pittore americano Ron Kitaj (1932-2007). L’artista definisce la sua arte morbida, gioiosa e luminosa, citando Matisse che dichiarava che la pittura dovrebbe essere “come una buona poltrona”, che dà sollievo e procura calma.

Osservando il primo lavoro, Sunset Stage, le composizioni geometriche e lineari, scandite dalle architetture in prospettiva, concorrono a creare un universo surreale. Sono rigorosamente composte, e volontariamente sceglie di abbandonare la classica prospettiva lineare per moltiplicare i punti di vista. Gli oggetti sparsi nella composizione dell’immagine enfatizzano l’artificialità dello spazio. Questa rigidità visiva è spezzata dalle facciate dei due edifici che si presentano astratte, in cui il fattore tempo è visibile nella meridiana che sovrasta l’ingresso della seconda struttura.

In Hidden Sammy, le figure e gli oggetti si tagliano sulla superficie della tela in atteggiamenti strani, la presenza umana è solo suggerita, come la sagoma di una mano. Si innesca una correlazione fra diversi elementi, in un gioco di forme e piani sovrapposti. L’aspetto ludico è una componente cara a Matton che le consente di assemblare elementi pittorici provenienti da luoghi diversi, vivono tutti insieme nel dipinto, come tanti pezzi di un puzzle.

Ciò che emerge dalla mostra nella Annarumma Gallery è un ritorno alla tradizione. Ma dal momento che per essere artisti nel mondo dell’arte non basta muovere il pennello sulla tela, alcuni riscontri arrivano anche dalle fiere nazionali e internazionali.

Nel melting pot delle istanze del mercato, la fiera restituisce in un solo luogo le ricerche delle gallerie che intercettano il gusto dei collezionisti e non solo. I lotti delle aste che Christie’s e Sotheby’s hanno tenuto nell’ultimo periodo erano incentrati sulla pittura, bene o male figurativa, per quanto contaminata da suggestioni astratto-espressioniste. Sarà forse per l’immediatezza con cui si presenta all’osservatore o al grado di introspezione e visionarietà che garantisce al creatore, ma la pittura pare incarnare in modo prediletto i segreti del reale.

Info Emotional Rescue

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Luca Del Core, vive e lavora a Napoli. E' laureato in "Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali" presso l'Università degli Studi "Federico II" di Napoli. Giornalista freelance, ha scritto per alcune riviste di settore, per alcune delle quali è ancora redattore, e attualmente collabora con art a part of cult(ure). La predisposizione ai viaggi, lo porta alla ricerca e alla esplorazione delle più importanti istituzioni culturali nazionali ed internazionali, pubbliche e private.

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