Cristiano Berti, Eredi Boggiano

immagine per Cristiano Berti, Eredi Boggiano
Documenti d'archivio consultati da Cristiano Berti

Se cinque anni fa, Cristiano Berti, pubblicando per Quodlibet Gaggini Le Alpi e il Tropico del Cancro, ci aveva condotti dalle cave marmoree piemontesi della Val Germanasca alle sculture monumentali realizzate all’Avana da Giuseppe Gaggini, questa volta, con Eredi Boggiano, ci conduce all’esplorazione della storia di una grande e singolare famiglia: quella del ricco commerciante che fece da intermediario nell’incarico conferito nel 1834 allo scultore ligure: Antonio Boggiano, il cui cognome è ancora presente a Cuba.

Il libro d’artista, edito anch’esso per Quodlibet, è risultato vincitore della X edizione del bando internazionale Italian Council e fa parte del progetto Cicli futili: Boggiano, che prevede anche un video e una installazione artistica di prossima presentazione. Il volume verrà inoltre pubblicato nelle traduzioni in lingua inglese e spagnola.

L’approfondita ricerca di Berti si presenta come una minuziosa ramificazione che si sviluppa via via in un palinsesto maestoso di generazioni. Un albero genealogico fitto di battesimi e matrimoni ai quali occasionalmente si aggiungono dettagli preziosi sulle vicende umane dei protagonisti e sulla loro vita quotidiana.

L’artista riesce così a far luce su un dato storico della Cuba ottocentesca, poco o per nulla conosciuto, che vede come punto di partenza un giovane e intraprendente savonese giunto sull’isola caraibica nel 1796 e che scelse Trinidad come sede per i suoi affari.

La città era allora al centro di traffici mercantili (più o meno limpidi) sia con l’Europa che con il continente americano e, dopo aver assistito alla sua fortuna alterna, tra compravendite di immobili, sull’isola e in patria, o di imbarcazioni sempre più grandi, tra carichi perduti, creditori assillanti e soci inaffidabili, vediamo Boggiano acquistare una vasta proprietà sulle alture a nord di Trinidad, destinata alla coltivazione del caffè, un cafetal.

A queste notizie riguardanti la vita imprenditoriale del protagonista, Cristiano Berti aggiunge informazioni biografiche sul primo matrimonio, la successiva vedovanza, le seconde nozze in Liguria, le vicissitudini familiari, la separazione e la scelta di finire i suoi giorni sull’isola, dove resta una traccia tangibile dei suoi anni trascorsi a Trinidad: un altare in marmo nell’edificio di culto più importante della città, la Iglesia Mayor dedicata alla Santísima Trinidad.

Fin qui il progetto sembrerebbe seguire il suo iter, con l’autore che, nella doppia veste di artista e di storico (ormai a pieno titolo), costruisce la sua formidabile ricerca, ma nel testo inizia a profilarsi la storia dell’altro lascito di Antonio Boggiano: una triste eredità che svela le ragioni della presenza del suo cognome nella Cuba del nostro tempo.

Gli ‘Eredi Boggiano’ del titolo non hanno la pelle bianca e il motivo sta tutto nella prassi diffusa nella società schiavistica delle colonie spagnole del tempo, di attribuire alle persone di ascendenza africana il nome del padrone, una volta che esse divenivano di sua proprietà.

Con tutta probabilità, Boggiano fu inizialmente un commerciante di schiavi (questo spiega la disinvoltura con la quale, giovanissimo, poté acquistare imbarcazioni e terreni) e di certo ne possedette un numero considerevole.

Cristiano Berti ha voluto tenacemente indagare le loro esistenze e vicissitudini, non solo attraverso la consueta, puntualissima documentazione bibliografica e d’archivio alla quale ha abituato il lettore, ma rivelando anche altri aspetti interessanti, come, ad esempio, le motivazioni che spinsero quegli uomini e quelle donne a mantenere il cognome che li associava indissolubilmente alla loro condizione oppressiva.

Scopriamo infatti, dalle fonti consultate dall’autore, che sui documenti ufficiali di queste persone il nome veniva per lo più associato alla probabile etnia di provenienza, il che avrebbe sottolineato maggiormente lo stato di schiavitù, viceversa, il cognome del padrone, non sufficiente ad evitare lo stigma, conferiva pur sempre quella porzione minima di dignità che lo rendeva accettabile e in alcuni casi risolutivo per le questioni burocratiche e per migliorare la propria condizione di vita.

Molti e molte lo mantennero anche dopo l’abolizione della schiavitù, ma fu conservato ugualmente da coloro che, attraverso lunghi sacrifici economici, erano precedentemente riusciti a raggiungere la somma sufficiente a riscattare la propria libertà.

Eredi Boggiano è anche un viaggio nelle tradizioni rituali afrocubane, introdotte dall’autore attraverso la definizione della parola Kalunga che racchiude significati mistici, legati alla forza viva del mare, ma anche al regno dei morti, in un racconto triste e tuttavia emozionante, che svela poi, nel rituale, una commistione sincretica con la fede cristiana.

L’infaticabile ricerca di Berti pare tesa a ricostruire per ciascuna di queste vittime della schiavitù una individualità, attraverso parentele, provenienze, appartenenze a riti ancestrali; una sorta di minimo risarcimento per quel viaggio traumatico che le strappò a una terra immensa che, per il mondo dei bianchi, appare spesso, ancora adesso, ottusamente indistinguibile nelle sue infinite sfaccettature.

Tutto ciò porta a riflettere su quanto le dolorose rotte che tracciarono la vendita di esseri umani esistano ancora, pur essendosi accorciate; non occorre più che l’uomo bianco investa quattrini per grandi navi destinati alla tratta, è la disperazione che fa partire questo carico umano, stipato in imbarcazioni sempre più piccole e malridotte, per viaggi spesso senza approdo.

Verrebbe da affermare che definire ‘futili’ questi cicli di Cristiano Berti sia davvero errato: la sua è una ricerca impegnativa e generosa, la cui impronta nasce creativa, ma diventa scientifica allo stesso tempo.

Anche Eredi Boggiano si conclude con un dialogo: questa volta l’interlocutore di Cristiano Berti è Seph Rodney, scrittore e critico d’arte nato in Giamaica, ma newyorchese d’adozione; la loro conversazione completa e arricchisce il volume attraverso riflessioni sulle radici e sui luoghi, sui Caraibi e l’Italia come centri di mescolanze che rendono ridicolo il razzismo, Rodney cita Shakespeare, Berti la leggendaria Nina Simone e il suo potente e intenso Four Women.

In attesa che questo secondo ciclo si concluda con la presentazione del video e dell’installazione, proponiamo una delle risposte del critico all’artista, che sembra l’ideale sintesi dell’intero progetto:

Hai detto: “l’Arte è dare un senso alle cose, all’esistenza, attraverso ciò che non serve”. Io direi in modo un po’ diverso: l’Arte ci offre senso attraverso la creazione di oggetti inutili che sono in cambio profondamente caricati di significato dagli atti di ricerca, concezione e costruzione a loro sottesi. (Seph Rodney)

+ ARTICOLI

Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.